La famosa cantante canadese lancia una linea di abbigliamento infantile per “liberare i bambini dal ruolo imposto dal genere”. Cosa propone? Vestiti in bianco e nero con teschi e croci
Nascere maschio o femmina sarebbe un «ruolo»; non si sa più se definirlo strafalcione, abbaglio, menzogna consapevole o peggio. Quando l’uomo abbandona il senso comune, apre la porta a ogni genere di eresia – disse Chesterton.
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Sta facendo discutere il lancio di una nuova linea di abbigliamento infantile che vede come guest star Celine Dion al fianco di un brand israeliano chiamato NuNuNu e fondato da Iris Adler Tali Milchbergand. Questa casa di moda nasce con l’intento di liberare i bambini dalla prigione del rosa e dell’azzurro, colori demonizzati perché – a loro dire – impongono una definizione di ruolo su creature ancora piccole e libere di decidere il proprio futuro sessuale. Celine Dion ha sposato la causa con entusiasmo, dichiarando:
CelineNUNUNU (nome della linea NdR) lascia che i bambini siano liberi dagli stereotipi esteriori e dalle norme, così da poter far nascere le loro preferenze dall’intimo. Li aiutiamo a essere liberi, creativi, ispirati, rispettosi di ciascuno e felici nel mondo” (da InMagazine)
A questo punto dovrebbe esplodere una scena fatta di colori vivaci e fuochi d’artificio; invece no, solo abiti in bianco, nero, giallo.
Quale stimolo alla creatività e felicità suggerisce una tutina nera con croci, teschi, e una strana scritta “Nuovo Ordine”? Nessuno, ma proviamo a ragionarci su.
Arriva la fata nera
Un video confezionato ad arte accompagna il lancio di questa nuova proposta di moda, ne è protagonista la stessa Celine Dion come attrice e voce narrante. Veste i panni di un’eroina che, in stile Mission Impossible, s’intrufola nella nursery di un ospedale per salvare i neonati. Ci prepara alla scena madre con queste parole, sottolineate dalla cantilena di una ninnananna:
I nostri figli non sono davvero nostri, perché noi siamo solo dei collegamenti in quella catena infinita che è la vita. Per noi sono tutto, ma a dire il vero noi siamo solo una piccola parte del loro universo. Noi? Rimpiangiamo il passato. Loro? Sognano il domani. Noi dobbiamo accompagnarli al futuro, ma la strada che prenderanno è una loro scelta. (da Youtube)
Poi, estraendo una scatoletta da una borsa, la fata Celine compie la magia: soffia della polvere nera e brillante sui bambini della nursery colorata e tutto si trasforma, in un mondo in bianco e nero. Mi ha fatto sorridere, per un attimo. Ho pensato a quale genio del marketing potrebbe venire in mente di catapultarci a ritroso dal mondo della realtà virtuale alla televisione in bianco e nero. L’effetto è proprio quello, la polvere sparsa da Celine cancella la dicotomia rosa e azzurro … per proporne un’altra ben più forte tra il nero e il bianco.
Il finale del video è l’arresto della sovversiva eroina, come a dire che chi si fa portavoce di ideali così nuovi e rivoluzionari è un pericolo pubblico. Ben più realistico, oggigiorno e ahimé, è constatare che si rischia la denuncia e peggio a voler difendere la sacorsanta visione naturale del “maschio e femmina li creò“.
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In ogni caso, si evince che Celine Dion abbia una passione autentica per il mondo dell’infanzia, anche se ha assunto i contorni di questa proposta francamente brutta; l’impressione esclusivamente personale della sottoscritta è che le forme suadenti di una certa ideologia che si ammanta di concetti come la libertà, l’uguaglianza, il rispetto, abbiano fatto breccia nella cantante annebbiandole il senso critico.
Lei stessa ha raccontato quanto sia stata ferita e bella la storia della sua nascita: ultima figlia dopo 13 fratelli, poteva essere considerata solo un incidente da cancellare. Nacque, non fu abortita, per merito di un sacerdote; in questo senso è evidente la forza del messaggio per lei incarnato sul fatto che i genitori non possano decidere del destino dei figli.
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Ma il genitore è introduzione alla realtà per il bambino, non spettatore incatenato di una vita nuova che fin da subito vuole, sceglie, scardina stereotipi. Una delle repliche più diffuse a questa campagna promozionale della linea CelineNUNUNU è stata – ovviamente – che un neonato di tre mesi non si sceglie da solo la tutina o la cuffietta da mettersi. Non è libero, in questo senso; ma è più libero di come lo slogan di Celine Dion vuole farci credere. Alcuni “perché?” mi sorgono a proposito di quelle poche parole, già citate, nel video:
Perché schierarsi a favora di una supposta libertà e poi parlare di vita in termini di “catena” e di esseri umani come “collegamenti“?
Perché gli adulti sarebbero solo il passato e i piccoli solo il futuro?
Perché togliere dal discorso il presente, che è l’unico luogo vivo che genera incontro, scambio, vivacità?
