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«Perché scomunicare don Minutella se nessuno dice niente a padre… ?»

DON ALESSANDRO MINUTELLA
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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 15/11/18
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Non solo per uno psichiatra, ma anche per un sociologo della religione sarebbero di vivo interesse i fatti e le dichiarazioni rilasciate attorno al (momentaneo) epilogo della vicenda del prete palermitano scomunicato per eresia e scisma. Si segnala un clima ecclesiale altamente inquinato da svariati disordini, tra i quali l’ignoranza di cosa sia (e di cosa non sia) l’eresia non è il principale.

Quem Iuppiter vult perdere
dementat prius.

Sono almeno tre i profili psicologici dell’eretico conclamato, cioè di quello cui sia stata comminata una competente pena canonica o che ne sia realmente in odore:

  1. l’innocente;
  2. il mistificatore;
  3. il delirante mistico;

Una simile classificazione prescinde dal risvolto oggettivo dell’accusa, la quale va esaminata a parte e sul piano eminentemente teologico: questo significa che il primo tipo psicologico – che abbiamo chiamato “l’innocente” – può essere oggettivamente caduto in eresia oppure no, essendo l’eresia «l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa» (CIC can. 751). L’innocente, insomma, può essere in buona fede, e può darsi perfino il caso che il tribunale ecclesiastico si sbagli sul suo conto: penso ad esempio a Ernesto Buonaiuti, che fu scomunicato vitandus (!) ma che mons. Giovanni Battista Montini raccomandava di frequentare ai giovani della FUCI. Oggi uno come lui lo farebbero cardinale (e non, come qualche chiacchierone potrà dire, giacché tutta la Chiesa sarebbe già modernista come lui si suppone sia stato, bensì perché nulla di eretico si ravvisa nelle sue pagine quando uno le legga fuori dalla psicosi antimodernista del primo Novecento).

Coscienza, obbedienza e libertà

L’innocente vive con responsabilità e dignità il conflitto che lo contrappone alla Chiesa, la sua coscienza è forse sostanzialmente erronea ma formalmente retta; sempre esiste in lui, benché contraddetto fino all’incomprensibile, lo slancio filiale del figlio verso la Madre. “L’innocente” è un figlio che non riesce a obbedire perché malgrado tutte le contestazioni che riceve la sua coscienza non è intimamente persuasa (e magari ha pure ragione, come dicevamo). Vale per lui ciò che (della materia dolorosamente esperto) scriveva Henri De Lubac:

Egli fa dunque tutto quanto è in suo potere, se la cosa è necessaria, per rischiarare l’autorità. Ne ha non solo il diritto: ne ha il dovere, e la pratica di codesto dovere l’obbliga talvolta all’eroismo. Ma l’ultima parola non gli appartiene. La Chiesa che egli abita è una “casa di obbedienza” (Origene). Se alla fine comunque si trova impedito nel realizzare ciò che gli pareva essere il bene, allora egli si ricorda che – pur supponendo che la sua iniziativa sia stata giusta – non è la sua azione che importa; che l’opera della Redenzione, alla quale Dio lo chiama a collaborare, non è sottomessa alle medesime leggi delle imprese umane; che in definitiva non gli resta altro da fare che inserirsi nel piano di Dio, che lo conduce mediante i suoi rappresentanti, e che così egli partecipa dunque in maniera infallibile «all’infallibile sicurezza della Provvidenza» (François Chamot), e che infine mai si tradisce causa alcuna, mai si è infedeli ad altri, a sé stessi o a Dio quando, semplicemente, si obbedisce. Nessun sofisma, nessuna apparenza di bene né persuasione di giusto diritto può offuscare ai suoi occhi lo splendore delle due parole di san Paolo che propongono alla nostra imitazione il Cristo factus obœdiens.

