Ieri è stato il terzo anniversario dalla pubblicazione del testo della discussissima esortazione apostolica postsinodale di Papa Francesco. Accusata da più parti di aver minato le fondamenta della sana dottrina cattolica in fatto di sacramentaria e di prassi pastorale (anche se le riforme canoniche del Romano Pontefice dànno l’impressione di una stretta sulla formazione al matrimonio e sui processi canonici), sembra giunto dopo un primo triennio il momento di un bilancio. Abbiamo allora contattato un sacerdote e teologo perugino che fin da tempi non sospetti “non ha avuto paura della tenerezza”.
Io penso che qualche effetto positivo l’abbia avuto, anche se forse non come ci si aspettava; secondo me questa è veramente la Magna Charta di un nuovo modo di pensare la pastorale famigliare, dai giovani fidanzati agli sposi alle coppie in difficoltà. Girando per le diocesi io vedo che si tiene conto di questo in vari àmbiti. Poi dipende dai contesti: tutte le diocesi hanno fatto dei convegni e ogni volta si ribadiscono questi punti… se successivamente si approfondisca bene dipende da tanti fattori. Comunque io penso che sostanzialmente sia stato un momento positivo: se poi dimentichiamo subito le cose il discorso è un altro…
L’intervista
A parlare così è don Carlo Rocchetta, sacerdote perugino che da decenni scrive di “teologia della tenerezza” (ben prima che il termine “tenerezza” venisse sdoganato a livello ecclesiale e finisse sulla bocca di tutti). Lo abbiamo incontrato per chiedergli un consuntivo teologico-pastorale di questi primi tre anni (ieri l’anniversario della pubblicazione del testo) di Amoris lætitia. Nella fattispecie, qui stava rispondendo alla domanda sull’impatto pastorale dell’Esortazione apostolica, posto che alcuni si aspettavano mirabili rivoluzioni, altri immani catastrofi. Poiché monsignor Rocchetta è – oltre che un appassionato pastoralista – anche un fine teologo, e visto che in questi tre anni non si è impegolato nella bagarre pro o contro, gli abbiamo chiesto un giudizio complessivo e sintetico sul documento. Questa la sua risposta:
Io l’ho apprezzata moltissimo: ho scritto un libro – Una Chiesa della tenerezza – in cui commento capitolo per capitolo l’Amoris lætitia, facendo vedere anche il sottofondo teologico che c’è dietro. Perché a prima lettura può sembrare un testo, come dire, “discorsivo”, e invece c’è un solido impianto dottrinale a sostegno. Anche l’ottavo capitolo, che ha fatto tanto discutere, se inteso bene, è perfetto, è straordinario… veramente è uno dei più alti documenti che io abbia mai letto. Apparentemente sembra un po’ confusionario, in realtà c’è una struttura, c’è analisi, c’è teologia, c’è pastorale… il problema è che se non studiano bene tutto viene vanificato…
L’ottavo capitolo va capito: i lassisti dicono “il Papa ha dato accesso a tutti”; i rigoristi dicono “non è cambiato niente”. Il discorso del Papa è molto più articolato: non si tratta di dare permessi, bensì di far fare percorsi alle singole persone. Un percorso di maturazione seguiti da un pastore, facendo un lavoro interno… e poi sarà la loro coscienza – se arriverà quel momento – a prendere certe decisioni. Io ho visto che funziona, perché quando si fa fare un cammino ben impostato, poi le persone ci pensano bene: l’importante è che sia un cammino serio, documentato, in cui veramente ci si metta in gioco.
In tal senso la posizione del Papa è perfetta, perché non dice “andate a fare la comunione”, e nemmeno “non andate”: dice “fate un cammino”. Se alla fine del cammino, guidati da qualcuno (quindi non in maniera soggettiva), sentite che potete accostarvi, è una scelta vostra. È una questione di responsabilità. Ricordiamoci inoltre che le “eccezioni” ci sono sempre state, fin dai primi secoli: per ragioni pastorali i Padri hanno fatto simili concessioni. È chiaro che il matrimonio è unico: non è stato mai ammesso il secondo matrimonio! La posizione del Papa è molto intelligente e sfumata: se poi uno non la interpreta bene cade in uno dei due opposti.
Oppure, chioseremmo, ne attribuisce uno a scelta al Papa stesso. Che è il caso più comune nella blogosfera, specie in quest’epoca che vede le opinioni germogliare non al sole della ragione ma sotto il vento delle contrapposizioni.
