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Non condivido il pensiero del Papa, posso fare comunque la Comunione?

POPE FRANCIS

Antoine Mekary | ALETEIA | I.Media

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 03/12/18

Il liturgista Finotti spiega perchè non avrebbe senso prendere il Corpo di Cristo quando si è in disaccordo con un qualsiasi Successore di Pietro

Una nostra lettrice ci chiede: «Quando non ci si sente in comunione con il Papa, perché non credo in ciò che dice e non lo riconosco come degno successore di Pietro, ha valore comunque andare a Messa? E sopratutto qual è il valore della comunione ecclesiale qualora io non mi sentissi, pur da cristiana cattolica credente e praticante “cum Petro et sub Petro“? Posso prenderla lo stesso?».

Comunione “necessaria”

Il liturgista don Enrico Finotti, liturgista e curatore della rivista Liturgia Culmen et Fons, premette ad Aleteia: «La celebrazione legittima e fruttuosa del Sacrificio eucaristico richiede necessariamente la comunione con la fede di Pietro, che è trasmessa di generazione in generazione, fino alla fine dei secoli, dalla professione di fede dei suoi Successori, i Vescovi di Roma».

Per questo la tradizione liturgica – orientale e occidentale – «prevede che nella Prece eucaristica (Canone) vi sia l’esplicita menzione del nome del Papa: … in comunione con il nostro papa N. …» .

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“Potestà suprema”

Questa comunione di fede, evidenzia l’esperto di liturgia, «non è un accessorio esterno al contenuto della fede». Finotti cita la lettera “Communionis notio”  (28 maggio 1992) della Congregazione per la Dottrina della Fede, al n.13: pertanto, «dobbiamo vedere il ministero del Successore di Pietro, non solo come un servizio “globale” che raggiunge ogni Chiesa particolare dall'”esterno”, ma come già appartenente all’essenza di ogni Chiesa particolare dal “di dentro”».

Infatti, il ministero del Primato comporta essenzialmente una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena ed universale, ma anche immediata, su tutti, sia Pastori che altri fedeli (59). 




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Dogma di fede

Dunque la comunione di fede con il Successore di Pietro non è né «facoltativa», e neppure «un semplice strumento disciplinare per esprimere e rinsaldare l’unità, ma è un elemento costitutivo e interiore, che pervade dal di dentro il tessuto e la trama del dogma: crediamo, non secondo le interpretazioni soggettive proprie di ciascuno, ma ciò che è conforme a quello che la Chiesa – semper et ubique – professa, e che Pietro assicura e garantisce per una speciale grazia a lui conferita dal Signore in modo esclusivo».

Indefettibile e infallibile 

In Pietro e nei suoi Successori «la fede non ha, né mai potrà avere deficienze: … questa Sede di Pietro rimane sempre immune da ogni errore…, afferma il Concilio Ecumenico Vaticano I» (Pastor Aeternus, cap. IV).

La solidità della fede di Pietro possiede «le stesse prerogative dogmatiche della Chiesa, essendo Pietro il fondamento visibile sul quale è edificata la Chiesa di Dio». Su di esso, infatti, poggia la forza e la solidità di tutta la Chiesa (Pastor Aeternus, Prologo). Per questo la professione di fede dei Romani Pontefici è «indefettibile, ossia non verrà mai meno, ed è infallibile, ossia assicurerà sempre l’integrità e la retta interpretazione del dogma della fede».




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Le verità rivelate

Inoltre la fede di Pietro non è «quella di questo o di quel Papa», ma la fede del Papa «in quanto tale, presente ed operante nell’intera successione dei Sommi Pontefici, come un unico, coerente e coeso esercizio magisteriale, che si estende nei secoli sotto l’indissolubile assistenza dello Spirito Santo. L’analogia della fede – prosegue Finotti – che si applica all’insieme delle verità rivelate, le quali, in contesti diversi, mantengono una coerenza interiore sostanziale, si deve applicare anche al magistero dei Papi nell’arco dei secoli, dal quale risulta l’unità e la continuità del dogma della fede, da essi custodito e proclamato con l’assistenza della grazia soprannaturale».