Henri De Lubac, Méditation sur l’Église 227

L’interesse comportato dal caso di Minutella

Penso di poter escludere con massima certezza morale che don Alessandro Minutella sia conforme a questo tipo psicologico di eretico. Ho visionato attentamente i quasi cinquanta minuti della sua dichiarazione immediatamente successiva all’atto di notifica della scomunica, apprendendone fra l’altro alcuni dettagli non deducibili dallo scarno comunicato della Curia palermitana, ad esempio:

  1. ci sono due distinti ma concordi provvedimenti, che irrogano la pena canonica: uno è provvisto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, l’altro dalla Congregazione per il Clero;
  2. i documenti della Curia Romana erano stati firmati il 15 agosto 2018 e nella settimana scorsa Minutella aveva ricevuto degli emissari delle suddette Congregazioni, incaricati di notificargli privatamente gli atti e di dargli qualche giorno per valutare l’opportunità di ritrattare tutto onde evitare la notifica delle pene e il conseguente scandalo pubblico;
  3. contestualmente, gli sarebbe stato promesso un incontro personale con Benedetto XVI, nel quale il Papa emerito lo avrebbe convinto di essere in torto.

Come era pure deducibile dai fatti di pubblico dominio, Minutella ha escluso ogni possibilità di ritrattazione (dopo aver usato parte del tempo preso per riflettere) e così la procedura è andata avanti.

Ho sempre pensato che Minutella fosse (almeno nella sua fase “pubblica”, cioè negli ultimi due anni) un truffatore in malafede, ma devo ammettere che gli ultimi sei minuti di questo video (da 42’ 40”) mi hanno molto impressionato: quell’uso incontrollato di analogie sperticate, quell’attingere all’immaginario apocalittico, quel continuo rivendicarsi investito di una missione celeste e il riferirsi a sé come al capo di una resistenza (parola urlata per tre volte) oscillano insistentemente tra la retorica del sobillatore e il delirio mistico. Effettivamente non saprei decidermi se Minutella rientri più nel secondo o nel terzo dei tipi psicologici elencati in apertura: di sicuro penso che uno psichiatra e un sociologo della religione troverebbero di grande interesse le sue manifestazioni (come pure quelle dei suoi fanatici accoliti).


DON ALESSANDRO MINUTELLA
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Minutella dice, fra le altre cose, di essere guardato con sospetto anche dalle frange “tradizionaliste”, e questo può stupire solo per un istante: la prospettiva del sacerdote palermitano in effetti non è assimilabile tout court a quella di un lefebvriano, assommando in sé la velleità fondamentale dello scisma vetero-cattolico (l’Unione di Utrecht, per capirci), ossia il ritorno allo stato primitivo della Chiesa cattolica, quello (in realtà ignoto a noi nella massima parte) delle comunità apostoliche e subapostoliche. Vero, lo scisma veterocattolico si scontrò soprattutto con le pretese infallibiliste del Papato, ma all’origine ci fu una contestazione giuridico-amministrativa: così la narrazione minutelliana parte dalla contestazione della validità dell’elezione di Papa Francesco e approda alla dichiarazione di eresia del Romano Pontefice. Cose anche contraddittorie tra di loro, come appare evidente: se Francesco non è il Papa è impossibile dire che Papa Francesco sia eretico…

Alcune contraddizioni

Le aberrazioni teologiche di Minutella, quando le si voglia andare a cercare, esulano dalla sola contestazione della validità canonica dell’elezione del Santo Padre: in uno dei punti più sconclusionati della sua lunga dichiarazione il prete scismatico afferma in sintesi che la messa celebrata una cum Papa Francesco (il quale a suo dire altri non è se non “il cardinal Bergoglio”) non è valida. Come se la validità sacramentale dell’Eucaristia derivasse dal Romano Pontefice e non invece dalla successione apostolica implicata nell’ordine sacro validamente ricevuto! La mancanza di comunione con la Sede Apostolica, invece, rende la messa illecita ma non invalida. Banalità da primo corso di Diritto Canonico, eppure…


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Ma venendo al punto della questione, Minutella oscilla tra una posa di rassegnata consapevolezza e una contestazione ancora più radicale, che poi è la nota dominante della sua reazione: «Le due scomuniche non sono valide perché il potere che le sostiene è quello di un impostore che non è davvero il Papa». In un passaggio del video (11’ 26”) Minutella riferisce (alla lettera, sembra) il contenuto della sua risposta al cancelliere arcivescovile di Palermo:

