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Meditiamo la Via Crucis con Don Vincent Nagle

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Il blog di Costanza Miriano - pubblicato il 18/04/19
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Pubblichiamo le meditazioni alle stazioni della Via Crucis scritte da don Vincent Nagle, che ci fa così un grande, grande regalo. E’ il cuore della nostra fede, e, se a volte ce ne dimentichiamo, in questa settimana possiamo resettarci e rimettere a fuoco quello in cui crediamo. Buona Settimana Santa.

Medjugorje: novembre 2018

I stazione: Gesù è condannato a morte

Gesù è condannato, ma lui non è il colpevole. Lui è esposto allo scherno e al disprezzo violento del popolo, ma non è lui che ha commesso i peccati. È lui che viene caricato della croce su cui sarà inchiodato, ma non è lui che ha tradito la verità. Sono io  Colpevole, ma non vorrei prendere il suo posto. Sono io il peccatore, ma non sarei disposto ad espormi nella mia vergogna al giudizio del popolo. Sono io che tradisco la verità, ma fuggo ogni pena, ogni peso, ogni sofferenza. Quando lo vedo ridotto così, col suo corpo coperto di colpi, piaghe, ferite, quando vedo il suo viso pieno di lividi e sangue, e la corona di spine fissata sul suo capo, non mi viene la voglia di prendere il suo posto: lui innocente ed io no. Non contemplo di poterlo sostituire per subire quel che merito, mettendomi al posto di lui che non lo merita. Sono contento che un innocente soffre nel mio posto. Cosa deve pensare di me? E mi chiedo se lui, accettando la croce da innocente, pensa a me che, nello stato di peccato, non faccio niente per
accompagnarlo. Mi chiedo cosa pensa mentre lui soffre tutto, tutto per me, mentre io, che lo merito, non accetto di soffrire nulla per lui, e nemmeno per me stesso. Gesù, permettimi di accompagnare te oggi in questa via dolorosa, e tutti i giorni di offrirmi nell’essere unito a te e al tuo sacrificio per la salvezza mia e per quella del mondo. Fa sì che l’esperienza della comunione con te, nella tua misericordia, vinca sul mio terrore davanti alla apparenza raccapricciante della sofferenza.


WAY OF THE CROSS
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II stazione: Gesù è caricato della croce

Si tratta di quel terribile, indicibile momento in cui la nostra libertà viene realmente messa alla prova: dover accettare la croce, questa croce. Non questa!, non questa!, viene da dire. E’ inaccettabile per noi portarla, e siamo invidiosi nel vedere quella leggera degli altri. Il primo anno di sacerdozio ero malato e mi hanno mandato in montagna, in un piccolo paese del Trentino, dove visitavo gli anziani in casa. Uno di questi aveva una piccola finestra che guardava verso la piazza e mi diceva “Ci lamentiamo molto delle nostre croci, ma sono convinto che, se improvvisamente diventasse visibile ogni croce e le portassimo tutte in
centro, deponendole lì potendo sceglierne una, ognuno tornerebbe a casa con la propria.” C’è una cosa che costa dire, ma è così: la croce che ci viene data, che Dio ci dà, è scolpita precisamente per salvare me. Per me formulo questa ipotesi, tante volte provata e tante volte rigettata perché la mia libertà è piccola. E’ la croce fatta dalle cose più inaccettabili. Se accetto di portarla, di baciarla, allora avrò imparato ad amare e questa è la fonte della vita eterna per noi e per tutti, significa salvare il mondo con Gesù Cristo. La croce scelta per noi appare inaccettabile, ma è il luogo privilegiato per andare in fondo all’esperienza della Misericordia di Cristo. Domandiamo, allora di scommettere follemente sull’esperienza della comunione con lui.

