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A 27 anni Charlene è morta per salvare la bimba nel suo grembo

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Annalisa Teggi - pubblicato il 31/10/18
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Una famiglia californiana di giovanissimi genitori con tre figlie e la quarta in arrivo; nonostante i suoi problemi cardiaci, mamma Charlene si è fatta operare per salvare la piccola Quinn che è nata prematura e sta bene

Tutto si è deciso in fretta senza il tempo di riflettere, solo il tempo di dire sì a un intervento per salvare una figlia in pericolo; anche a rischio di morire. Per una madre questo tipo di scelta istintiva non è irragionevole, ma piena della consapevolezza viscerale del proprio posto, essere custode della vita. In effetti, non è neppure una scelta; semmai è la conferma di un sì detto molto prima, e confermato giorno per giorno nella vita familiare.


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Una famiglia aperta alla vita

Charlene Flores viveva a Fresno, California, con suo marito Elesandro e le loro tre figlie. Lei, 27 anni, aveva festeggiato a febbraio i dieci anni insieme alla sua dolce metà ed erano in attesa della quarta figlia, Quinn. Le poche notizie su di loro mostrano una famiglia modesta e serena, con sovrabbondanza di quote rose e una fede cristiana condivisa.

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Abbiamo sentito tante volte, con un brivido sottocutaneo, quel passo del Vangelo in cui si dice che il Signore verrà come un ladro di notte. Nella Sua irruenza, forse, non c’è né ci sarà nulla di violento, ma solo una misura più compiuta di quello che noi crediamo si costruisca in anni e decenni di preparazione.



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Dipendesse da noi, saremmo pronti domani; più esperti dopodomani; convinti e sicuri tra cinque anni. «Ho bisogno di te ora» è l’unico criterio di Dio, che non si fonda su meritocrazia né esige curriculum traboccanti di competenze; arriva e chiede la libertà di accogliere un disegno, come fece con Maria quando mandò a lei l’Angelo. E la madre disse sì.

Benché non fosse ancora vicina alla scadenza del parto, qualche notte fa Charlene ha sentito delle contrazioni fortissime ed è stata portata all’ospedale dal marito: una forte emorragia interna stava mettendo a rischio la vita della figlia, necessario intervenire con un cesareo dicono i medici. Testimone il marito, Charlene acconsente senza dubbi, nonostante sappia che i suoi problemi cardiaci rendono l’intervento rischioso per la propria salute.

Neanche il tempo di comunicare al papà che il cesareo è andato bene e Quinn è nata e scatta il codice blu, Charlene muore.

L’incubatrice

“Ho detto alle mie figlie che sono un’espansione della loro mamma – ha detto papà Flores – Siete donne e sarete tutta la mia vita; e sono anche sicuro che vi prenderete cura di me” (da ABC11News)

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Intanto nell’incubatrice la piccolissima Quinn cresce e si rafforza. I legami primordiali sono la nostra vera democrazia. A tutte le latitudini, nei quartieri popolari e in quelli borghesi, ognuno incontra il cuore pulsante del mondo: questioni di vita o di morte, la scelta cosciente del bene e del male, l’odio e l’amore accadono in ogni casa. Siamo abituati a svilire la vita comune, nei posti comuni, tra gente banale; in realtà, è proprio tra noi – persone qualunque – che accade tutto ciò che Dio reputa indispensabile.



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Ieri sera un tramonto dai colori straordinari riempiva il cielo sopra il supermercato dove stavo per entrare. Anche in questo caso era una presenza furtiva quanto un ladro a dare luce a ciò che io giudicavo spento e monotono. Mi ha dato l’impressione che qualcuno volesse ribaltare il mio concetto di noia e giorni trascorsi nel vuoto. Scuola-lavoro-pranzo-spesa-cena-letto. Mi dimentico spessissimo che queste parole ripetitive sono il recinto della mia incubatrice.

Posso intuire che tipo di vita semplice e indaffarata avesse Charlene, posso immaginarla felice della sua casa e stanchissima a fine giornata. L’ordinario e trascurato fulcro del mondo, la famiglia. E’ tutto quel che serve a una persona per maturare e arrivare al punto supremo della vita in cui guardare davvero il proprio volto nel riflesso dell’eterno. Senza effetti speciali, ogni passo e trama di giornata è una chiamata a collaborare al disegno di Dio, che nel caso di Charlene ha portato a un gesto che verrà etichettato come eroico.

Lei non lo ha agito come tale, non ne ha avuto il tempo; se eroismo esiste, parte da prima: è l’essere stata figlia, poi moglie, poi madre e tutte le piccole grandi storie incrociate attorno a casa ad averla portata ad essere pienamente consapevole, anche nell’irruenza del momento tragico, di ciò che voleva essere. Era pronta, senza essere preparata, perché – m’immagino – aveva alle spalle la solidità dell’esperienza di giorni semplici trascorsi a giocare, poi studiare, innamorasi, lavorare, amare, ridere e piangere avendo accanto un marito e tre figlie.

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Più gli occhi mettono a fuoco un nido di bene a cui appartenere e di cui essere agente, più l’io matura senza preoccuparsi troppo di sé. Solo con un grosso sforzo intellettuale si può separare l’io di una madre dal tu del bimbo che è nella sua pancia. Nell’esperienza ben più quotidiana, viva e perciò straordinaria, la mamma sente un’unità più grande delle singole parti del corpo “mie e tue”: Charlene non ha scelto di morire, ma di partorire cioè di dire sì a ciò che era lieta di essere, madre.