Nella preparazione alla Pasqua vale in modo speciale la considerazione che Pascal faceva sulla vita spirituale in genere: «Per essere esauditi da Dio bisogna che l’esteriorità sia unita all’interiorità ovvero che ci si metta in ginocchio, si preghi con le labbra ecc., perché l’uomo orgoglioso che non ha voluto sottomettersi a Dio sia ora sottomesso alla creatura. Attendere il soccorso da questa esteriorità è essere superstiziosi, non volerlo unire all’interiorità significa essere superbi» (Pensées 732 LG).
Anche se è vero che la vita del monaco deve avere sempre un carattere quaresimale, visto che questa virtù è soltanto di pochi insistiamo particolarmente perché almeno durante la Quaresima ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria vita, profittando di quei santi giorni per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell’anno.
Così la Santa Regola di Benedetto comincia il capitolo 49, quello dedicato a “la Quaresima dei monaci”: in un momento in cui – anche grazie a straordinarie mobilitazioni come quella del “Monastero Wi-Fi” – il laicato cattolico italiano volentieri si ispira per la propria vita spirituale alle fonti monastiche (per non parlare del successo planetario della “Benedict Option”), il dettato benedettino rivela importanti spunti di partenza. Con la consueta concisione e compendiosità, difatti, il Santo di Norcia illustrava la natura e i fini della “quadragenaria abstinentia”:
E questo si realizza degnamente – prosegue il medesimo capitolo 49 – astenendosi da ogni peccato e dedicandosi con impegno alla preghiera accompagnata da lacrime di pentimento, dedicandosi pure allo studio della parola di Dio, alla compunzione del cuore e al digiuno.
Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come per esempio preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere, in modo che ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio “con la gioia dello Spirito Santo” qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione monastica; si privi cioè di un po’ di cibo, di vino o di sonno; mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa Pasqua con l’animo fervente di gioioso desiderio.
Ma anche ciò che ciascuno vuole offrire personalmente a Dio dev’essere prima sottoposto umilmente all’abate e poi compiuto con la sua benedizione e approvazione, perché tutto quello che si fa senza il permesso dell’abate sarà considerato come presunzione e vanità, anziché come merito.
Benedetto accenna brevemente a una serie di settori in cui si può esprimere con frutto una attenzione (cioè una “tensione a”) quaresimale, ma in ultimo – cioè soprattutto – mette in guardia dal rischio di concepire l’ascesi come una forma di narcisismo spirituale: la penitenza è sicura di essere vera – e quindi umile e fruttuosa – se e solo se si compie nell’alveo di un percorso ecclesiale.
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Percorso che nel monastero la comunità riconosce assommata e ricapitolata nell’ufficio abbaziale; e che in famiglia (ovvero nel più lato “monastero Wi-Fi”) ogni membro ritrova negli altri. Il marito e la moglie, cioè, essendo reciprocamente sottomessi nel Signore, custodiscono a vicenda la povertà, la castità e l’obbedienza del coniuge; entrambi i genitori debbono vigilare con moderazione e sapienza sulla crescita dei figli nella Grazia; ai figli compete soprattutto l’esercitarsi nel cogliere l’itinerario di crescita che per mezzo dei genitori l’eterno Padre dispone per loro. Se il Padre rivela che dare e disporre è prerogativa divina, il Figlio rivela che ricevere e obbedire è prerogativa ugualmente divina, poiché «uno solo è Dio, che opera tutto in tutti» (1Cor 12, 6), e l’amore che dà, che riceve, che dispone, che obbedisce, è l’unica e semplicissima essenza dello Spirito del Signore. «Dove c’è lo Spirito del Signore c’è la libertà» (2Cor 3, 17), e «questa libertà non deve diventare un pretesto per vivere secondo la carne» (Gal 5, 14), ma «i più forti sostengano i deboli senza compiacersi» (cf. Rom 15, 1), bensì «portando i pesi gli uni degli altri: così si adempie la legge di Cristo» (cf. Gal 6, 2).