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L’astronauta Nespoli: in cielo sono coscienza pura (VIDEO)

PAOLO NESPOLI
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Annalisa Teggi - pubblicato il 12/11/18
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Quanto è bello che un uomo del cielo ricordi ai bambini, e a noi, due parole bellissime (e dimenticate!) della vita sulla terra: anima e coscienza.

È una cosa grave la gravità?

Intervenendo a un evento presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano, l’astronauta Paolo Nespoli ha posto questa domanda ironica a due bimbe, per tentare di spiegare come ci si sente in orbita, in assenza di gravità. A quanto pare non è facile liberarsi del peso del corpo, cioé adattarsi a essere sospesi richiede un tempo lungo. Per farlo capire alle fanciulle, Nespoli chiama prima in causa i supereroi volanti come Superman, poi si rivolge agli adulti presenti per una riflessione più profonda:
Sulla Terra abbiamo sempre la coscienza del nostro corpo, dal peso ai vestiti che indossiamo. Nello spazio, in assenza di gravità, sembra di essere coscienza pura, sembra di avere solo mente e anima mentre ci si sta guardando in giro. (da Repubblica)
Ormai si sente così poco questa parola, coscienza. Mi ha lasciato stupita che la usasse un uomo di scienza e ingegneria, un elettricista spaziale – come si definisce lui.


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Avrebbe potuto usare sinonimi più asettici, ma ha scelto le parole giuste: anima, coscienza. In effetti chi si catapulta a tu per tu con le stelle deve porsi non solo domande fisiche, ma anche ontologiche. Allora mi sono messa a cercare di capire meglio chi è Paolo Nespoli, il cui nome mi era noto ma di cui sapevo davvero poco.

Dalla Brianza alla Stazione Spaziale Internazionale

E dalla Brianza arrivò a Beirut. Dopo la scuola militare di paracadutismo a Pisa, il giovane Nespoli fece parte del contingente della Forza Multinazionale di Pace in Libano col grado di maggiore dal 1982 al 1984; lì conobbe Oriana Fallaci, ebbero una relazione di 5 anni e fu proprio lei a convincerlo ad andare in America per diventare astronauta. Fu un cambio completo di prospettiva, dallo stare in mezzo ai conflitti terrestri a osservare il nostro pianeta dallo spazio. Allontanarsi dalla Terra, però, significa addentrarsi ancora di più nel mistero della nostra esistenza.

Anche un ingegnere aerospaziale come Nespoli, abituato ad addestramenti, protocolli, macchine e precisione, si concede tante passeggiate mentali sul senso dell’esistenza.  L’eccellente carriera astronautica che ha conseguito (nel corso delle sue tre missioni spaziali è stato complessivamente in orbita 313 giorni, 2 ore e 36 minuti) gli ha spalancato gli occhi sull’umano oltre che sulla scienza:

[…] capita di sentire gli astronauti parlare di quanto il nostro pianeta appaia fragile osservato da lassù. Quanto l’atmosfera che ci protegge e consente la vita sia uno strato sottile, che un soffio sembrerebbe poter spazzare via. Il famoso pallido puntino azzurro di Carl Sagan, per intenderci. Però, a pensarci bene, siamo noi a essere fragili, non la Terra. (da Wired)

Fragili e piccolissimi, con uno smisurato desiderio di conoscenza. Dal cielo Nespoli ha vissuto questo paradosso che tutti abbiamo addosso, proprio nel modo in cui Dante lo attribuì ad Ulisse: siamo una piccola barca che chiede cosa c’è oltre le Colonne d’Ercole. E nel vissuto di un astronauta deve senz’altro una pulsione forte questo tema del limite personale, mentre si sta nel bel mezzo di un universo sconfinato; lui stesso racconta di essere stato un militare sempre indaffarato a volersi confrontare con ostacoli sempre maggiori, per abbattere ogni genere di muro.


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E oggi, mentre i giornalisti gli parlano delle possibilità di andare su Marte, Nespoli è già proiettato a pensare se in un futuro si arriverà su Proxima Centauri (stella che è a 150mila anni di viaggio da qui). E questo oltre dove ci porterà mai? Forse è tutt’uno col tornare all’Origine.

Quando l’ardore – direbbe appunto Dante – viene lanciato su nel cielo, oltre l’atmosfera terrestre, deve fare inevitabilmente i conti con la grossa domanda sul divino. Cosa risponde il ragazzo dell’oratorio, divenuto adulto astronauta che ha messo in discussione e vagliato il suo cattolicesimo d’origine?