III stazione: prima caduta di Gesù

Ogni limite per noi è fonte di violento rifiuto, perché parla del limite rappresentato dalla morte; non vogliamo guardarla in faccia e non vogliamo neanche domandare di vederla in Cristo, con Cristo e per Cristo come passo d’amore, come offerta di compassione eterna a Dio affinché noi mortali possiamo non perdere niente. Ogni volta il nostro cuore rifiuta il limite dell’altro, del mondo e il nostro, invece di domandare che passi anche da lì l’amore, invece di domandare che il limite ci apra, che ci strappi, per diventare partecipi del Suo amore senza limiti. Lui è caduto. E’ figlio di Dio, ma è anche uomo ed è sfinito; Lui, così imbattibile in ogni cosa fino a quel momento della sua vita. Adesso, davanti a tutti, sotto lo scherno di tutti, cade, perché non ce la fa più. Quello è il vero momento di grazia, in cui dire: tu, o Padre, il tuo amore, renda questa caduta umiliante, sia a livello privato ( mi vergogno di me), sia pubblico (odio quelli che assistono alla mia umiliazione) un momento di apertura al tuo amore. Così anche la vita, con i suoi limiti umani, con la mortalità addosso, sia esperienza gioiosa del tuo amore eterno.

IV stazione: Gesù incontra sua madre

Una cosa è accettare di soffrire vivendo o vivere soffrendo con santità, con grettezza o con gratitudine. Un’altra è vedere come la nostra scelta, anche di vivere secondo Cristo, fa soffrire gli altri, mette gli altri in difficoltà, mette in crisi il loro mondo. Può accadere che proprio la nostra scelta di seguire Dio dia così tanto sgomento che a causa di questo inizino a rifiutare Dio. Che cosa è questo sguardo fra la Madonna e Cristo? Lui vede fino in fondo tutto, ma non so se il suo cuore di figlio poteva veramente prevedere il dolore di un incontro così dopo aver baciato la sua croce, accettato di essere schernito, odiato, torturato, spellato.
Guardare negli occhi sua mamma e vedere come la facesse morire, questo dolore dovuto al suo voler seguire la volontà di Dio, forse è stata la vera prova per lui. Era come invitarla a camminare con lui fino in fondo, senza nemmeno la sua natura divina ad aiutarla. Non c’è niente da fare, l’amore per il destino dell’altro chiede un distacco, per aiutarlo dobbiamo obbedire non alla sua volontà, ma alla volontà di Dio e questo ci fa soffrire. Chiediamo che Gesù guardi nei nostri occhi e veda almeno un po’ di compassione in noi, che il suo dolore e quello della Madonna facciano sì che, almeno in piccola parte, i nostri cuori siano spezzati, cioè morti alla speranza che le cose di questo mondo ci possano rendere felici, e che possiamo vivere unicamente per una promessa incontrata in carne ed ossa su questa terra, ma non di questa terra. Il che significa vivere nel suo cammino di salvezza. Il mondo non tarda ad accettare il nostro invito di spezzarci il cuore fino in fondo. Ma senza questo spezzarsi del cuore, le cose di questo mondo (affetti, soddisfazioni, salute, tutto ciò su cui contiamo) diventano una prigione per noi. C’è un dolore indicibile in questo incontro, ma vince l’esperienza della comunione e con distacco aiutano uno all’altra ad andare avanti, fino in fondo. La loro libertà nell’andare avanti ci faccia chiedere anche per noi una libertà così, per la salvezza nostra e del mondo.

