Non è facile, ma può accadere qualcosa di decisivoQuando i miei figli non avevano ancora l’età per confessarsi odiavo portarli con me quando andavo a farlo io, perché era decisamente stressante. Erano piccoli, pieni di energia, e tenerli calmi era piuttosto difficile. Significava anche che non potevo usare il tempo della fila per fare un accurato esame di coscienza, e quindi lo facevo prima di uscire di casa, pienamente consapevole che avrei dimenticato almeno la metà dei miei peccati nel trambusto tra lo spingere i bambini fuori dalla porta e tenerli tranquilli durante la fila.
Le opportunità di confessarmi quando ero da sola, cosa difficile essendo madre di cinque figli sotto i 10 anni, non mi bastavano, e allora ho iniziato a portarmi i figli dietro.
Ogni volta che andavamo mi facevano le stesse domande: “Perché dobbiamo andarci? Perché non possiamo entrare con te?”. E ogni volta io davo loro le stesse risposte: “Andiamo a confessarci perché ho bisogno di dire a Dio che mi dispiace, e non potete entrare con me perché questa è una conversazione tra me e Dio”.
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A volte uno di loro chiedeva per cosa dovevo chiedere scusa. Le prime volte ho eluso la domanda, dicendo che era una cosa tra me e Dio, ma un giorno, dopo una sera particolarmente difficile in cui avevo perso la pazienza, avevo gridato contro i bambini ed eravamo andati tutti a letto piangendo, ho risposto.
“Devo dire a Dio che mi dispiace di essermi arrabbiata con voi e di aver gridato. È stato un peccato gridare anziché scegliere di essere calma e amorevole, e anche se vi ho già chiesto scusa voglio comunque scusarmi con Dio”.
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Mi hanno guardato attenti per qualche minuto, poi Charlotte, di 6 anni, ha detto: “Voglio dire a Dio che anche a me dispiace, perché ho picchiato mia sorella e ti ho detto una bugia”. L’ho guardata, un po’ meravigliata. I suoi fratelli hanno iniziato a dire ad alta voce i peccati per cui volevano dire di essere dispiaciuti. Uno a uno, hanno fatto il loro esame di coscienza.
È stato un momento splendido, e ho detto loro che quello che avevano fatto era come la Confessione. In quel momento c’era un elemento del sacramento. Loro non potevano coglierlo, ma io l’ho visto. Ben prima dell’età della ragione, stavano già imparando a confessarsi liberamente, senza paura di essere condannati. E non erano neanche spinti dalla paura, ma dall’amore, per Dio e gli uni per gli altri.
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Da quel giorno li ho sempre portati con me quando andavo a confessarmi. Prima di uscire parliamo dei peccati che abbiamo commesso e del perché ci dispiace. Quando Sienna è stata abbastanza grande da fare la sua prima Confessione, aveva già alle spalle anni di pratica dell’esame di coscienza, e gli altri hanno seguito il suo percorso.
È innegabile che portare i figli con sé quando ci si confessa sia difficile. Si dovrebbe fare comunque, anche se non si parla dei propri peccati e loro non parlano dei propri. Portando i bambini con sé alla Confessione si sta insegnando loro come vivere una vita virtuosa. Si mostra loro cosa siano la fede, la perseveranza, la forza, l’umiltà, la temperanza e la carità facendosi vedere in fila, entrare nel confessionale e poi pregare. Si stanno mettendo i loro piedi sulla via che porta a Cristo ancor prima che siano abbastanza grandi da scegliere quella strada da sé… e questa dovrebbe essere un’ottima motivazione per ciascuno di noi.
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