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Ogni totalitarismo vuole il controllo sulle origini della vita: il sesso e la famiglia

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PEPEONLINE - pubblicato il 15/01/19
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Nel romanzo “Noi” viene descritta una società futura in cui il sesso è diventato un bisogno fisico uguale agli altri e non serve più a procreare. A partire da qui si sviluppa il totalitarismo perfetto, quello in cui ognuno fin dalla nascita è sotto il potere assoluto dello Stato. di Emiliano Fumaneri

«Il principio della famiglia è il sesso», scrive senza pruderie Fabrice Hadjadj. Non è una posizione estremista. È proprio così. La funzione primaria della famiglia, la caratteristica che la differenzia nettamente da altre comunità umane, consiste nel fatto che essa possiede la potenza procreativa. La famiglia prima di tutto è il luogo in cui nascono gli esseri umani.

Avere il pieno controllo sulla vita e sulle sue origini. È il desiderio profondo di ogni ideologia totalitaria. Ciò spiega l’avversione per la famiglia che ha sempre contraddistinto i regimi totalitari, rossi o neri che fossero. Hitler fu il più ingegnoso. Col progetto Lebensborn («Fonte di vita») cercò di creare un sostituto della famiglia per espropriarne la funzione procreativa. Cosa avrebbe potuto fare con le biotecnologie oggi a disposizione?

Ma se volete una rappresentazione plastica dell’odio totalitario per la famiglia allora dovete leggere il romanzo Noi (My, nell’originale), l’utopia negativa dello scrittore russo Evgenij Zamjatin (1884-1937) che illustra alla perfezione la marginalizzazione della famiglia e il monopolio legale della fecondità agognate dai regimi totalitari. Nel racconto di Zamjatin, pubblicato nel 1922, la storia si svolge nel contesto di una città perfettamente organizzata i cui membri, isolati dal mondo esterno e dalla natura da un muro verde, trascorrono la propria esistenza in trasparenti abitazioni di vetro, dando così corpo all’ideale di controllo totale adombrato nel Panopticon di Jeremy Bentham.


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Noi è ambientato nel futuro, la datazione è fissata al 2500. Il mondo è governato da uno Stato Unico retto da un Benefattore, perfetta congiunzione del potere totalitario e di una scienza destinata all’addomesticazione delle masse. Il mondo di Noi si struttura come una società del Controllo integrale, dove a contare è unicamente un onnipresente Collettivo (il titolo del libro allude alla norma che vincola tutti al pensiero collettivo: si deve ragionare solo in termini di prima persona plurale), amministrata secondo un modello fordistico di efficienza e precisione industriale. L’Orario delle Ferrovie è considerato il più grande monumento della letteratura antica, il corpus di scritti precedente cioè la rivoluzione fordiana.

Una tecnica disumanizzante ha totalmente asservito gli uomini, facendone semplici ingranaggi di una macchina. L’essere umano è stato totalmente meccanizzato: nelle sue abitudini, nel comportamento, nel movimento e perfino nella voce. In questa prigione meccanizzata il dilemma tra felicità e libertà posto nella leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij è stato risolto a favore del primo polo dell’alternativa.

La felicità, è questa la conclusione, è possibile solo senza l’intralcio della libertà. Quanto si auspica di garantire a tutti gli abitanti – identificati non da nomi, bensì da numeri – è una felicità matematicamente esatta. La Scienza, elevata a paradigma supremo della realtà, detta norme etiche fondate «sull’addizione, divisione, sottrazione, moltiplicazione». Il Benefattore viglia attraverso i suoi guardiani sull’applicazione del sistema di etica scientifica e controlla che nessuno manifesti un pensiero dissenziente. Libertà e delinquenza sono reputate un binomio indissociabile, i sogni considerati una seria malattia mentale, la fantasia rimossa con un intervento chirurgico.


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Inutile dire che nel mondo descritto in Noi, analogamente al Mondo nuovo di Aldous Huxley, la famiglia è stata soppressa allo scopo di sottomettere direttamente l’individuo all’autorità dello Stato, al quale i figli sono immediatamente affidati per la «puericultura». Nella distopia di Zamjatin lo Stato Unico considera il sesso soltanto un bisogno fisico come un altro. Il sesso, scrive il protagonista del libro nel suo diario, «che per gli antichi era fonte di innumerevoli stupidissime tragedie, da noi è stato ricondotto ad una armonica, piacevole ed utile funzione dell’organismo allo stesso modo del sonno, del lavoro fisico, dell’alimentazione, della defecazione e simili».

La medesima organizzazione coercitiva su base matematico-scientifica abbraccia la vita sessuale dei cittadini, ai quali è concesso l’esercizio di una sessualità infeconda e medicalizzata, regolata da una lex sexualis che prevede accoppiamenti secondo una «tabella dei giorni sessuali» fissata dai medici. Nel dispositivo che regolamenta la lex sexualis, si legge che «ognuno dei numeri ha diritto, come prodotto sessuale, a un altro numero a fini sessuali. Il resto è soltanto una questione di tecnica».

Il processo di banalizzazione dell’eros corrisponde a un modello di società totalmente amministrata. Il sesso è diventato un banale esercizio contabile. Ogni cittadino-numero deve periodicamente recarsi per una visita nei laboratori dell’Ufficio Sessuale, dove viene determinato il contenuto degli «ormoni del sesso» presenti nel sangue e di conseguenza stabilita per lui la tabella dei «giorni sessuali». Per usufruirne occorre presentare una richiesta all’ufficio competente, dove si riceve un corrispondente libretto rosa provvisto di talloncini.



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La rivoluzionaria russa Aleksandra Kollontaj (1872-1952), una delle prime apostole della liberazione sessuale, aveva formulato a questo proposito la teoria del «bicchiere d’acqua». Se l’esercizio del sesso non è altro che un bisogno fisiologico come un altro, allora impegnarsi in una relazione sessuale equivale a bere un semplice bicchiere d’acqua.

Vi sembrano teorie astruse, lontane dalla realtà? Non siatene così sicuri. Quella che ieri poteva apparire come la fantasia di uno scrittore visionario oggi viene predicata come verità indiscussa dai pulpiti massmediatici, impegnati a propagandare il sesso come pura attività di intrattenimento. Quanto alla “numerificazione” dell’uomo, il pensiero corre immediatamente alla “numerazione parentale” applicata da diverse burocrazie pubbliche (genitore 1 – genitore 2). E che dire dei corsi di “educazione sessuale” dove l’esercizio della sessualità è equiparato a un bisogno fisiologico, nella cornice di un semplice problema “tecnico”? Per non parlare delle teorie del gender avallate da presunti “studi scientifici”. Mancano ancora le tabelle sessuali e il libretto coi talloncini, ma possiamo stare certi che qualcuno sta già lavorando per “Noi”…

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