V stazione: Gesù è aiutato a portare la croce da Simone di Cirene

Una cosa è certa: Simone, il Cireneo, non ha scelto lui questa croce e non era cosciente di averla meritata in nessun modo. Era solo una pura ingiustizia e, per quanto capiva lui, una immeritata ingiustizia. Era terrorizzato, preso dai soldati e obbligato da loro a portare un peso ( e questa era una cosa comune) ma si trattava di “questo” peso, macchiato dal sangue del condannato, dopo averlo posto accanto a lui in questo compito. Ogni volta che contemplo l’episodio di Simone capisco questo: nel Vangelo
di Marco ci sono anche i nomi dei suoi figli, Alessandro e Rufo; perché sappiamo questi nomi? Sappiamo anche che era di Cirene, che quel giorno aveva lavorato nei campi e stava tornando a casa. Ci sono tante informazioni. Perché? Perché in quel gesto di immeritata condanna lui si è trovato amato, proprio in quel gesto violento, con il quale era stato preso tra la folla e buttato sotto
un peso schifoso e pieno di sangue per accompagnare un po’ la sorte di un condannato. Improvvisamente si è trovato amato e perciò, sotto quel peso, non voleva più andarsene da quella compagnia ed è rimasto; così i Vangeli sono pieni di informazioni su di lui. Perché lui non è mai andato via dalla compagnia cristiana. L’esperienza della comunione ha vinto in lui ogni disgusto e paura dell’apparenza. Che sia così anche per noi! Quella cosa che riteniamo ingiusta, e forse non lo è, quando ci capita ci porta a ribellarci, a voler prendere in mano una spada per eliminare il nemico, ma possiamo almeno fare una domanda “Tu sei qui,
o Cristo, amami qui!” E’ un nuovo mondo, ascoltiamo questo invito.



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VI stazione: Santa Veronica asciuga il volto di Gesù

Siamo imbevuti delle nostre capacità, quanto ci sentiamo potenti, capaci di cambiare il mondo, trasformarlo secondo la nostra immagine! Ovunque si trovano articoli e si sentono discorsi in questo senso, per esempio su che tipo di educazione dare ai giovani allo scopo di cambiare il mondo. Quando vedo la Veronica io penso questo: lei cosa poteva fare per cambiare il mondo, l’ingiustizia in giustizia, la condanna in grazia, la bruttezza in bellezza, la morte in vita? Niente. Però ha fatto una cosa: è andata vicino a uno che faceva paura, mentre provocava compassione. E’ facile pensare: per fortuna non ci siamo trovati noi in quella situazione! Noi non cambiamo il mondo, ma Dio ci dà la possibilità, come con la Veronica, di amare l’uomo e questo cambia tutto. La prima cosa che viene cambiata non è la sofferenza a cui ci si avvicina, ma siamo noi. E il frutto di ciò che ha fatto la Veronica è che l’immagine di Cristo è rimasta con lei. E’ lei che è cambiata, è stata trasformata nell’immagine di Cristo.  Conosciamo tutti la vicenda. Ma a noi viene da pensare: io ci andrò quando avrò la forza, mi avvicinerò quando avrò qualcosa da dire. Ricordo l’esperienza di un amico che mi ha chiamato in un momento di difficoltà. Viveva da moltissimi anni un’esperienza di vita cristiana attiva e missionaria e seguiva da tempo una famiglia che quel giorno aveva subito una tragedia indicibile, la morte di una figlia che era stata uccisa crudelmente. Lui non voleva andare da loro perché non sapeva che cosa dire per poter cambiare le cose e tutte le sue certezze sono venute meno. Lo ho invitato ad andarci sentendosi povero come lo erano loro, ma con una
domanda pressante: ”Dove sei, o Cristo, dove sei?” Così ha fatto e dopo mi ha dato testimonianza di tutto ciò che ha visto nella settimana successiva: lui è stato cambiato. Chiediamo di vivere questa esperienza della Veronica, almeno avvicinandoci
con la domanda: ”Dove sei, o Cristo?” Lui farà quello che vuole, ma sappiamo che avvicinandoci alla sofferenza per compassione di lui, veniamo cambiati noi.