Carissimo,
l’incontro di ieri si è svolto in un clima di cordiale amicizia. Ho già pregato tutta la notte e consultato la mia coscienza e il mio confessore. Pertanto si proceda pure già da subito senza attendere venerdì: non accetto alcun compromesso con gli eretici e con il falso papa. Egli è scomunicato secondo la Costituzione Apostolica di Giovanni Paolo II Universi dominici gregis, del 1996. Le scomuniche di uno che è già scomunicato, per giunta eretico e apostata, restano invalide e inutili: già da subito puoi rendere tutto noto. Dio saprà fare luce – prima o poi, come sempre succede – sulla verità dei fatti. […].

La cosa interessante è che Universi dominici gregis – la Costituzione Apostolica con cui Giovanni Paolo II disponeva le norme per il conclave che avrebbe eletto il proprio successore – non si occupa minimamente di apostasia, dunque sulle prime non si capisce a che titolo Minutella l’abbia tirata in ballo (per iscritto, inoltre, e in una lettera che per sua natura sarebbe stata archiviata nel suo faldone curiale). Più avanti nel video (25’ 35”) Minutella torna sull’argomento. Francesco non sarebbe vero Papa in quanto

  1. le dimissioni di Benedetto XVI sarebbero state “forzate”;
  2. ad attestare questo sarebbe stato il cardinale Godfried Danneels (il quale ebbe effettivamente la sconsiderata impudenza di chiamare “mafia” la cordata cardinalizia radicale di cui fa parte), che però afferma unicamente di essersi opposto a Benedetto XVI e di aver favorito la candidatura del card. Bergoglio;
  3. subirebbe i rigori del numero 80 (finalmente si capisce a quale passaggio allude Minutella) della Universi dominici gregis.

Basterà dunque leggere il passaggio per avere finalmente contezza del suo essere stato citato a sproposito da Minutella:

Allo stesso modo, voglio ribadire ciò che fu sancito dai miei Predecessori, allo scopo di escludere ogni intervento esterno nell’elezione del Sommo Pontefice. Perciò nuovamente, in virtù di santa obbedienza e sotto pena di scomunica latæ sententiæ, proibisco a tutti e singoli i Cardinali elettori, presenti e futuri, come pure al Segretario del Collegio dei Cardinali ed a tutti gli altri aventi parte alla preparazione ed alla attuazione di quanto è necessario per l’elezione, di ricevere, sotto qualunque pretesto, da qualsivoglia autorità civile l’incarico di proporre il veto, o la cosiddetta esclusiva, anche sotto forma di semplice desiderio, oppure di palesarlo sia all’intero Collegio degli elettori riunito insieme, sia ai singoli elettori, per iscritto o a voce, sia direttamente e immediatamente sia indirettamente o a mezzo di altri, sia prima dell’inizio dell’elezione che durante il suo svolgimento. Tale proibizione intendo sia estesa a tutte le possibili interferenze, opposizioni, desideri, con cui autorità secolari di qualsiasi ordine e grado, o qualsiasi gruppo umano o singole persone volessero ingerirsi nell’elezione del Pontefice.