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L’indissolubilità del matrimonio
Giova a tal proposito tornare ad alcune pagine del volume di mons. Rocchetta a cui facevamo cenno. In Una Chiesa della Tenerezza leggiamo infatti:
La verità di fede, sottesa a tutta l’esortazione, da mettere immediatamente a fuoco riguarda l’indissolubilità del matrimonio-sacramento. Non è inutile ricordare il contesto dei due sinodi, quello straordinario e quello ordinario. Durante gli anni della loro celebrazione, si era fatta avanti l’ipotesi del cardinale tedesco W. Kasper, incautamente espressa dallo stesso prelato alla stampa e in televisione: la Chiesa cattolica avrebbe dovuto consentire un secondo o un terzo matrimonio, di carattere penitenziale, in linea con la posizione della Chiesa ortodossa. Papa Francesco non ha assolutamente accettato o fatto propria quella posizione, e nella solenne messa di apertura del sinodo ordinario, davanti a 270 vescovi di tutto il mondo, ha ribadito la dottrina della Chiesa cattolica sull’indissolubilità del matrimonio-sacramento, invitando a coniugare sempre verità e carità. La verità non muta con le opinioni di qualcuno o con le mode passeggere, così come rimane vero che la verità senza carità sarebbe vuota.
Carlo Rocchetta, Una Chiesa della Tenerezza 206-207
Come si vede, Rocchetta è nettissimo sul punto – «sarebbe stato un grave errore, se non un’eresia, accettare la possibilità di un secondo o di un terzo matrimonio» –, e spiega:
Una cosa dunque è la questione dell’eventuale comunione ai divorziati risposati, in specifici casi e dopo un attento cammino di discernimento, com’è stato dibattuto durante il sinodo e come viene delineato nell’AL ai nn. 300-305; altra cosa accettare un secondo o un terzo matrimonio. Non si devono confondere le due problematiche.
Ivi, 207
La dottrina sull’indissolubilità è illustrata da mons. Rocchetta con pagine chiare come questa:
Gli sposi (o uno dei due) potranno misconoscere questo vincolo, potranno perdere la grazia santificante col peccato mortale, ma non potranno mai cancellare il vincolo stesso inscritto in loro con il sacramento. E tale è il senso dell’indissolubilità del matrimonio: una relazione di appartenenza unica che lega sacramentalmente i due sposi, introducendoli nell’alleanza definitiva di Cristo con la Chiesa (AL 218). Né si può dimenticare come il vincolo indissolubile rimandi a un valore antropologico di primaria grandezza in quanto sottrae le persone all’arbitrio individuale e l’amore di coppia alla tirannia delle emozioni passeggere, donando agli sposi la grazia che viene da Dio per affrontare insieme le difficoltà e vincerle. L’amore coniugale non è un istinto o una mera attrazione sensibile, ma una decisione consapevole e una dedizione incondizionata. Non è forse la stessa concezione dell’amore tra un uomo e una donna, quando sia vera e non superficiale, a reclamare una durata indistruttibile e una dedizione totale?
Ivi, 208
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“Fare percorsi”, non “dare permessi”
Nell’ottavo capitolo del libro di mons. Rocchetta (che sviscera l’analogo capitolo dell’Esortazione Apostolica) il teologo ricorda che c’è differenza tra le unioni che «contraddicono radicalmente l’ideale» del matrimonio e quelle che «lo realizzano in modo parziale e analogo». Passa quindi a illustrare le diverse opportunità pastorali innescate da situazioni di convivenza o di matrimonio civile, che possono essere viste come punti di partenza per un cammino diretto alla pienezza della vita sacramentale (la quale del resto non è certo data all’uomo semel pro semper, bensì sempre va rinnovata e approfondita). Giunge poi alle situazioni dette irregolari e schematizza:
La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero (AL 296).
Muovendo da questa opzione, si devono
evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione (AL 296).
L’orizzonte pastorale cui il papa si volge è quello di una Chiesa che cerca tutti, affinché ogni battezzato si senta oggetto della misericordia gratuita di Dio.
La Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno. Sa bene che Gesù stesso si presenta come Pastore di cento pecore, non di novantanove. Le vuole tutte (AL 309).
Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino (AL 297).
Tutto ciò non può ovviamente valere per quanti non si riconoscono peccatori e non accettano di rivedere la propria vita e convertirsi: Dio non salva chi intenzionalmente o ostinatamente non vuole essere salvato! Lo stesso è costretta a fare la Chiesa. E tuttavia anche di fronte a situazioni di questo genere occorre ricercare una qualche forma di annuncio che chiami ognuno a uscire dalle proprie prigioni e lo guidi, per quanto possibile, verso una ricerca di comunione ecclesiale.
