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Papa Francesco: la Chiesa dice “no” alla diagnosi prenatale finalizzata all’aborto

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 28/05/19
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“E’ espressione di una disumana mentalità eugenetica”

L’amniocentesi fatta per vedere se il feto nel grembo della futura mamma ha difetti o malattie gravi per arrivare ad un eventuale un aborto selettivo è un male. Anzi. E’ eugenetica.

Papa Francesco ribadisce con fermezza l’impegno della Chiesa non solo contro l’aborto, ma anche contro la diagnosi prenatale mirata ad interrompere la gravidanza.

«La vita umana – ha detto ricevendo i partecipanti al convegno “Yes to life” che si è svolto il 25 maggio in Vaticano – è sacra e inviolabile e l’utilizzo della diagnosi prenatale per finalità selettive va scoraggiato con forza, perché espressione di una disumana mentalità eugenetica, che sottrae alle famiglie la possibilità di accogliere, abbracciare e amare i loro bambini più deboli» (Il Messaggero, 25 maggio).


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“La paura della malattia”

«L’aborto non è mai la risposta che le donne e le famiglie cercano – afferma il Papa – Piuttosto sono la paura della malattia e la solitudine a far esitare i genitori. Le difficoltà di ordine pratico, umano e spirituale sono innegabili, ma proprio per questo azioni pastorali più incisive sono urgenti e necessarie per sostenere coloro che accolgono dei figli malati. Bisogna, cioè, creare spazi, luoghi e “reti d’amore” cui le coppie si possano rivolgere, come pure dedicare tempo all’accompagnamento di queste famiglie».

HUMAN FETUS

Crystal Light/Shutterstock

Non è un problema di fede

E il no all’aborto, secondo Francesco, non è una questione di fede: «È lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema? È lecito affittare un sicario per risolvere un problema? A voi la risposta. Questo è il punto, non c’entra la religione, è una cosa umana. Non carichiamo sulla fede una cosa che non gli compete all’inizio. Abortire non è mai lecito».



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Un nuovo messaggio ai medici

Francesco si è poi rivolto ai medici: «È indispensabile che abbiano ben chiaro non solo l’obiettivo della guarigione, ma il valore sacro della vita umana, la cui tutela resta il fine ultimo della pratica medica. La loro professione è una missione, una vocazione alla vita, ed è importante che i medici siano consapevoli di essere essi stessi un dono per le famiglie che vengono loro affidate: medici capaci di entrare in relazione, di farsi carico delle vite altrui, proattivi di fronte al dolore, capaci di tranquillizzare, di impegnarsi a trovare sempre soluzioni rispettose della dignità di ogni vita umana».

I neonati dal destino segnato

Anche di quelle destinate a durare solo qualche giorno, o qualche ora: «Nei casi dei bambini che, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, sono destinati a morire subito dopo il parto o poco dopo, la cura potrebbe sembrare un inutile impiego di risorse e un’ulteriore sofferenza per i genitori. Ma uno sguardo attento sa cogliere il significato autentico di questo sforzo, volto a portare a compimento l’amore di una famiglia. Prendersi cura di questi bambini aiuta i genitori ad elaborare il lutto e a concepirlo non solo come perdita, ma come tappa di un cammino percorso insieme. Quel bambino resterà nella loro vita per sempre. Ed essi lo avranno potuto amare» (Corriere della Sera, 25 maggio).


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