VII: seconda caduta di Gesù

Pensiamo alla nostra impotenza davanti ai desideri, alle sfide, alla nostra debolezza esposta a tutti, a quelli che non ci amano, che ci vogliono male: dobbiamo apparire davanti a loro inermi. Ma non è impotenza se di mezzo c’è l’obbedienza, non lo è la caduta se avviene nell’obbedienza. Non è fallire ma compiere la volontà di Dio, cioè partecipare alla vittoria di Cristo. Madre Teresa, quando le chiedevano come era possibile avere la sua gioia, era solita dire: “E’ semplice, date finché non vi faccia male e poi avrete gioia.” Che cosa vuol dire? Significa: date finché non provate paura per quello che avete dovuto fare, per quanto avete “perso”, finché non siete usciti dal vostro campo di sicurezze per vivere della sicurezza di Cristo. La sua promessa si farà sentire e così si sperimenterà la libertà, credendo veramente alla sua promessa di vita, nella gioia. Volete la mia gioia? Date finché non vi faccia male! Gesù dunque è caduto una seconda volta. Certo lui è Gesù, ma sappiamo che la notte prima era entrato nella sua  agonia, pienamente, e si era manifestata con il suo sudore diventato gocce di sangue. Che cosa significa? Per fare questo  cammino lui si era spogliato della sua natura divina, come dice San Paolo; non ha fatto queste cose per finta, non è caduto per finta, né morto per finta. Si è spogliato per andare in fondo, non solo nella nostra impotenza, ma sperimentando anche ogni distanza da Dio che sentiamo noi, anche quella distanza che cerchiamo da Dio pur di avere il potere di proteggerci dal mondo che ci fa così male. La seconda caduta, che non è l’ultima, è cadere davanti a quelli che non ti amano, come strada della vittoria di Dio, perché lì di mezzo c’è l’obbedienza.

VIII stazione: Gesù consola le donne di Gerusalemme

Come è grande l’amore di Dio! Non è per finta che Gesù, figlio di Maria, perdendo tutto il suo sangue, tutte le sue forze, cieco,  invaso da un dolore straziante, si accorge del pianto di queste donne e lui ha compassione di loro. Ecco la forza dell’obbedienza dentro l’impotenza, quando sei lì, umiliato per l’ennesima volta, anche a causa dei tuoi molti peccati ed errori, oltre che per le ingiustizie degli altri, la loro incuranza. Se siamo lì per camminare con lui, in obbedienza alla volontà di Dio, non siamo del tutto smarriti, non lo è il nostro cuore. Lui in quelle condizioni miserabili ha detto “Non piangete per me, ma per voi stessi”. Gesù vedeva fino in fondo a quale sciagura andava incontro quel popolo. I cristiani dopo di lui hanno sempre visto questo come una profezia della distruzione di Gerusalemme, 30 anni dopo la sua morte. Anche in quelle condizioni lui ebbe compassione degli altri. Non è fuori dalla nostra esperienza che anche nell’ umiliazione, a volte immeritata, se possiamo minimamente dire di sì a Cristo, stare lì per obbedienza, non siamo smarriti, siamo vivi, presenti fino al punto di guardare chi guarda noi con compassione e avere compassione di lui che non conosce la gioia data dall’obbedienza che stiamo vivendo in quel momento.
C’è un importante racconto di Tolstoj in cui il protagonista, quando sta per morire di una malattia terribile è circondato dalla  famiglia che è lì per puro dovere perché terrorizzata dalla scena della sua agonia. Lui è incapace di comunicare, e finalmente però cede alla voce interiore, a Dio, e comincia a starci, soffuso dalla gioia e da un senso di vita eterna, là dove tutti vedevano solo orrore. Lui stesso aveva provocato quella situazione, per orgoglio e avidità, ma lì ha incontrato Dio, cedendo a Lui viveva già la gioia della casa del Padre. Per quelli attorno a lui, sembra infernale. La differenza sta nell’accettare di camminare ogni momento con Cristo.