Ivi, 213
Rocchetta prosegue poi rintracciando intelligentemente i prodromi dei capitoli più controversi di Amoris lætitia in una storia di continua riforma (e di continuità riformata) che porta alcune rigide normative del Codice di Diritto Canonico pio-benedettino a una distensione conciliare e postconciliare che tutto è fuorché fine a sé stessa: al contrario, essa è strumentale all’annuncio di una tenerezza eterna e incondizionata da parte di Dio, che funge da evangelizzazione proprio in quanto ostende alle persone da quale amore si stanno tenendo a distanza con una vita invischiata nel peccato.
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L’accoglienza dei divorziati risposati nella vita pastorale della Chiesa, dunque, non nasce con “il pontificato bergogliano”, ma ha precedenti in Benedetto XVI (cf. Sacramentum caritatis 29 e Sulla pastorale dei divorziati risposati, CdF 1998) e in Giovanni Paolo II (cf. allocuzione all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia del 1997).
Dal punto di vista della teologia morale propria dell’Esortazione, Rocchetta riconosce nella nota 336, relativa ad AL 300, il passaggio fondamentale:
[…] il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave.
E lo commenta così:
Fondamentale, in questo ambito, è la distinzione tra condizione oggettiva e condizione soggettiva di peccato e la diversa valutazione di responsabilità morale per i singoli casi; un’asserzione che ha fatto e fa tutt’oggi tanto discutere, ma che corrisponde in definitiva alla dottrina tradizionale della Chiesa sui condizionamenti e i fattori attenuanti dell’atto morale.
Altrettanto importante è la famigerata nota 351, ove si parla di “certi casi” e si profila (al condizionale) la possibilità di permettere l’accesso ai sacramenti (non come premio – ché mai i sacramenti sono tali – bensì come aiuto nel cammino). E poi le “sette domande” esemplificative con cui avviare il suddetto cammino; e ancora “il percorso” della Chiesa argentina, che Papa Francesco ha voluto incorniciare negli Acta Apostolicæ Sedis conferendogli dignità magisteriale universale. Sintetizza Rocchetta:
La delicatezza del discernimento si colloca in questo spazio intermedio in cui è in gioco, in pari tempo, sia l’oggettività della norma e la situazione vissuta, sia la soggettività dei singoli e delle loro coscienze. Compito del discernimento è trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita, talvolta attraverso gli stessi limiti umani. […]
La consapevolezza della possibilità di circostanze attenuanti – psicologiche, storiche e perfino biologiche – non può dunque condurre i pastori e gli operatori pastorali ad abbassare il valore dell’ideale evangelico del matrimonio, nello stesso tempo in cui li impegna ad accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone. In questo atteggiamento, il papa si muove «nella grande tradizione prudenziale della Chiesa», come ha affermato con autorevolezza il cardinale Christoph Schönborn nella presentazione del documento.
Ivi, 224-225 passim
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Le “eccezioni” antiche
Ma forse qualcuno avrà lasciato un segno nei primi paragrafi di questo testo, lì dove riportavamo le parole di mons. Rocchetta sulle “eccezioni” che «ci sono sempre state, fin dai primi secoli». Probabilmente quel qualcuno vorrebbe sapere di più in merito, anche per il giusto peso che avrà imparato a tributare al valore dell’esperienza e della tradizione ecclesiastiche. Ebbene l’autore ne aveva parlato al termine dell’Introduzione al suo libro, data in Perugia «a un anno dalla pubblicazione di Amoris lætitia»:
Pur essendo consapevoli della natura indissolubile del matrimonio e pur non ammettendo un secondo matrimonio, sembra infatti che alcuni [fra i Padri] non escludessero singole eccezioni a sfondo pastorale: spiegava l’allora cardinal Ratzinger:
La Chiesa del tempo dei padri esclude chiaramente divorzio e nuove nozze, e ciò per fedele obbedienza al Nuovo Testamento. Nella Chiesa del tempo dei padri i fedeli divorziati risposati non furono mai ammessi ufficialmente alla sacra comunione. È vero invece che la Chiesa non ha sempre rigorosamente revocato in singoli paesi concessioni in materia di comunione, anche se esse erano qualificate come non compatibili con la dottrina e la disciplina. Sembra che singoli padri, ad es. Leone Magno, abbiano cercato soluzioni “pastorali per rari casi limite”» [Congregazione per la dottrina della fede, Sulla pastorale dei divorziati risposati. Documenti, commenti e studi, Città del Vaticano 2010, 88-98].
Ivi, 22 (n. 16)