Per far rendere conto alle Consorelle di quanto soffrono le anime, fece con loro un “esperimento”Caterina (Catalina) Thomas venne alla luce il 1° maggio 1531 nel piccolo paese di Valldemoza dell’isola di Maiorca (Baleari). Era la penultima di sette figli di un modesto contadino di nome Giacomo: in casa respirò, fin da piccolissima, una fede semplice e profonda. Non avendo la corona del Rosario imparò a dire le Ave Maria contando le foglie di un ramoscello d’ulivo.
La svolta nella vita di Caterina avvenne con l’incontro di Padre Antonio Castaneda (1507-1583), del vicino collegio di Miramar. Era un ottimo sacerdote, vissuto per oltre quarant’anni nel Romitorio della SS. Trinità di Maiorca. Conobbe la giovane pastorella durante le visite alla fattoria e subito ne intuì le virtù non comuni. Con la sua direzione spirituale, Caterina prese la difficile decisione che da tempo portava nel cuore: entrare in monastero.
Lo scontro con gli zii fu inevitabile, essi vedevano nella nipote solo un’analfabeta, per di più senza dote. Fortunatamente il sacerdote ripianò tutte le difficoltà. La collocò come domestica in una nobile famiglia di Palma di Maiorca, i Zaforteza, dove imparò a leggere e a scrivere, e poté, quindi, accostarsi da sola alle letture spirituali. Caterina inoltre si impose una Quaresima austera, cibandosi solo con pane e acqua e mortificando il proprio corpo con una pelle di porcospino, usata come cilicio.
Queste penitenze però compromisero la sua salute. Con l’aiuto di P. Castaneda, benché senza dote, fu accolta, nel 1553, come corista nel Monastero delle Canonichesse Regolari di S. Agostino di Palma, intitolato a Santa Maria Maddalena. Il noviziato durò ben due anni e sette mesi, probabilmente a causa della salute cagionevole (per farsi venire un po’ di colorito masticava grani di pepe). La sua preghiera fervida suscitava l’ammirazione delle consorelle, ma nel suo animo dovette contrastare prove interiori tremende: il demonio la provò duramente.
Professò i voti religiosi il 24 agosto 1555, all’età di ventiquattro anni.
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Indossò la veste dimessa di una consorella e non accettò alcun regalo: le bastava essere finalmente Sposa di Cristo. Le sue orazioni, intanto, cominciarono a diventare estasi e la fama di questi fenomeni oltrepassò le mura del monastero. Cominciarono le visite anche da parte del vescovo di Maiorca, Mons. Giovanbattista Campeggio che, nonostante sapesse di essere in presenza di una semplice suora, sovente le chiedeva consiglio. Vista la popolarità che cominciava a circondarla, suor Caterina non amava presentarsi alla grata, ma, se le era comandato, lo faceva. E così trasmetteva l’amore che sentiva dentro di sé per Dio a quanti la cercavano per avere consiglio, o per curiosità.
Ebbe il dono di scrutare i cuori e per molti voleva dire conversione a vita nuova. Il Signore le manifestò, durante i rapimenti estatici, anche le necessità di persone che non frequentavano il monastero.
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Grande devozione aveva per la Passione di Cristo e meditandola non poteva trattenere le lacrime, ovunque si trovasse: in cella, in coro, in refettorio. Grande amore provava per l’Eucaristia e si recava al tabernacolo più spesso che poteva. A quei tempi non era permessa la Comunione quotidiana, Suor Caterina, ogni volta che la riceveva, ne era trasformata. Pregava per tutti. Oltre che per i peccatori e per i defunti, i suoi pensieri erano per la Chiesa, alle prese con la scissione dei protestanti e col pericolo dei Turchi. Con il passare degli anni i fenomeni estatici divennero più frequenti e, suo malgrado, più appariscenti. Il più lungo, nel 1571, durò ventuno giorni. La fama della sua santità si diffuse in tutta l’isola e anche in Spagna, perché suor Caterina aveva pure il dono dei miracoli, improvvisi ed eclatanti. Lei, per umiltà, preferiva far credere che era una tonta, ma le consorelle sapevano dei suoi espedienti. Il suo confessore, in quegli anni, fu Padre Salvatore Abrines.
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Caterina guardava ormai solo al cielo e il corpo era per la sua anima quasi una prigione. L’ultima estasi durò dal lunedì di Passione (29 marzo) al giorno di Pasqua (4 aprile) del 1574. Morì, come aveva predetto, il giorno successivo, lasciando un esempio di amore incondizionato a Dio.
Quaranta anni dopo, alla prima ricognizione, il corpo fu trovato incorrotto. Il processo di canonizzazione la vide proclamata beata nel 1792 e finalmente, da Papa Pio XI, santa il 22 giugno 1930. Il corpo di Santa Rina, come è detta popolarmente, già dal 1577, ebbe diverse traslazioni fino alla sistemazione definitiva nella cappella del Monastero di Palma di Maiorca.
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Santa Caterina Thomas riguardo alle sue esperienze con le anime purganti disse un giorno alle suore della sua comunità: “Sorelle affinché abbiate un piccolo saggio di ciò che soffre un’anima nel Purgatorio, udirete un gran rumore e fracasso; dove preferite che avventa, in chiesa o nel dormitorio?”. Scelsero la chiesa.
Ed ecco che al primo tocco del mattutino sentirono un rumore così spaventoso, che la suora addetta alla campana rimase svenuta e le lastre mezze morte di paura. Allora suor Caterina disse loro che se un semplice segno era stato così spaventoso, quanto orrende devono essere le pene che effettivamente si soffrono laggiù? E aggiunse: “Se vedeste quello che soffre quest’anima (doveva alludere a qualcuna in particolare), che compassione ne avreste, e come vorreste patire tutti i tormenti di questo mondo per tirarla fuori dalle sue pene” (Thomas A., Vita di S. Caterina Thomas, p. 127; Roma , 1930).
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