La lezione di Newman

JOHN HENRY NEWMAN
CNS | Courtesy of The Catholic Church of England and Wales

Su questi principi dogmatici, ragiona il curatore di Culmen et Fons, si deve anche opportunamente distinguere «la persona umana dei Pontefici, dagli atti specifici del loro magistero petrino».

In questa prospettiva potrebbe essere «illuminante» una considerazione del beato cardinale Newman, scritta nel contesto del dibattito relativo all’infallibilità papale al tempo del Concilio Ecumenico Vaticano I.


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I limiti della infallibilità

«Il Papa – sosteneva il cardinale Newman – parla ex cathedra, cioè infallibilmente quand’egli parla: primo, come maestro universale; secondo, in nome e con l’autorità degli apostoli; terzo, su un punto o materia di fede o di morale; quarto, con l’intenzione di obbligare ogni membro della Chiesa ad accettare e a credere alla sua decisione. Naturalmente – aggiunge – queste condizioni pongono una grande restrizione al campo della sua infallibilità. Per questo Billuart (teologo domenicano, n.d.r.), parlando del Papa scrive: “Quando esprime la propria opinione personale, il Pontefice non è infallibile né in una conversazione, né in una discussione, né quando interpreta la Bibbia o i Padri, né allorché consulta o esprime le sue ragioni su un punto da lui definito, né quando risponde alle lettere né nelle deliberazioni private”».

L’operato del Papa

Come per il ministero di ogni sacerdote, ordinato validamente, l’azione divina della grazia, mediante i sacramenti celebrati in modo valido, «opera infallibilmente nell’anima dei fedeli, anche al di là del grado di santità o di peccato personali del ministro sacro, così nei Romani Pontefici il loro ministero petrino, esercitato nelle condizioni di validità stabilite, opera infallibilmente in ordine alla custodia della retta fede, al di là dello stato di santità o di peccato, di preparazione culturale, di formazione umana e di abilitazione più o meno eccellente all’esercizio pastorale, come si evince dalla storia secolare del papato».

Tuttavia, precisa Finotti, «l’intuito dei fedeli ha sempre ritenuto che non è di secondaria importanza la santità personale dei ministri sacri e in modo speciale quella dei Romani Pontefici. Per questo la Chiesa ha sempre pregato con insistenza e intensità per il Papa».


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Il senso di quel “pregate per me”

Il liturgista, proprio nel suo volume “Vaticano II, 50 anni dopo” (ed. Fede&Cultura, 2012), aveva sollevato la questione: «Per questo il Sommo Pontefice, chiunque sia, è la sicura norma prossima della fede, costituito da Dio, e tutti i figli della Chiesa hanno la mirabile grazia di poter trovare in Lui la salda roccia, che è Cristo, in ogni tempo, in ogni frangente e soprattutto nelle tempeste e nelle notti tumultuose del mondo. Ma, come sempre la Chiesa ha fatto, è necessario che una preghiera incessante salga a Dio per Pietro (At 12,5), affinché il suo ministero, non solo sia valido, come non può che essere in un Pontefice legittimo, ma anche quanto più possibile fruttuoso per tutta la Chiesa».

Infatti, conclude Finotti, «come riceviamo con sicura certezza i santi Sacramenti dal ministero autentico dei sacerdoti e tuttavia preghiamo per loro, affinché crescendo in santità, li amministrino alla maniera dei Santi, così tutti i giorni nel divin Sacrificio la Chiesa prega per il Papa, non perché dubiti sul venir meno della validità dei suoi atti autentici, ma perché, sempre più pervaso della santità di nostro Signore Gesù Cristo, come è chiamato nel protocollo – Sua Santità – usato nel rivolgersi a Lui, sia pienamente il Vicario in tutto aderente al Cuore del divin Maestro».

«Credo che il papa Francesco intenda proprio questo, quando insistentemente raccomanda a tutti: “Pregate per me”».


MARTIN LUTHER KING JR

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