Ci sono genitori che ritornano ai sacramenti non per qualche discorso erudito, ma per come vedono i propri figli tornare felici da catechismo.di Paolo Desandrè
Un giorno, guardando un tiglio, mi sono sorpreso a contemplare una minuscola gemma il cui colore verde vivo si insinuava in mezzo alla corteccia scura. Ho pensato a Péguy quando parla della speranza, paragonandola a questo piccolo germoglio che vivifica la dura corteccia della fede. I bambini sono capaci di questo nel loro rapporto con me, hanno la capacità di vivificare la mia corteccia. Da loro ho imparato quello che è diventato il nostro motto: “Dio fa le cose più grandi attraverso i più piccoli”. Questo appare evidente quando vedi dei genitori che ritornano al Signore, ai sacramenti, che si mettono in discussione non per chissà quali discorsi ma per questi piccoli missionari che tornano a casa e raccontano, con le loro facce, con i loro sguardi, di qualcosa che hanno visto e vissuto.
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Da quest’estate, ho attaccato nella mia camera un poster con il volto di Marcellino pane e vino. Marcellino è una Presenza – cioè, guardando quel volto non puoi non desiderare quello sguardo per te – perché è di fronte a una Presenza.
Vi voglio raccontare alcuni fatti e ciò che ne ho tratto.
Un papà, da tantissimo tempo, non era più tornato in chiesa e non si accostava ai sacramenti. Tra noi, grazie a suo figlio che viene in parrocchia, è nata una bella amicizia. Un giorno dice al ragazzo: “Oggi vado a confessarmi”. Il figlio vuole a tutti i costi accompagnarlo. Conservo nella memoria lo sguardo di quel bambino che, fuori dal confessionale, guarda il suo papà inginocchiato. Ho pensato che nessuna predica, nessun insegnamento gridava più forte di quel gesto, e che quel papà, senza saperlo, aveva testimoniato il Signore più di un grande santo.
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Un giorno vado a benedire una famiglia, suono alla porta e sento pianti e strilli. Entro e vedo un piccolo bambino che piange e fa i capricci. I genitori sono tutti concentrati su di lui per cercare di farlo smettere. Tutto è inutile. Mi ci metto anch’io: peggio di prima. Ad un certo punto, dico ai genitori: “Sentite, lasciamolo un attimo e diciamo la preghiera per la benedizione della vostra famiglia e della vostra casa”. Dovevo anche visitare altre famiglie. Appena abbiamo staccato lo sguardo dal bambino per portarlo al piccolo crocifisso appeso alla parete, lui ha immediatamente smesso di piangere e ha iniziato a guardare dove guardavamo noi. Un piccolo fatto in cui ho trovato il senso di tutto il principio educativo: ciò di cui ha bisogno quel bambino non è qualcuno che risponda ad ogni capriccio e che trovi la propria consistenza nel rapporto con lui, ma qualcuno che sappia a chi guardare, a chi appartenere, in chi consistere. Solo allora può smettere di piangere.
Domenica a messa ho chiesto ai bambini: “Come vi immaginate Dio?”. Uno lo immagina calvo, un altro con quattro braccia, una bambina lo vede un po’ come Zeus. Tutti sono d’accordo nel dire che Dio è pieno di bontà. Ad un certo punto, un bambino alza la mano e dice, senza che nessuno glielo abbia suggerito: “Per me Dio è come Gesù, e il suo carattere è come quello di Gesù”.
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Ecco il cristianesimo! Dio nessuno lo ha mai visto, il Figlio dell’uomo è venuto a rivelarlo (cfr. Gv 1,18).
Da tre settimane un bambino continua a dire alla mamma di invitarmi a casa perché devo raccontargli la storia di come sono diventato prete. Dio fa cose grandi attraverso i piccoli!