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Come sono finalmente riuscita a perdonare il tradimento di mio marito

COUPLE HUGGING
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Heather Anderson Renshaw - pubblicato il 17/05/19
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Per cercare di proteggermi dal dolore mi stavo isolandoLacrime infinite mi scorrevano sulle guance mente ripensavo continuamente agli eventi di quella sera. Dopo avermi fornito un numero di dettagli sufficiente a farmi sentire come se fossi stata colpita da un treno merci, mio marito si è scusato per il suo comportamento e ha chiesto il mio perdono. Non potevo – non volevo – perdonarlo. Nessuno sano di mente si sarebbe aspettato che perdonassi mio marito per quello che aveva fatto, mi dicevo. Nessuno.

È passato il tempo, tra i bambini da assistere e i conti da pagare. Mio marito e io ci siamo sempre più allontanati. Anche se gli dispiaceva per come mi aveva fatto soffrire, continuavo a incolparlo delle tante altre difficoltà che avevamo. Ero sicuramente giustificata per il fatto di provare rabbia, dolore e risentimento. All’epoca non me ne rendevo conto, ma nel tentativo di proteggermi dall’essere ferita stavo costruendo una prigione modello Fort Knox con la mancanza di perdono come pietra angolare.



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Una mattina, mentre mi preparavo per andare al lavoro, mi sono guardata allo specchio, e quello che ho visto mi ha sia allarmata che fatta arrabbiare. Ho visto una donna amareggiata e dall’aspetto tirato di cui riconoscevo a malapena il volto. La luce nei miei occhi era svanita, e la mia pelle era cinerea, pallida. Rughe profonde per il fatto di aggrottare le sopracciglia e piangere tanto si erano fatte strada laddove avrebbero dovuto esserci segni provocati dalle risate. Quello che ho visto non mi è piaciuto, ma soprattutto non mi è piaciuto come mi sentivo – stanca, triste e sola. In quel momento mi sono resa conto che i muri che avevo alzato intorno a me non stavano facendo altro che impedirmi di sperimentare la profonda guarigione e l’amore di cui avevo disperatamente bisogno.

Non riuscivo ad andare avanti; era come se fossi rimasta intrappolata in un incubo eterno di dolore e sofferenza. Dopo aver parlato, discusso e pianto molto, mio marito ed io abbiamo concordato di cercare l’aiuto di un consulente esperto. È da lui che ho iniziato a sviluppare una comprensione più matura e ampia di quello che è e non è il perdono. In primo luogo, il perdono non era un evento che arrivava tutto in una volta – dicevo a mio marito che lo perdonavo e puff!, tutto il dolore e tutti i danni al nostro rapporto sarebbero stati magicamente cancellati.

Nei mesi successivi, è diventato chiaro che perdonare non significava che tutto nel mio matrimonio andasse bene, né che quello che aveva fatto mio marito fosse accettabile. Non voleva dire che fossi il suo zerbino. Offrire il perdono non era un premio o un dono, o un lasciapassare per il suo comportamento; perdonare mio marito era piuttosto un dono che potevo scegliere di fare a me stessa.


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Non dimenticherò mai il momento in cui ho finalmente accettato le scuse di mio marito, ed è stata sicuramente una decisione – non facile, ma un atto intenzionale del mio testardo libero arbitrio. Non ho provato sentimenti calorosi di felicità nel momento in cui stavo per perdonarlo. Subito dopo, però, ho sentito come se qualcuno avesse aperto una finestra permettendo all’aria fresca di diffondersi nella mia vita. Dopo mesi e mesi di reclusione in una prigione scura e solitaria, ho sentito come se riuscissi a muovermi e a respirare di nuovo. Scegliendo di perdonare, stavo scegliendo di guarire e di liberarmi finalmente dalle catene che mi avevano tenuta prigioniera.

Mi sono sempre interrogata sul passo della Scrittura in cui uno dei discepoli di Gesù gli chiede “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”, e Gesù risponde “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”. Solo quando mi sono trovata presa tra gli spasimi di una vita confusa, splendida e imperfetta e ho deciso finalmente di perdonare intenzionalmente mio marito ho iniziato davvero a capire quelle parole.



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Nel matrimonio, più che in qualsiasi altro rapporto che ho avuto, ci sono opportunità apparentemente costanti per cercare e dare il perdono. Nello specifico, il ricordo del tradimento di mio marito alza la testa di tanto in tanto, e ondate di tristezza minacciano il senso di pace e di benessere che ho conquistato. In quei momenti mi trovo davanti a una scelta: posso rinchiudermi nella prigione della mancanza di perdono in cui sono stata incarcerata tanto a lungo o posso espirare risentimento, dolore e rabbia e inspirare un po’ dell’aria fresca che ho sperimentato la prima volta in cui ho scelto di dire “Ti perdono”. E ancora una volta, nonostante i miei sentimenti, scelgo di perdonare e di essere libera. Settanta volte sette.