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Vietato dire che la donna è un essere femminile adulto?

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Annalisa Teggi - pubblicato il 28/09/18

A Liverpool è stato rimosso un poster con la definizione di donna perché giudicato lesivo nei confronti dei transgender

È successo un putiferio quando, pochi giorni fa, è comparso sulle strade di Liverpool un grande poster dalla grafica molto semplice, in cui si riportava la definizione di donna scritta nel dizionario di Google: «donna, donne, nome, essere femminile adulto».

Ne è stata autrice Kellie-Jay Keen-Minshull, nota con lo pseudonimo di Posie Parker e attivista del movimento femminista, il cui scopo nell’affiggere quel messaggio era chiaro:

Questa campagna è stata fatta per dire che nel 2018 pronunciare la parola donna è offensivo. (da
)
KELLY JAY KEEN MINSHUL

Può sembrare strana come affermazione, ma di fatto quel cartellone è stato tolto alla svelta dalle strade proprio perché ha generato polemiche forti. Se ne è fatto portavoce il Dottor Adrian Harrop, attivista LGBTQI+, sicuro che quelle parole fossero un attacco diretto contro le persone transgender. Ne è seguito un confronto televisivo tra i due che ha enfatizzato ancora di più la polemica.


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Bisognerebbe cominciare facendo molti nota bene, per poi arrivare dritti al punto. Si sa che il movimento femminista molto spesso non usa strumenti edulcorati, punta sullo strumento della polemica piuttosto che del confronto e dell’incontro. Si sa d’altra parte che la disforia di genere esiste e, al netto di chi vuole trascinare l’identità delle persone in un pentolone mediatico a favore di una nebulosa sessuale, non può essere additata alle persone come una colpa, ci mancherebbe!

Detto ciò, e osservando dall’esterno questa disputa, cosa emerge da questo scontro tra titani, femminismo vs LGBTQ+? Che le parole contano.

Chi dice donna dice … cosa?

Non appena si è menzionata l’ipotesi che il cartellone contesse un messaggio transfobico (lesivo delle persone transgender), molti hanno fatto un passo indietro e si sono dissociati dalla signora Kellie Jay. Anche solo il sospetto di provocare risentimento nella comunità LGBTQI+ spaventa, e questo è di per sé significativo. Il confronto televisivo tra la femminista Keen-Minshull e il dottor Harrop ha illuminato altri aspetti della vicenda che vale pena sottolineare. Alla domanda di lei: «Cosa c’è di offensivo nella definizione di donna data da Google?», lui replica che nella definizione non c’è nulla di sbagliato, ma che è stata usata per escludere dal novero delle donne le persone transgender, facendole sentire in pericolo. Pressato sull’offrire a sua volta una definizione della parola, il dottor Harrop risponde:

La donna è una persona che si identifica come donna (Ibid)
ADRIAN HARROP

Non credo di offendere nessuno dicendo che questa definizione non è una definizione; o meglio, glissa proprio sulla definizione in oggetto e porta l’attenzione sulla scelta di identificarsi. Al contrario, la signora Kellie Jay pare avere le idee molto chiare sulle parole e non arretra di un millimetro quando la giornalista la accusa di essere stata deliberatamente provocatoria nell’aver detto a una madre di «aver castrato» il figlio 16enne che voleva cambiare sesso:

No, sono stata deliberatamente onesta. Sentiamo il bisogno di difendere il linguaggio attorno a noi, visto che è diventato discriminatorio usare perfino parole come «mestruazioni» o «cancro alla cervice».

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Si può essere più o meno d’accordo sulla scelta dei toni per nulla accondiscendenti della Minshull, ma non si può negare che ciò contro cui punta il dito è davvero problematico. Vogliamo davvero un mondo in cui non esiste più la parola «donna» ma esista la parola “transfobico”, cioè un mondo privo di presenze e pieno di fobie?

Maschio e femmina

Ho studiato traduzione, e amo tradurre perché mi ricorda il valore vertiginoso delle parole. Che talvolta non si riesce a rispettare nella loro completezza, passando da una lingua all’altra. Tante volte ho provato la sensazione linguistica di essere trans … in viaggio tra una parola e l’altra; il traduttore transita da un’espressione all’altra e perciò s’interroga incessantemente sul senso originario. So che ci sono circostanze in cui una definizione esatta non si trova e si vaga nella nebbia del non-senso, oppure si rischia di tradire un concetto usando una forma linguistica inadeguata.

Passando dai problemi linguistici al pulsante regno della vita, due cose non cambiano: ogni persona è un’eccezione e non una regola; la regola esiste per proteggere l’eccezione non per accusarla. Nessuna donna è una definizione da dizionario, ma la definizione esiste come la linea bianca della strada in mezzo alla nebbia. Proteggere il linguaggio umano che da secoli tramanda certe verità significa continuare a preferire il sole alla nebbia, proprio sapendo che in mezzo alla nebbia non ci si vorrebbe rimanere per sempre.

La domanda più impegnativa della vita è: «Chi sei?» e non si sfogliano enciclopedie per rispondere.

Eppure, chiunque ha bisogno di aggrapparsi a qualcosa per cominciare un viaggio. A maggior ragione, chiunque affronti un percorso difficile sulla propria identità sessuale dovrebbe intuire che non c’è nulla da guadagnare in un’ideologia apparentemente inclusiva che però cancella uomo e donna, a favore di un generico pansessualismo indistinto. Nel mio piccolo giardino crescono piante opposte tra loro, tutte sono abbracciate dalla recinzione che delimita la mia proprietà. Non sono costrette dai paletti, sono protette.

Ecco perché la battaglia sulle parole non può passare in secondo piano. La signora Kellie Jay Minshull può farla per aggredire e puntare il dito, ma la medesima difesa del linguaggio si può fare – sapendo di essere anche fraintesi – per tutelare la coscienza del mondo intero, comprese le persone che con più difficoltà si riconoscono “donna” e “uomo”

Da una chiarezza originaria che separa il buio dalla luce, l’acqua dalla terra, ci guadagnano tutte le sfumature. Noi abbiamo difficoltà a fare opera di discernimento, quel genere di chiarezza che sboccia dalla fatica di giudicare ogni cosa alla luce del nostro destino complessivo; certo è fatica. Ed è ancora più faticoso quando attorno tutto complotta per farci lasciar perdere e suggerirci che possiamo delegare all’istinto, alla percezione momentanea, al cambiamento come stile di vita.

Ricordo quel momento commovente del film Amarcord in cui Ciccio Ingrassia urlava dalla cima di un albero, disperato: “Voglio una donna!“. Era un grido di lacerante bellezza, un uomo aggrappato a un tronco gigantesco che non tace il suo desiderio: il mondo che mi sento di difendere è simile a lui, un luogo in cui le ferite si urlano con chiarezza, anziché cancellarle con parole nuove e vuote.


HOPE

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