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“Nei lager eravamo in due: il Signore ed io”, così la partigiana Milena è diventata suora di clausura

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 29/04/19
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La storia di Milena Zambon, internata in Germania per aver provato a salvare ebrei e perseguitati. Ma è proprio nell’inferno che è cambiata (per sempre) la sua vita

Partigiana a 20 anni, sopravvissuta al temuto lager di Ravensbrück, sperimentando la vicinanza di Dio, poi monaca benedettina di clausura. «Mi sono salvata solo grazie al Rosario», diceva Milena Zambon (1922-2005), poi diventata per tutti Suor Rosaria (Avvenire, 27 aprile).

Nata a Malo (Vicenza) nel 1922 e ultima di otto fratelli, nel 1944 viene arrestata a Padova per aver favorito l’espatrio di ex prigionieri alleati e perseguitati politici e destinata ai campi di Ravensbrùck e Wittenberg.



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Perché fu arrestata

Quando le amiche sorelle Martini (oggi nomi noti della Resistenza) le chiedono aiuto per la rete clandestina di padre Placido Cortese, la “Catena di salvezza”, Milena dice sì: «la proposta mi entusiasmò oltre ogni dire», scrive nelle sue “Memorie”. Scorta in treno al confine di Como ex prigionieri alleati, ebrei e perseguitati politici «nonostante la caccia delle Ss tedesche. Mi ero messa in quell’impresa pericolosa per carità cristiana. Mi affidavo alla Madonna, ricorrendo a lei con cieca fiducia in ogni mio bisogno», chiedendo salvezza non per sé ma per i profughi.

Arrestata, torturata nelle carceri di Venezia e Bolzano, non rivelerà i nomi della rete. Fa lo stesso anche padre Cortese, che verrà trucidato. Nel giardino dei Giusti di Padova sono ricordati entrambi con i giovani della Catena. La condanna alla fucilazione verrà commutata in lager a Ravensbrück (123mila prigioniere da 20 nazioni), poi a Wittemberg, a 100 chilometri da Berlino.



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La liberazione dal lager

Nel 1944 le truppe dell’Armata rossa liberano il campo e anche lei fugge, curandosi nelle infermerie militari. A Wittemberg, durante il saccheggio della città, prenderà per sé pane nero e un Rosario. Nel 1945 torna in Italia gravemente malata; trascorre due anni in case di cura.

E’ fidanzata, ma le cose vanno male. Il 12 maggio 1948 avverte che la sua vita deve volgersi in un’altra direzione: entra nel monastero benedettine di Sant’Antonio in Polesine a Ferrara dove, col nome di suor Rosaria, ha vissuto la sua vita di monaca di clausura.

“Come fossimo in due…”

Nel silenzio di un ex deportata solo Dio può guardare: «nei continui terrori avevo sentito sempre il Signore accanto come fossimo in due», annota, «come un aiuto soprannaturale a non spegnere la voce della coscienza e a non perdermi».

Prenderà il nome di suor Rosaria e per obbedienza scriverà le sue Memorie. E andata in cielo il 23 ottobre 2005 (eventa.it, 2017).



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