IX stazione: Gesù cade per la terza volta

Una volta qualcuno ha chiesto a Madre Teresa: “Come posso essere umile come lo sei tu?” e lei, guardandolo in faccia, ha detto: ”Chiedi tante umiliazioni!”. Non è piacevole questo. Che cos’è l’umiltà? E’ forse la cosa più impossibile per l’uomo, è preferire la realtà, e in genere è tutta un’altra realtà da quella che si preferirebbe. Ma l’incontro si fa lì, ed è ciò che apre all’ipotesi che la creazione è una cosa buona, è fatta per noi. Cristo è caduto una terza volta, ne contempliamo tre, ma chissà quante volte è caduto! Lui è caduto innocente, mentre noi spesso cadiamo non tanto innocenti, eppure possiamo insieme a lui tornare alla volontà di Dio, cercandola nella realtà, preferendo la realtà, dove c’è la possibilità di incontrare il Suo amore e conformarsi alla Sua volontà, cioè entrare nella vita eterna. L’umiltà è preferire la realtà, non è altro, e per questo ci dà una cosa che nessun’altra esperienza può dare: oltre ad essere umile, Madre Teresa era anche stupendamente e follemente coraggiosa. C’è un film documentario su questa santa che lei stessa ha detto essere il documento che più di ogni altro mostra la sua vita. E’ stato realizzato da due sorelle non credenti che per un anno e mezzo l’hanno seguita e nel 1983 si sono trovate con lei in Libano, quando ci fu un bagno di sangue. Arrivate lì si incontrarono con tutti i capi della Chiesa Cattolica per sapere quale fosse il bisogno più grande. Nella parte musulmana della città c’era un orfanotrofio per bambini handicappati, da più di una settimana completamente abbandonati in quanto tutti gli adulti erano fuggiti. Lei ha deciso di andare là anche se tutti la guardavano come se fosse matta e la invitavano ad ascoltare il rumore delle bombe che cadevano in quella zona. Ha deciso di andarci il mattino
seguente, anche se nessuno era d’accordo; tutti sollevavano obiezioni, pur essendo validi uomini di Chiesa. Lei disse che avrebbe digiunato e pregato tutta la notte chiedendo a Dio che venisse proclamato un cessate il fuoco, insistendo sul fatto che sarebbero partiti il mattino seguente. Così avvenne durante la notte, cioè fu proclamato in modo unilaterale, un cessate fuoco. Dove si impara l’umiltà allora? Madre Teresa ha detto attraverso le umiliazioni. Il coraggio nasce lì, l’umiltà nasce in chi dice “Obbedisco a te, o Dio” e così viene salvato il mondo: lì nasce il coraggio di seguirlo alla morte. Gesù cade per la terza volta, andiamo con lui.

X stazione: Gesù è spogliato delle vesti

Questo è un momento drammatico, per più di un motivo. Uno è sicuramente legato al dolore fisico, infatti sull’uomo della sindone di Torino è stato possibile contare 4680 piaghe aperte; tutto il sangue uscito mentre era ancora coperto dagli abiti ha fatto sì che questi si siano attaccati alla pelle così, quando sono stati tolti, ognuna di quelle piaghe ha determinato una esplosione di dolore. Ma non c’è stato solo quello: è seguita l’umiliazione finale, quando è stato messo veramente a nudo e non siamo in grado di guardare una cosa così. Era nudo davanti a chi lo odiava. La sua nudità era terribile, era ridotto molto male, non era bello da vedere. Il Vangelo dice che gli rivolgevano insulti ed offese ridendo di lui. Per noi la cosa peggiore è essere messi a nudo davanti a chi ci vuole male. Gesù ci sta portando alla liberazione, quando tutto diventa obbedienza fiduciosa alla volontà del Padre e così veniamo liberati dalla paura che ci rende schiavi di satana, della menzogna. Tutto è messo a nudo. Se desideriamo la compassione di Dio dobbiamo avere il coraggio di chiedere di non nasconderci al Suo sguardo. Il modo più immediato per non essere più nascosti allo sguardo di Dio è di non fuggire nemmeno dallo sguardo degli uomini. Niente più finzioni, niente più storie. Messi a nudo, come pagliacci di cui ridono, eppure lì ci troviamo accompagnati e salvati e quindi non abbiamo più paura dello sguardo degli uomini. Non possiamo nemmeno immaginare che cosa sarebbe vivere senza avere più paura dello sguardo degli uomini, tanto più di quello sguardo che ci vede dallo specchio e ci accusa giorno dopo giorno. Seguiamolo, messi a nudo come lui; è terribile, ma la liberazione è questo. Così non abbiamo più nulla da perdere e viviamo di lui.