Come si vede, infatti, Giovanni Paolo II stava parlando dei veti e delle esclusive, che in passato (anzi fino al 1903) furono fattori da tenere in conto durante i conclavi: il tale re o il tale imperatore poteva esercitare, anche direttamente, il privilegio di porre un veto su un candidato a lui sgradito o di indicarne uno gradito; venuto meno il diritto di fare tutto ciò direttamente – fu proprio Pio X, memore delle tristi vicende del conclave che lo elesse, ad abolire immediatamente gli antichi privilegi di veto –, permaneva tuttavia la possibilità di farlo indirettamente (ossia di raccogliere i desiderata di «qualsiasi gruppo umano o singole persone», con o senza contropartita, e di introdurli nel conclave). Ecco, Giovanni Paolo II mira appunto a colpire questa eventualità: ma come si vede la sua disposizione minaccia esplicitamente ed esclusivamente a tutto quanto attiene all’elettorato attivo del Conclave, insomma i cardinali, non l’eletto. Insomma, se anche Minutella avesse ragione – e non è questo il caso – sarebbe il card. Danneels ad essere incorso nella scomunica, non Papa Francesco: ma (stando a ciò che di quanto il porporato ha dichiarato è reperibile in rete) neanche lui sembra poter essere colpito dai rigori della Universi dominici gregis, a meno che la sua preferenza (sua e del suo gruppo) non sia stata orientata da qualche entità esterna al Conclave. Chi dunque? Minutella dirà “la massoneria”, “Soros” e chissà chi altri… Indimostrabile, ma se anche fosse la scomunica non cadrebbe sul Papa. Quanto a Benedetto XVI, già il Papa emerito è intervenuto personalmente a qualificare di «semplicemente assurdo» che si questioni sulla libertà della propria rinuncia all’ufficio petrino.

Non solo: la ratio della Costituzione Apostolica in questione è tale da evitare qualsiasi interpretazione restrittiva in ordine alla validità dell’elezione. Lo si vede ob eminentiam nel numero 78, cioè nel primo (!) paragrafo del capitolo VI, dedicato a ciò che si deve osservare o evitare nell’elezione del Sommo Pontefice. Ebbene, il primo pensiero del Papa polacco andava all’eventuale “crimine di simonia”: con quel paragrafo Giovanni Paolo II minacciava la scomunica a tutti «coloro che se ne renderanno colpevoli», fatta salva tuttavia la validità dell’elezione:

Se nell’elezione del Romano Pontefice fosse perpetrato – che Dio ce ne scampi – il crimine della simonia, delibero e dichiaro che tutti coloro che se ne rendessero colpevoli incorreranno nella scomunica latæ sententiæ e che è tuttavia tolta la nullità o la non validità della medesima provvista simoniaca, affinché per tale motivo – come già stabilito dai miei Predecessori – non venga impugnata la validità dell’elezione del Romano Pontefice.

Era stato il buon vecchio Paolo III a dichiarare invalide le elezioni simoniache (la sua lo era stata, ma Papa Farnese ebbe l’accortezza di non rendere retroattiva la norma), e sempre san Pio X aveva revocato la disposizione del predecessore rinascimentale, proprio per evitare che qualcuno saltasse su a minare il trono di Pietro con una dichiarazione (vera o falsa che fosse) di mercimonio in Conclave. Dopo di lui anche Pio XII e Paolo VI ebbero l’accortezza di seguire questa direttiva tuzioristica. Lo stesso volle fare Giovanni Paolo II, precisamente perché non arrivasse un don Minutella – neppure in caso di conclamata simonia (il peggio del peggio) – a «impugnare la validità dell’elezione del Romano Pontefice». Precauzione inutile, a quanto pare: contro le disposizioni canoniche vigenti il prete scismatico brandisce le opinioni teologiche (Bellarmino) e le disposizioni decadute (Paolo IV).

Due sprazzi di eresia nel discorso di Minutella

L’excursus canonistico l’ho proposto unicamente per mostrare l’inconsistenza delle “ragioni” addotte da Minutella nella propria apologia: mi scuso se qualcuno l’abbia trovato troppo arido. Subito dopo l’ultimo passaggio citato, lo scismatico palermitano richiama il concetto di eresia secondo il Catechismo di san Pio X e sfida retoricamente l’uditorio a trovare in cosa egli sia venuto meno alla fede cattolica.

Ebbene, vorrei per un attimo prescindere dai cumuli di ingiurie – stupide, ingiuste, gratuite – da lui rivolti al Romano Pontefice (in primis quella – ridicola – di “neo-arianesimo”): ancora prima di addentrarci nel mistero di Dio (del quale l’ho sentito parlare assai poco), il suo problema macroscopico è con l’ecclesiologia.



