separateurCreated with Sketch.

“Povertà come vocazione di vita”. Così padre Jorge Bergoglio l’ha scoperta in Argentina

Papa Francesco, Jorge Bergoglio,
whatsappfacebooktwitter-xemailnative
Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 28/02/19
whatsappfacebooktwitter-xemailnative

Non solo visite ai poveri, aiuto a sofferenti. Essere poveri è qualcosa che staziona nello spirito dell’attuale Papa. Provate a leggere queste sue parole

Padre Jorge Bergoglio ha sempre cercato di vivere austeramente, senza molti averi, come un povero. E nel suo cammino religioso, nel silenzio, ha cercato di adottare quella che per lui è la grande virtù evangelica: la povertà spirituale, essenziale nella vita di san Francesco d’Assisi, dal quale ha preso il nome l’attuale pontefice.

Essere povero di spirito non significa – come suona – avere uno spirito angusto. Il concetto non fa riferimento alla spiritualità ma alla povertà. Essere povero di spirito significa assumere la povertà dallo spirito, come una vera grazia di Dio, non essere attaccato alle cose materiali, alle ricchezze o ai tesori umani che possono essere grandi o piccoli, ma alla fine schiavizzanti.

La povertà è una vera e propria dote del Bergoglio laico, poi sacerdote e vescovo. Javier Cámara e Sebastián Pfaffen in Gli anni oscuri di Bergoglio” (Ancora editrice) spiegano da dove nasce questa sua autentica vocazione.

La mentalità in famiglia

Nato e cresciuto in una famiglia di lavoratori immigrati italiani, Bergoglio ha imparato fin da piccolo a lavorare per guadagnarsi da vivere in maniera degna; però non per spendere o per consumare, ma per vivere e aiutare gli altri a vivere. Per questo padre Jorge ha voluto avere poco per sé, anche se ha sempre lavorato molto. Ha avuto e ha tuttora poco, quasi niente.

La borsa “minimal”

Nella borsa che ha sempre portato con sé – e ancora porta – nei suoi viaggi, entrano quasi tutti i suoi averi: un paio di foto di famiglia e statuette di san Giuseppe e della Vergine. Le due paia di calzini già menzionati. Un cambio di vestiti. Un paio di scarpe. La sua agenda in pelle nera e il breviario. Un rosario. Un paio di libri e niente di più.

A Córdoba, negli anni ’90, faceva già quello che le persone a lui più vicine sanno che fa ancora: quasi tutto quello che gli regalano, lui lo ri-regala.



Leggi anche:
Quando Jorge Bergoglio scese in campo per aiutare i “cartoneros” argentini

La povertà che non esiste

Per Bergoglio è stato sempre importante poter fare l’esperienza della povertà, sapere che una persona da sola non è autosufficiente. Lo ha sperimentato durante il primo anno del suo pontificato, quando ha ricordato una lettera scritta dal padre generale dei gesuiti, Pedro Arrupe. In quella lettera Arrupe aveva scritto che «non si può parlare di povertà se uno non la sperimenta con un inserimento diretto nei posti in cui la si vive». E ha aggiunto il Papa: «Non si può parlare di povertà, di povertà astratta, quella non esiste! La povertà è carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in chi è malato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste».



Leggi anche:
Il “populismo” di Bergoglio che spiega bene il suo agire politico

Sant’Ignazio

St Ignatius of Loyola – fr

© DR

Padre Jorge ha sempre cercato un modo per essere vicino ai sofferenti e ai poveri, come uno di loro. In quegli anni, chiuso nella sua piccola stanza a Córdoba, scrisse che «la mancanza di povertà è portatrice della divisione» degli uomini e delle comunità. E ricordò che sant’Ignazio di Loyola, fondatore dell’Ordine gesuita, diceva che la povertà «era madre e muro di contenzione della vita religiosa».

Così tanta importanza diede sant’Ignazio alla povertà – e, di conseguenza, anche Bergoglio – che nelle costituzioni l’articolo sulla povertà, su questa virtù, è uno di quelli che non può essere modificato se non per renderlo ancora più rigido.



Leggi anche:
I blitz improvvisi di Bergoglio nelle “villas miseria” di Buenos Aires

Il rapporto con Gesù

È che per Bergoglio, la povertà assume un significato maggiore di quello comune. Come dice padre José “Pepe” Di Paola – sacerdote delle baraccopoli porteñas formato in questa teologia dall’allora cardinale Bergoglio – il rapporto di Bergoglio con i poveri «ha a che vedere con la sua fede in Gesù».

Lo stesso Francesco lo ha spiegato tre mesi dopo essere stato eletto papa: «Toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Si direbbe magari la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi per la strada. E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione. Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare fino alla carne di Cristo. Se andiamo verso la carne di Cristo, cominciamo a capire qualcosa, a intendere che è questa la povertà, la povertà del Signore».

Le gioie più belle secondo Bergoglio

La vita povera e vicina ai poveri che ha cercato di incarnare Bergoglio lo ha aiutato a trarre un insegnamento che oggi trasmette il Papa: «Le gioie più belle e spontanee che ho visto nella mia vita sono quelle delle persone povere, che hanno poco a cui aggrapparsi».



Leggi anche:
Le notti di Bergoglio a Cordoba tra preghiera e compagnia ai malati gravi