La vanagloria è il pericolo più grande per la nostra fede e per la nostra stessa felicità. Non confidiamo in noi stessi, non cerchiamo gloria gli uni dagli altri, ma trasformiamoci in canto di lode a Dio, come Santa Elisabetta della Trinità.
Dalla vanagloria narcisistica alla gloria di Dio della vita nuova
Paura di non essere. E’ impossibile sopportare d’essere senza identità, e scorrere sui giorni come i titoli di coda di un film che nessuno legge mai. Bisogna assolutamente escogitare qualcosa per essere protagonisti e conquistarsi un ruolo, come gli animali che delimitano il proprio territorio. Come per un rapito, dobbiamo esibire una prova che siamo ancora vivi, altrimenti chi pagherà mai il riscatto per noi? Ma tutto quello che ci agita per cercare di essere è pura vana-gloria:
La vanità, il vantarsi di se stessi, è un atteggiamento della mondanità spirituale, che è il peccato peggiore nella Chiesa. La mondanità spirituale è un antropocentrismo religioso che ha degli aspetti gnostici. Chi cede a questa vanità autoreferenziale in fondo nasconde una miseria molto grande. (Card. J. Bergoglio – Papa Francesco).
Aveva ben ragione san Girolamo di paragonare la vanagloria all’ombra. Difatti l’ombra segue dovunque il corpo, ne misura persino i passi. Fugge questo, fugge anche lei; cammina a passo lento, anche lei a lui si uniforma; siede ed anche allora prende la stessa posizione. Lo stesso fa la vanagloria, segue dovunque la virtù. Invano cercherebbe il corpo fuggire la sua ombra, questa sempre e dovunque la segue e le va appresso. (Padre Pio da Petralcina, Ep.I, 398)
Se credi in te stesso, non credi in Lui!
male sottile, segreto veleno, peste occulta, artefice d’inganni, madre dell’ipocrisia, dell’invidia, sorgente dei vizi, fomite di delitti, ruggine delle virtù, verme roditore della santità, accecamento dei cuori, che cambia i rimedi in malattie e fa della medicina una causa di languore. (Serm. VI. in Psalm)
Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamerisco nella steppa;non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. (Ger. 17, 5 ss)
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Non confidiamo negli altri come in falsi profeti!
La superbia, come la radice di tutti i peccati, è arroganza, che vuole soprattutto potere, apparenza, apparire agli occhi degli altri, essere qualcuno o qualcosa, non ha l’intenzione di piacere a Dio, ma di piacere a se stessi, di essere accettati dagli altri e – diciamo – venerati dagli altri. L’«io» al centro del mondo: si tratta del mio io superbo, che sa tutto. Se sono arrogante, se sono superbo, vorrei sempre piacere e se non ci riesco sono misero, sono infelice e devo sempre cercare questo piacere. (Benedetto XVI, Lectio divina con i parroci di Roma, 23 febbraio 2012)
La vera differenza la fa l’intimità vera con Cristo. Tutto il resto è vanità!
E non basta “scrutare le Scritture”, far parte di una comunità cristiana, aver “ascoltato mille volte le parole dei profeti”: se non viviamo nell’intimità d’amore con Cristo, contemplando nella preghiera incessante il Suo volto riflesso nei fratelli, ascoltando la sua voce nella predicazione, accogliendo e nutrendoci della sua Parola perché dimori in noi, significa che non abbiamo creduto davvero all’Inviato del Padre, e non siamo mai “andati” a Cristo come piccoli e poveri mendicanti. Per giustificare la propria incredulità i giudei si appellano a Mosè, che aveva visto il volto di Dio, ma Gesù smaschera questa pretesa perché, rifiutando Lui, dimostrano di non avere l’amore capace di riconoscerlo. Anche noi possiamo riempirci la bocca della Parola di Dio, esibire lignaggi di partecipazione alla vita ecclesiale, ma senza amore, senza lo Spirito Santo che induce innanzi tutto a considerare gli altri superiori a sé, tutta la religiosità si rivela per la vanità che la costituisce.
Solo nel Suo nome diventiamo qualcuno e non restiamo ombra, polvere, soffio
Questo è l’inizio dell’essere cristiano: è vivere la verità. L’umiltà è soprattutto verità, vivere nella verità, imparare la verità, imparare che la mia piccolezza è proprio la grandezza, perché così sono importante per il grande tessuto della storia di Dio con l’umanità. Proprio riconoscendo che io sono un pensiero di Dio, della costruzione del suo mondo, e sono insostituibile, proprio così, nella mia piccolezza… imparare ad accettare la mia posizione nella Chiesa, il mio piccolo servizio come grande agli occhi di Dio. E proprio questa umiltà, questo realismo, rende liberi. (Benedetto XVI,Lectio divina con i parroci di Roma, 23 febbraio 2012).
Siamo piccoli ma significanti. L’amore di Dio ci restituisce identità e vero amore al prossimo
L’amore di Dio per la piccolezza di ciascun uomo, scopre il velo su cui urta inesorabilmente la carne, e rivela il volto di suo Figlio in ogni nostro prossimo: siamo chiamati ad accogliere Cristo in chi ci è accanto riconoscendo le sue opere in lui. Accogliere lo sposo come l’amico, la fidanzata come il figlio, non perché viene a noi “nel proprio nome”, quello che identifica l’uomo vecchio che si corrompe dietro alle passioni ingannatrici; ma perché in ciascuno è posto il Nome nuovo di Colui che fa nuove tutte le cose, l’unico Nome nel quale vi è salvezza, su cui fondare ogni relazione, il Nome di Cristo: “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la Gloria di Dio” (cfr. Rm 15). Accogliersi mutuamente per la Gloria di Dio, stendendo le braccia sulla Croce che la diversità dell’altro e la volontà di Dio preparano per me nelle grandi come nelle piccole cose, come Cristo ci ha accolti sulla Croce glorificando così il Padre!:
Io penso che le piccole umiliazioni, che giorno per giorno dobbiamo vivere, sono salubri, perché aiutano ognuno a riconoscere la propria verità ed essere così liberi da questa vanagloria che è contro la verità e non mi può rendere felice e buono. (Benedetto XVI, Lectio divina con i parroci di Roma, 23 febbraio 2012)