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Quando elenca le note della Chiesa Minutella ne enumera due su quattro e ne aggiunge una che non è, in senso stretto, una nota ecclesiastica: egli afferma infatti (anche in questo video) di credere «la Chiesa cattolica, apostolica e romana». Quest’ultimo aggettivo stride nella bocca di uno che avversa tanto ostinatamente il Romano Pontefice, ma il punto è che il Simbolo niceno-costantinopolitano (il Credo che recitiamo a messa) non fa menzione alcuna della “romanità” della Chiesa. Nei contesti di coesistenza della Chiesa cattolica con le comunità ecclesiali protestanti si è gradualmente affermato l’uso di espressioni quali “Roman Catholic Church”, ma di per sé la romanità non è una prerogativa della Chiesa cattolica. L’unità e la santità, invece, lo sono. E Minutella le menziona di rado (e dico così per beneficio d’inventario: io non glie le ho mai sentite elencare).

Non è questione di parole, evidentemente: «La bocca parla dalla pienezza del cuore» (Mt 12, 34), ed è difficile dire che si crede «la Chiesa una» quando continuamente si bercia contro “la falsa chiesa”; altrettanto lo è credere «la Chiesa santa» quando nulla sfugge alla contestazione più radicale (l’espressione “Santa Madre Chiesa” è fraseologica: non può essere addotta a ricorrenza). In un passaggio di Minutella quasi saltavo sulla sedia: dopo aver ricordato (43’ 45”) di aver chiesto invano «il sostegno di una delle voci che stanno da quest’altra parte» afferma che la delusione sarebbe stata utile «a capire che non c’è una vera Chiesa: ormai resta solo il piccolo resto cattolico». La teologia del piccolo resto sembra essere contrapposta a una compiuta ecclesiologia, ma è vero il contrario: nel mondo e all’interno della stessa chiesa visibile il “piccolo resto” è la Chiesa stessa, tutta integra nella sua essenza. Don Minutella appare gravemente confuso, come è comune che sia un pervertitore degli spiriti.

«Uno, due, tre… Eretico!»

L’orda di parabolani che sui social ha messo “a ferro e fuoco” (si fa per dire) la blogosfera cattolica italiana restituisce la temperatura di un clima ecclesiale gravemente malsano, almeno in alcune sue parti. Questo si deve – a mio giudizio – a un combinato disposto di diversi fattori, tra cui ipotizzo la rarefazione di una vita di vera carità e vera preghiera e il contestuale ingigantimento del “momento opinionistico”. Amici e amiche mi fanno osservare quasi ogni giorno che se “tanta brava gente” è sinceramente confusa qualche malessere dev’esserci: non è pensabile che siano tutti matti o stupidi. In realtà penso che non sia necessario postulare alcuna di queste due cose (poiché entrambe escludono la libertà di quell’atto umano che è il giudizio): è sufficiente che siano presenti alcuni pregiudizi… o anche solo uno.



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E perché scomunicare Minutella e non quel prete che benedice l’aborto o quel religioso che auspica il “matrimonio” gay? E quella suora che insegna sciocchezze contro il magistero della Chiesa, perché lasciarla al suo posto? Si parla di eresia con la stessa indeterminata vaghezza che presiede al veloce gioco da ragazzi noto col nome di “Un, due, tre… stella!”: la regola è che quando il censore si volta nessuno deve muoversi… ma quali movimenti sono proibiti e quali ammessi? Il sorriso, il battito delle ciglia, la pulsazione cardiaca… nessun regolamento lo stabilisce in via definitiva e quindi il gioco finisce quando le contestazioni prevalgono sul divertimento. Parabola plastica della “discussione” ecclesiale (meglio si direbbe “chiacchiera”, con Heidegger, o “chiacchiericcio”, con Benedetto XVI) su cosa sia eresia.

Un’eresia non ne scaccia e non ne giustifica un’altra – a differenza di quanto sembrano pensare gli acritici sostenitori di Minutella –, ma in questo contesto sembra da rispiegare anche che cosa s’intenda per “eresia”, in senso proprio e stretto, e perché teorizzare una cosa grave come l’“abominevole delitto” dell’aborto non sia cosa più “eretica” che teorizzare l’ammissibilità di qualsiasi omicidio. Provo a spiegarlo con il riferimento a tre canoni attualmente vigenti: il 751, il 752 e il 750:

Vien detta eresia, l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia, il ripudio totale della fede cristianascisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti.


Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumiesercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; i fedeli perciò procurino di evitare quello che con essa non concorda.


Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scrittatramandatavaledire nell’unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti sono tenuti evitare qualsiasi dottrina ad esse contraria.

Ecco: professare che in Cristo non si riveli una vera persona divina, la quale tuttavia agisce anche in una vera e integra natura umana – per fare un esempio – attiene alla “fede divina e cattolica”. L’eutanasia e l’aborto – sempre per fare un esempio – sono sempre stati visceralmente avversati dai cristiani, ma non sono l’oggetto di definizioni dogmatiche e quindi, sebbene siano facilmente ricollegabili al patrimonio delle verità di fede, tuttavia esigono «non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà». E il prete che benedice “matrimonî” gay? Lì la questione si fa più spinosa, perché lentamente ci si avvicina all’attentato a un sacramento – il che è certamente materia dogmatica –: fino a quando però non si teorizza la presunta consistenza di un “matrimonio omosessuale” (sempre per restare nell’esempio) ogni azione pastorale potrà essere azzardata, temeraria, respingente al senso cattolico e dunque passibile di “giuste pene” (così il Diritto)… ma non eretica, in senso stretto. Enrico VIII (che di teologia ne capiva, e parecchio) non fu scomunicato perché tradiva la moglie – questione morale – ma perché pretendeva di manomettere la materia sacramentale – questione dottrinale. Quindi invocare scomuniche a pioggia su ogni prete ignorante e ansioso di apparire “friendly” verso qualcuno è poco più di una comprensibile indignazione rivestita di una non condivisibile ostinazione.

Opportuna una revisione quanto all’esposizione del Papa

Un malessere pervasivo in tal senso c’è, ma secondo il mio parere esso è amplificato oltremodo da una innaturale sovraesposizione di tutto ciò che circonda il Papa. Ho visto che – dopo i libri sul comodino del Papa – stanno pubblicando un libro sulla nonna di Francesco! Il Santo Padre detiene un ufficio che ordinariamente si limita a funzioni vitali, sì, per la Chiesa, ma nient’affatto destinate ad alimentare il dibattito pubblico: nomina e consulta i vescovi, riceve i capi di Stato, coordina i nunzi apostolici e in tutto questo è coadiuvato dalla Curia Romana. L’estenuante dibattito su ogni accessorio della sua persona attiene a un contesto puramente mediatico: e le scarpe nere, e il camauro rosso, e la veste filettata, e la borsa se la porta da solo… Da questo si passa senza soluzione di continuità a dispute dottrinali ben più serie, nelle quali però i commentatori non hanno più competenza di quella che sfoggiano quando discettano delle “scarpe di Prada” (che non sono di Prada): così si biasima (stoltamente) la lettera a Enzo Bianchi per i 50 anni di Bose e si dimentica che fu l’osannato Benedetto XVI a volere Bianchi presente in due sinodi in qualità di esperto. Allo stesso modo si biasimano i front-man delle cordate omosessualiste e non si tiene in conto il fatto che certe cupole si costruiscono in decenni di paziente oscurità: prendersela con il Santo Padre è due volte da stupidi – una perché ogni pontificato dura meno dell’arco di quelle cordate, e la seconda perché il Papa si gioverebbe piuttosto di sostegno che di critiche da bar.



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L’esito terminale di questo clima è l’esasperazione spirituale e intellettuale di quanti vi si dedicano. Proprio stamattina una signora mi diceva: «Sto pensando di passare all’ortodossia». Come se non avendo un Papa non si avessero problemi. Inavvertitamente, la signora dimostra proprio che gran parte del problema – lungi dall’essere il Romano Pontefice – è precisamente la sconsiderata sovraesposizione a cui lo si sottopone. Il cristianesimo è una cosa semplice: accogliere Gesù come Signore e Salvatore, credere nel Vangelo e lasciare che lo Spirito ci conformi all’«Unigenito che è nel seno del Padre». Punto.