Quattro figli morti di AIDS le hanno lasciato in dote otto nipoti, uno morto presto: col cuore ferito, le mani all’opera e l’aiuto delle vicine compie miracoli quotidiani.
Di padre Umberto Davoli, missionario in Zambia
Helen Lunda è una di quelle vecchiette arzille e battagliere che non dovrebbero morire mai! Sprizza simpatia da tutti i pori e sciorina un entusiasmo e un coraggio contagiosi a dispetto dei mille motivi che avrebbe di piangersi addosso dall’alba al tramonto. Mamma di tre figlie e di un figlio, infatti, se li è visti morire uno dopo l’altro di Aids in giovane età, preceduti o seguiti a breve distanza dai tre generi e dalla nuora. Ognuna delle quattro coppie lasciò un paio di orfanelli, per un totale di otto angioletti in cerca di un tetto… e di affetto!
Senza spaventarsi più di tanto, nonna Helen si asciugò le lacrime di nascosto e allargò il cuore come la chioccia gonfia le ali per proteggere i suoi pulcini dal falco e se li prese tutti nella sua catapecchia sgangherata (in affitto a due Dollari al mese!), facendosi in otto – letteralmente! – per mantenere in vita quegli uccellini, tre dei quali già mostravano gravi segni di denutrizione.
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Poi il più malnutrito e macilento pensò bene di traslocare dove la fame non ha diritto di cittadinanza, e così restarono in sette. “Una Nonna per sette Fringuelli!“, commentò poi Helen a questo punto il giorno che ebbi il privilegio di conoscerla, cercando di seppellire in una risata forzata la lacrima che le rigava la gota. Capii la battuta poco dopo, quando passando davanti alla sala cinematografica della cittadina ai cui margini abitava, vidi la locandina di un vecchissimo film: “Una Sposa per sette Fratelli”.
Per la verità, il caso di Helen mi era stato segnalato un buon mese prima che il bimbo morisse, da una buonanima di terziaria francescana che più di una volta aveva condiviso con la vecchia nonna la sua già magra razione di cibo, ma io non ero riuscito a visitare la famigliola, un po’ per il lavoro piuttosto assillante, un po’ perché vivo a una ottantina di chilometri da dove abitano… ma soprattutto perché non avevo compreso l’urgenza della situazione. Per cui, quando l’amica di Helen mi venne a dire del decesso del bimbo fui io a sentirmi molto in colpa e corsi immediatamente a far visita alla vecchia.
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Fu un’esperienza indimenticabile. Mi narrò una toccante storia di lacrime nascoste e di risate alla luce del sole, volutamente ostentate per tenere alto il morale della nidiata. . . che era lì presente e scalpitante (cinque su sette, per via dei due più grandicelli già piazzati gratuitamente alla ‘Community school’) e pendeva dalle labbra della nonna, sganasciandosi dal ridere ogniqualvolta ella concludeva con una battuta esilarante i momenti più drammatici della sua impari lotta contro la fame, la miseria e la morte.
“Quand’è che te li sei trovati tutti sulla groppa, nonna?”
“Prima, dal 2002, ne ho avuti sei da mantenere; poi, alla morte dell’ultima figlia, nel Giugno dell’anno scorso, si sono aggiunti gli altri due. Mi sembrava proprio di farcela, ma poi ho perduto Remy!”. Ebbe un attimo di scoramento. Chiuse gli occhi e un tremito improvviso le fece vibrare le labbra, quasi stesse per piangere. Povera nonna! Aveva un magone di pena e d’angoscia per quella morte, che doveva sentire come una sconfitta – e forse una colpa – personale. Per riportarla a una valutazione più positiva della realtà le chiesi subito come aveva fatto a mantenere tutta quella brigata per tanto tempo.
“Merito delle mie vicine di casa. Più di due anni fa si organizzarono e, dopo essersi tassate esse stesse per iniziare il fondo, andarono a parlare del mio caso alle fitente della parrocchia (le piccole comunità di base). Così sono riuscite a mettere insieme un bel gruzzolo, come capitale perché partissi col mio commercio!”
Non credevo alle mie orecchie. “E quanto misero insieme come capitale iniziale?”
“Cinquantamila Kwacha! Sono state bravissime!”
“Cinquantamila? Accipicchia!”. Non c’era bisogno di calcolatore: col Dollaro a cinquemila Kwacha, facevano dieci Dollari tutti interi! “E tu mi dici che con cinquantamila Kwacha sei riuscita a mantenere ‘una nonna e sette fringuelli’ per due o tre anni?!”
“Beh, mantenere mica tanto, per la verità! Erano otto. . . e uno m’è volato via!” (Che sbadato! Perché mai ricordarle il numero dei suoi uccellini? Evidentemente, quello assente le premeva sul cuore più dei sette presenti). Le misi una mano sulla spalla e con tutta la tenerezza di cui ero capace la rassicurai che nessuno avrebbe potuto fare di più e che anzi ero curioso di sapere come c’era riuscita con un capitale di quelle dimensioni.
Allora le tornò il sorriso; mi sbirciò in tralice con un’occhiata furba e birichina e sbottò: “Tutto sta a far partire il commercio rapido e a essere capace di mantenere i ritmi bilanciati tra spese vive e fondo rotante!”
“Spiegami tutto per bene, nonnina, che questa voglio presentarla al corso di Economia e Commercio alla Bocconi o agli economisti dell’Europa Unita!”
“Vedi, tu hai cinquantamila Kwacha. Ne usi la metà per comperare pomodori all’ingrosso e l’altra metà per olio da cucina sempre all’ingrosso!”
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” Eh già, dico io, cinque Dollari di pomodori e cinque di olio: più all’ingrosso di così!” – “Esatto…”, continua imperterrita, “poi fai spargere la voce che nonna Helen, data emergenza fame, vende pomodori e olio a prezzi scontati: chi prima arriva, meno paga! In due giorni hai finito la vendita, perché nessuno vende a prezzi così stracciati, e tu realizzi anche sessantamila Kwacha, il che ti dà diecimila di profitto!”
“Che sono ben due dollari netti!”, dico sempre io, malignamente. “E sì, ma tu intanto puoi comperare da mangiare per i bimbi e continui ad avere le cinquantamila di fondo rotante che ti permette di comperare arachidi e rape per il prossimo giro d’affari…”
“Sempre all’ingrosso, ovviamente” le suggerisco. “Certo”, dice lei senza raccogliere la provocazione, “e non hai tempo di annoiarti e nemmeno di invecchiare!” e si profuse in una delle sue risate contagiose, mandando i piccoli satrapi in visibilio.
Mi sorpresi a immaginare il daffare, le corse e le fatiche, tra la casa, il commercio, la cucina e i bucati… Che donna, ragazzi! Sembrava stesse raccontando favole a buon fine, ma soltanto lei poteva sapere le innumerevoli notti insonni, la paura di non farcela, la stanchezza e l’angoscia di fronte al compito immane e alla pochezza delle sue forze.
“Nonna, – le dissi – se Dio vuole, hai finito di doverti arrabattare e lottare ogni giorno contro gli spettri della miseria e della fame: questi sono per il cibo, questi per la scuola e per qualche extra e a fine mesi vieni alla missione”…
Finalmente – e per la prima volta! – la vidi piangere davvero, mentre gli scugnizzi la guardavano esterrefatti e attoniti, come se non potesse essere la nonna che conoscevano. Ma a me, vi assicuro -sfaogni sua lacrima mi andava in tanto sangue!
Provate a indovinare, amici: tra i due, chi stava ricevendo di più.