XI stazione: Gesù è inchiodato sulla croce

Cristo è inchiodato alla croce: abbiamo visto tutta la violenza con la quale è stato fissato alla croce, eppure la verità è che ci va volentieri, lui è libero. Chiodi enormi trafiggono il suo corpo per far sì che non si sposti, ma lui è fissato lì non da quei chiodi. L’apparenza inganna, anche nella nostra vita. Possiamo essere dei perdenti, tutti ci guardano con commiserazione, con distanza, con fastidio, e lo si capisce, ma può nascere in noi, attraverso questa esperienza, la grazia che qualcosa in noi dica di sì.

XII stazione: Gesù muore in croce

Le ultime parole di Gesù, almeno in Giovanni, sono state “è compiuto”, cioè è finito. Nessuno gli ha strappato la vita, lui l’ha consegnata: è un’opera compiuta, non fallita. Così può diventare la nostra morte, quella di chi ci è caro, di chi è un tesoro
per noi, nel cui amore abbiamo investito la nostra esistenza, la nostra vita, le nostre speranze. Come è stupenda la vita! Questa morte, questo silenzio, questa assenza sono la possibilità di una consegna. Non è mai troppo tardi per dire “Nelle tue mani, Signore, consegno il mio tesoro”. L’apparenza inganna perché la realtà è molto di più dell’apparenza; la realtà è anche esperienza, che è l’apparenza quando ci parla di uno che ci ha creati per sé, per amore. Visitando il museo del Cairo, si vedono migliaia di esemplari di statue di faraoni, ognuna più perfetta dell’altra. In una sezione, poi, c’è la tomba di Akhenaton, che era un tipo un po’ originale. Sosteneva che non esistono tutti gli dei in cui gli altri credevano, per lui era chiaro che dio è uno solo e serve
un po’ di realismo. Costruì una nuova capitale, un nuovo tempio per un nuovo culto, imponendo anche un diverso modo di esprimere l’arte, attraverso il realismo. C’è la statua sua e quella della consorte e non sono così perfette, tutto l’aspetto rispecchia i limiti e i difetti fisici che avevano. Vedendolo ho pensato che non era tanto bello e ho capito che il realismo non consiste nel copiare l’apparenza, ma nel rispettare l’esperienza, anche dell’ideale della promessa, della croce, della morte e della sconfitta. Per
stare lì uno non deve dimenticare l’esperienza di una promessa, di un miracolo, di un amore che c’era, non era illusione, immaginazione, fantasia.
Guardando la morte, non dimenticare. Il realismo è una fedeltà all’esperienza.

XIII stazione: Gesù è deposto dalla croce

Con che cura le donne e Nicodemo deposero quel corpo e lo portarono alla sepoltura! L’apparenza era orrenda, ma non si fermarono ad essa; lo portavano nella memoria dell’esperienza, vissuta con lui, fatta da lui, nella memoria, anche penosa, di tutta la promessa della sua vita, del rapporto con lui, dello stare dietro a lui. Non potevano non vivere nella memoria di tutto ciò e perciò con tenerezza hanno raccolto quel corpo massacrato, di certo non bello, esito di una cosa infame e in cui era quasi impossibile riconoscere l’uomo che avevano seguito. Dentro di loro, anche se l’apparenza diceva che era tutto finito male, come
un incubo, sapevano che l’unica cosa ragionevole era aiutarsi a vicenda a ricordare l’esperienza. Vediamo questo oggi, di nuovo, grazie a Dio. Lui non ha finito con noi. Ci darà tante occasioni ancora in cui a noi conviene vivere non dell’apparenza, ma nella memoria dell’esperienza del cammino fatto con lui, per poter avvicinare teneramente le persone che abbiamo davanti, i rapporti che ci sembrano distrutti, le amicizie che paiono sparite, le alleanze che sono virate in inimicizia, tutte queste cose diventate per noi orrende, possiamo guardare con compassione e speranza queste cose perché viviamo memori dell’esperienza del cammino che compiamo con lui. L’apparenza dice “sconfitta” ma l’esperienza con Lui ci dice “sperate ancora.” E’ la promessa vera che riceviamo qui.