Ammetto che a volte, mentre osservo il cielo dalla Stazione Spaziale, mi viene istintivo pensare a quanto non solo tutta la meraviglia che vedo non sembri casuale, ma pure che dev’esserci stato qualcuno con una conoscenza molto superiore alla nostra – che poi è la mia definizione di Dio – per mettere tutto al suo posto. Di contro, un secondo dopo, ricordo Einstein e quante cose irrealizzabili siamo invece riusciti a fare accumulando sapere e competenze.Quello che non riusciamo a spiegarci afferisce alla fede, rientra nel credo spirituale. Per paradosso, però, più riusciamo a conoscere, meglio capiamo quanto aumentino le cose da scoprire. Come diceva Socrate e al di là dei paradossi, più si è coscienti di quel che ci circonda, più si deve ammettere di non conoscerlo. La presunzione di sapere è indice di ignoranza. Non so se ho risposto; credo in Dio? Non lo so. (Ibid)

Chissà se di questa riflessione personale avrà accennato qualcosa ai due Papi che si sono collegati con lui durante le sue missioni; prima – nel 2011 – Benedetto XVI, poi Francesco nel 2017. Come afferma il giornalista Paolo Ricci Bitti è inevitabile che, guardando oltre l’oblò di una nave spaziale, «tutti si chiedano almeno una volta chi o che cosa possa aver creato quello spettacolo che toglie il respiro» (da Il Messaggero)

Una coscienza tra le stelle

Forse un pezzo di Brianza lo ha seguito su nel cielo. Confesso di essere rimasta parecchio stupita nello scoprire che proprio Paolo Nespoli si ricordò di fare gli auguri dal cielo a uno degli scrittori cattolici più importanti del ‘900, il brianzolo Eugenio Corti: lo fece in occasione della festa per i suoi 90 anni nel 2011. La terra d’origine ce l’hanno in comune e anche qualcosa in più, probabilmente quell’idea di servizio e dedizione imparata all’oratorio e che può essere declinata in mille modi diversi dentro ogni ambito di sapere e di lavoro.

PAOLO, NESPOLI, ASTRONAUTA

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Dall’oratorio Corti arrivò fin nell’inferno della ritirata di Russia, affondò i piede stanchi e gelati fin nel pezzo di terra più crudele che l’uomo possa conoscere. Da lì alzò gli occhi al Cielo, giurando di fronte a Dio che avrebbe trascorso il resto della sua vita a rendere vere le parole del Padre Nostro “Venga il Tuo Regno”. Corti mantenne quella premessa, rimanendo col corpo ben piantanto a terra, e appesantito da ogni specie di gravità. Nello sprofondare alle radici del male e del dolore, indicò sempre una compagnia del Cielo.  Come non ricordare quell’ultima scena del Cavallo rosso?  Un incidente e un’auto che affonda nel lago, contemporaneamente un angelo che si precipita giù dal Cielo per afferrare l’anima della donna a bordo. Vinta la gravità per sempre.

È solo un passaggio mentale mio personale; eppure ho sorriso commossa nel vedere che adesso un altro brianzolo osserva da un punto di vista capovolto il medesimo mistero di corpo e anima dell’uomo.


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Dall’oratorio Paolo Nespoli è arrivato – si direbbe – fino alla soglia del Paradiso, la volta celeste.  Il suo è un percorso di vita in cui la fede rimane più sullo sfondo rispetto all’ardente messaggio di Eugenio Corti; eppure è lui che, parlando di gravità insieme ai piccoli spettatori del Museo della Scienza, pronuncia parole che sempre più di rado sentiamo nei discorsi davvero importanti: coscienza e anima.
Dal cielo, verrebbe da dire, rimpiomba sulla terra una proposta umana interessante: oltre il nostro pesante guscio corporeo, cosa siamo?
L’astronauta ha il privilegio di sentirlo sulla sua pelle; deve essere davvero insolito e anche difficile stare in assenza di gravità, non percepire il proprio peso. Allora che resta? Una parte pensante? Una coscienza pura, dice Nespoli.
Con l’esempio dei supereroi volanti alla Superman non si dichiara soddisfatto della spiegazione; essere senza gravità non è solo essere più leggeri, evidentemente. Resta importante il fatto che ciò che fluttua nello spazio è una sostanza che resta viva, pensante e libera.
Allora mi rendo conto, intuisco a tentoni, che deve essere più bello ritornare coi piedi per terra.
Riprendere il peso è come dare una strada all’anima, darle modo di incarnarsi ed essere pienamente all’opera nel bene e nel male. La gravità è una cosa grave, allora? Sì, ci fa cadere giù dalle nuvole. Ci dona l’appartenenza a un tempo e un luogo, ci dona l’opportunità di vivere appieno la coscienza, sprofondandola nelle quotidiane e pesanti sfide del bene e del male.