Un uomo la salva dalla strada, la prende in moglie e lei…si prostituisce. Ma il finale è lieto
L’Antico Testamento racconta la storia di una giovane donna che si lascia attrarre dal piacere e tradisce colui che l’ha salvata e amata. Questa donna si rivela la peggiore tra le ingrate e le traditrici narrate nelle Sacre Scritture.
A descriverla è il profeta Ezechiele nel capitolo 16 del suo libro e da lui rielaborata nel capitolo 23.
“Oggetto ripugnante”
La scena iniziale è quella di una strada solitaria; sul ciglio si agita una neonata abbandonata, col cordone ombelicale non tagliato e sporca di sangue, figlia illegittima di un amorreo e di una donna hittita, quindi di origini impure per l’ebraismo, esposta «come un oggetto ripugnante» su questa pista nel deserto.
“Il suo seno era florido…”
Passa, però, un ricco viandante e la raccoglie con tenerezza: «Passai vicino a te e vidi che ti dibattevi nel sangue» (16,6). La fa crescere e sboccia una splendida fanciulla: «il suo seno era florido, era giunta ormai alla pubertà» (16,7). Col tipico gesto nuziale, quel signore la copre col suo mantello e la rende sua moglie, riempiendola di amore e di doni: «Eri diventata sempre più affascinante, eri una regina» (16,13).
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Le avances dei cavalieri
Ma a questo punto scatta la svolta: «Tu, infatuata della tua bellezza, ti sei prostituita, concedendo i tuoi favori a ogni passante» (16,15).
Nel racconto parallelo del capitolo 23 si ripete per tre volte (vv. 6.12.23) che la donna si lascia conquistare dai «giovani attraenti, cavalieri montati su cavalli dell’Assiria», evidente allusione alle alleanze militari stipulate da Giuda che comportavano degenerazioni idolatriche. Nel brano del capitolo 16 si fa esplicito riferimento proprio agli idoli: «Coi tuoi stupendi gioielli d’oro e d’argento, da me donati, facesti figure umane e le usasti per peccare» (16,17).
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Infamie e delitti
La narrazione dilaga nella raffigurazione della sequenza di infamie, delitti, empietà perpetrate da questa «spudorata sgualdrina» (16,30), la cui legge sembra essere il piacere, la frenesia del tradimento, l’oscenità e i peccati di ogni genere: «superbia, ingordigia, ozio indolente, rifiutare la mano al povero e all’indigente» (16,49).
Esame di coscienza
La storia diventa, quindi, sempre più esplicita nella sua dimensione religiosa e si trasforma in un esame di coscienza per Israele. Ma il sipario non cala sulla scena immersa nella luce torva del tradimento e della colpa. L’amore dello sposo non si arrende, anzi, desidera spezzare la catena delle perversioni che avvinghia la donna amata.
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Il perdono
Ed ecco, allora, in finale la ricomposizione di una nuova alleanza nuziale che cancella il passato, un’alleanza offerta dal marito tradito che sempre più ha la fisionomia del Signore. Di fronte a questa iniziativa d’amore, la donna «ricorda, si vergogna e, confusa, non sa più aprir bocca. Ma io ti ho perdonato per quello che hai fatto. Parola del Signore Dio» (16,63).
In realtà questa donna non è fisicamente esistita. Il racconto di Ezechiele è allegorico: vuol puntare l’indice contro la “donna” Israele che ha tradito il “suo” Dio. Ma la misericordia di Dio è talmente grande che, alla fine, perdona tutte le nefandezze commesse.
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