XIV stazione: scommettere su Gesù

Le donne dopo la sepoltura di Gesù stavano a guardare a distanza. Perché stavano a distanza? L’esperienza della verità del cammino fatto con lui diceva nel loro cuore “è tutto finito?” Tutto è sepolto, ma non può finire così, è un incubo ma non può finire così. Credevano già nella resurrezione? Non lo so, ma una cosa è certa: credevano che la vita promessa da Cristo e dal
cammino fatto con lui era così vera che, anche in quel momento, una lealtà con quell’esperienza non permetteva di dire “era tutta una illusione, tutto falso”. Quindi nascevano solo queste parole: non può finire così, l’apparenza dice questo, ma l’esperienza dice NO! Che cos’è la vita cristiana? La Madonna nei suoi messaggi ripete spesso: decidetevi per Dio. Io aggiungo anche una parola mia perché credo che corrisponda a quello che sta dicendo lei. Dobbiamo scommettere su qualcosa nella vita. Possiamo farlo su noi stessi, ma chi si è guardato allo specchio questa mattina ha capito che forse non è la strada giusta. Si può scommettere su tante cose: le nuove tecnologie, sulle persone che ci amano ( è già qualcosa), ma anche loro devono guardarsi allo specchio. No. Anche l’esperienza più vera di amicizia con le persone intorno a noi ci fa dire: scommetto su Dio. Che cosa vuol dire scommettere? La dipendenza dal gioco è una cosa terribile, ma come le altre dipendenze permette di capire che cosa sta succedendo: quell’esperienza di scommettere sul destino significa che sei vivo. In cuor tuo stai dicendo che la vita può e deve essere di più. Farlo con il gioco è un inganno totale, una tragedia, ma la dinamica che sta sotto si può comprendere.
Scommettere sul matrimonio è vocazione, ma se significa scommettere sullo sposo o la sposa potrebbe non andare bene. Essendo una vocazione, la scommessa è su chi ci ha chiamato. Questo sì è per Dio. La prima conversazione che ho avuto con don Giussani era proprio su questa affermazione del “di più”, della scommessa, della vita. Lui aveva parlato per più di due ore di questo ed io, che stavo imparando l’italiano da poche settimane, sono andato da lui dicendo che avevo una domanda. Mi ha chiesto quale fosse. Allora ho domandato in che cosa consiste questo “di più” di cui aveva parlato. Ha voluto sapere perché glielo
chiedevo, così ho risposto che avevo da poco terminato i miei studi a Berkley ( una delle fonti mondiali del pensiero cristiano anticristiano) dove tutti parlano di un di più che consiste negli aspetti rivoluzionari che avevano in mente loro. Lui ha alzato la mano dicendo “La tua domanda non mi interessa affatto!” e se ne è andato. Perché? Perché io non stavo parlando della mia esperienza del di più. Era sdegnato per aver perso trenta secondi della sua vita in una conversazione che era solo pura dialettica, utile per vincere in un dibattito. Avrebbe fatto di tutto solo per aiutarmi ad andare in fondo a quell’esperienza su cui scommettevo, per questo avrebbe dato anche la vita. Su questo dobbiamo scommettere, non sull’avere ragione. E’ terribile quanto ci sentiamo protetti e sicuri quando qualcuno ci dice che abbiamo ragione. Per vivere il di più ci vuole solamente una piccola frazione di questo “di più”, quella sufficiente a farmi riconoscere la parte di esperienza che mi dice “scommetti su di me; ogni apparenza poi potrà essere contraria ma, ora, scommetti su di me”.
Questo è ciò che chiede la Madonna quando dice “convertitevi!”.

 

QUI la Via Crucis con le meditazioni di don Vincent Nagle scaricabile in pdf

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SUL BLOG DI COSTANZA MIRIANO

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