Piccolo consiglio per i sacerdoti: un linguaggio troppo ecclesiale può creare non pochi problemi con i fedeli!
Un bravo parroco per essere anche un buon comunicatore non deve parlare in modo “ecclesiale”. In “Poche chiacchiere! (Collana I PRATICI ELLEDICI)” Giorgio Agagliati spiega gli elementi di cui deve tener conto per lanciare messaggi efficaci ai suoi fedeli.
Ogni comunicatore cristiano è chiamato a sviluppare, accanto all’approfondimento della conoscenza, e dunque deve sapere bene di ciò che parla, un talento divulgativo alla Piero & Alberto Angela.
I “pericoli” del gergo
Utilizzare un linguaggio troppo specialistico, ad esempio, dà l’impressione di un fastidioso snobismo intellettuale, di un inutile e un po’ vanesio sfoggio di cultura e, soprattutto, di una sorta di incomunicabilità, che certo non giova alla comunione dei fedeli e al senso di appartenenza alla comunità.
E’ opportuno e necessario, poi, che chi appartiene a un’esperienza particolare di Chiesa, come un’associazione o un movimento, impari a distinguere tra il proprio ambito di appartenenza e la comunità ecclesiale allargata.
Leggi anche:
11 suggerimenti per essere dei bravi oratori nella vostra parrocchia
Fraintendimenti
Queste attenzioni valgono anche, e a maggior ragione, quando la Chiesa comunica verso l’esterno. Troppe volte i fraintendimenti nell’opinione pubblica nascono dal convergere di due errori: l’incapacità di esponenti della Chiesa di tradurre adeguatamente il proprio linguaggio e la forzatura operata dai media di impianto laicista.
La chiarezza di Francesco
Tra i grandissimi meriti di Papa Francesco, che è veramente anche maestro di comunicazione, c’è quello di parlare sempre la stessa lingua, sia dentro, sia fuori la Chiesa. Il suo è un parlare semplice e chiaro, non per questo meno profondo, anzi, profondo proprio per questo, perché è un parlare che raggiunge ogni mente e ogni cuore senza ambiguità.
La formazione che non funziona
Ma anche dove c’è una retta volontà e una pura intenzione, può accadere che l’ecclesialese prenda la mano per, diciamo così, deformazione professionale.
È in parte, come si è già detto, un problema di formazione: nei percorsi di preparazione al Ministero Ordinato (presbiteri e diaconi) si dà in genere pochissimo o nessuno spazio alle tecniche di comunicazione. Si tratta ampiamente della Comunicazione con la C maiuscola, cioè della dimensione teologica della relazione tra Dio e l’uomo. Ma la «cassetta degli attrezzi» non viene quasi mai fornita.
Leggi anche:
7 regole per evitare che le riunioni nella vostra parrocchia siano scoccianti
Le 4 fasi
Qual è l’antidoto contro tutti questi rischi? È un procedimento, un “esercizio” in quattro fasi.
Prima fase: scrivo un articolo o una relazione, o preparo un intervento, una catechesi, un’omelia su un tema sul quale mi sento preparato, e uso il linguaggio che mi viene più spontaneo.
Seconda: cerco il ritorno, il feedback di un piccolo panel di persone che mi vogliono bene e perciò parlano chiaro e che, possibilmente, conoscono bene la comunità dei destinatari.
Terza: ascolto e leggo i migliori comunicatori cristiani (e do un’occhiata a questo manuale …).
Quarta: rivaluto ciò che ho preparato alla luce della seconda e della terza fase, e intervengo di conseguenza. Con quale criterio? Quello essenziale è che se il tasso di ecclesialese eccede il minimo fisiologico, bisogna correggersi.
Lo scopo dell’evangelizzazione e della pastorale è portare e far a restare a bordo tutti, non selezionare un equipaggio d’élite. I linguaggi della Chiesa, per conseguenza, non sono iniziatici, ma invogliano a iniziare e proseguire un cammino.
Leggi anche:
Come parlare di Dio oggi? Il contributo illuminante di un filosofo convertito