Togliere i colori all’infanzia
Ma la domanda ancora più semplice è: se vogliamo che i bambini siano davvero liberi, se vogliamo introdurli a un pensiero attivo e creativo sul reale, non dovremmo educarli al concetto di sfumatura anziché alla violenza oggettiva di togliere loro ogni colore consegnandogli la dicotomia più forte che esista, bianco e nero?
Milioni di mamme hanno comprato vestiti rosa non appena l’ecografia morfologica ha detto loro che sarebbe nata una femmina, e sono quegli stessi milioni di mamme comuni e sane che non appena la figlia ha proferito parola o preferenze non hanno fatto problemi a comprarle una t-shirt azzurra se la preferivano.
Quello che è raro che accada è che un bambino, anche piccolo, scelga di sua spontanea volontà e con entusiasmo un abito nero, a meno che non sia quello di Batman. È banale ricordare, ma lo faremo, che lo zoo, il luna park, i parchi giochi attirano l’infanzia proprio per la varietà di colori che corrisponde al bisogno di dare una sfumatura diversa a ogni emozione, desiderio e sentimento che passa nel loro cuore.
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Curioso che testate blasonate di stile e moda, come Elle, applaudano con vigore l’intraprendenza di Celine Dion, tacendo però questo dettaglio, una linea di abbigliamento priva di colori. Altrettanto parodossale che proprio il mondo “Arcobaleno” applauda questa proposta. E mi limito alla considerazione sull’assenza di colori perché commentare la presenza sugli abiti di teschi stilizzati, croci, lettere isolate scritte con forme squadrate è un’evidente messaggio che non ha nulla a che vedere con la purezza infantile.
Sommando tutti questi dettagli, è lecito avanzare un’ipotesi non così astrusa: l’assenza di colori e la stilizzazione delle immagini sono sempre andati di pari passo con la propaganda dei regimi totalitari. Pensiamo al rigore delle divise militari, da cui il concetto anche simbolico di uniforme. Pensiamo a certi manifesti e slogan comparsi sotto le dittature mondiali: pochi colori forti, immagini geometriche di base, parole sintetiche. Banalmente, mio marito mi faceva notare quale esplosione di colori e creatività sia diventata la città di Berlino all’indomani della caduta del muro. È stata una reazione lecita alla prigionia mentale precedente.
Stilizzare le forme, semplificare i messaggi, ridurre i colori è un mezzo per semplificare il pensiero, e per farlo stare quieto. E insieme al pensiero, il bagaglio di emozioni. Non è dunque e solo un inchino al concetto di genere neutrale, ma qualcosa di più. Ed è sempre più simile a qualcosa che vuole farci vedere tutto bianco o nero, buoni e cattivi. Che puoi vuol dire immobilità e impossibilità di cambiamento.
Uniformi o uomini liberi?
Lì dove regna il perdono e la sacralità vera della libertà personale sboccia una fioritura di colori sensata – non l’accozzaglia di nuances eccessive che è l’altra tendenza nichilista moderna: il rosso, il bianco, il verde, il viola degli abiti religiosi hanno sempre parlato di tutte le esperienze e prove che l’umano attraversa, nel cammino verso la scoperta di sé in rapporto col mondo.
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Il tanto vituperato Medioevo ha ancora questo da insegnarci, la visione dei colori. Rimasi un po’ amareggiata quando tradussi il passo di Chesterton in cui diceva che noi siamo bambini i cui colori si sono tutti rimescolati e non sanno più cosa farsene; aveva ragione e lo spiegò molto bene paragonando quello che noi vediamo per strada oggi e quello che ci vedeva un uomo del Medioevo. Perdonerete la citazione un po’ lunga, ma una certa prolissità può essere benvenuta se in gioco c’è la libertà:
La vera differenza è questa: che gli abiti color terra dei monaci furono espressamente scelti per indicare lavoro ed umiltà, mentre il marrone scelto dagli impiegati non vuol significare assolutamente nulla. Il monaco voleva espressamente dire che si vestiva di polvere. Sono sicuro che l’impiegato non intende dire che si corona di terra. Non si sta mettendo la terra sulla testa come fosse l’unico diadema dell’uomo. Il viola, che è allo stesso tempo un colore ricco e sobrio, suggerisce un trionfo temporaneamente eclissato dalla tragedia. Ma le ragazze operaie non intendono esprimere con i loro cappelli un trionfo temporaneamente eclissato da una tragedia, lungi da loro. La pelliccia bianca era il simbolo che esprimeva purezza morale; il panciotto bianco no. I leoni dorati suggerivano un’ardente magnanimità; gli orologi dorati no. Il punto non è che abbiamo perso le sfumature materiali dei colori, ma che abbiamo perso l’ingegno di usarle per il meglio.
Noi non siamo come bambini che hanno perso la scatola dei colori ed è rimasta loro in mano solo la matita grigia. Noi siamo come bambini i cui colori si sono tutti rimescolati nella scatola e che hanno perso il foglio delle istruzioni. (da Cosa c’è di sbagliato nel mondo)