Dobbiamo imparare a trasformare in preghiera il nostro desiderio di pregareCapita spesso di discutere, tra amici cattolici, di tempo e condizioni ottimali della preghiera. Alcuni pregano in macchina, camminando, cucinando, altri hanno bisogno di un luogo tranquillo, un tempo dedicato e di una certa disposizione d’animo. Ovviamente succede a tutti di trovarsi alternativamente nell’una o nell’altra situazione.
In via del tutto ideale, è ovvio che sarebbe meglio pregare senza distrazioni, mettendosi alla presenza di Dio e magari facendo anche una composizione di luogo, cioè aiutandoci con gli occhi interiori a ricostruire il quadro su cui stiamo meditando (immaginare i dettagli concreti di una certa pagina della Scrittura, o di un mistero del santo Rosario…). Sarebbe d’aiuto un luogo appartato, silenzioso, raccolto. E avere il tempo necessario… cioè – a queste condizioni – la maggior parte di noi non potrebbe pregare quasi mai!
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Penso alle mamme con figli piccoli, che si addormentano dove si appoggiano, a chi fa lavori pesanti, a chi ha famiglie numerose e sempre in attività, a chi assiste persone malate e anziane e non può disporre liberamente del proprio tempo. Allora che si fa? Si trasforma in preghiera il nostro desiderio di preghiera, i nostri frammenti sgangherati, quel poco che riusciamo a fare, sperando che Nostro Signore faccia come con i pani e i pesci, e ne moltiplichi i frutti spirituali oltre le nostre aspettative. Non voglio dire che possiamo trascurare la preghiera perché tanto è lo stesso, ma credo che a volte la fedeltà difficile, arida, che sembra quasi senza frutto, sia più preziosa di un ideale irraggiungibile. Se guardo a me, credo di essere stata vittima di una tentazione tutte le volte che ho rinunciato a pregare perché mancavano “le condizioni ideali”. E credo di essere stata benedetta da alcuni doni spirituali ogni volta che, nonostante la mediocrità della preghiera, non l’ho abbandonata.
Bisognerebbe essere come fisarmoniche, capaci di comprimersi nella preghiera a spizzichi e bocconi, quando non si può fare di meglio, e poi di allargarsi in una preghiera profonda, concentrata, prolungata, quando le occasioni ce lo consentono. In concreto, credo sia meglio dire il Rosario guidando o cucinando che non dirlo affatto. Quel giorno magari sarà un po’ meccanico, ma nel lungo periodo, una lunga serie di giorni in compagnia della preghiera – per quanto imperfetta – hanno un gusto diverso dai periodi della nostra vita in cui la preghiera è assente.
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C’è una preghiera che mi commosse particolarmente nei primi tempi della mia conversione, si intitola “Amami come sei”, la potete trovare qui, e che dice una cosa molto vera: se attendiamo di essere perfetti (e di essere nelle condizioni perfette) prima di pregare e amare Dio, non lo faremo mai.
E’ vero piuttosto il contrario, cioè che la costanza, la fedeltà nella preghiera, anche con la testa che cade dal sonno, o la mente distratta da altro, creano quelle condizioni di frequentazione e di intimità con Nostro Signore, che ci permettono, nel tempo, di poter anche sperare in momenti di unione profonda, di intimità, di relazione vera. Se non siamo abituati a percorrere quella strada giorno dopo giorno, non potremo incontrarci nessuno. E non è detto che anche i nostri continui tentativi e fallimenti non possano essere un’offerta gradita a Dio. In un certo modo vale anche per la Messa: ci sono giorni, a volte settimane e mesi, in cui la partecipazione è solo meccanica, si va, si sta un’ora, si esce… e nulla nel profondo è stato toccato. Ma la preghiera cristiana non è una pratica di meditazione come se ne trovano altrove, l’attenzione non è tanto focalizzata su ciò che “sento” o che “mi accade”, quanto piuttosto è mettersi alla presenza di Cristo, dialogare con Lui, chiedergli che, attraverso lo Spirito Santo, ci illumini e ci guidi. In questo dialogo hanno importanza, certo, le condizioni in cui arrivo, quanto sono pronta all’ascolto, ma altrettanto importante è l’azione di Nostro Signore in me, ma che non dipende da me. Per questo motivo va fatto il possibile per pregare bene, ma non bisogna pensare che ci siano condizioni talmente ostili da impedire la preghiera. Magari solo un piccolo appuntamento quotidiano, dieci minuti al mattino prima che la giornata abbia inizio, o alla sera, quando ormai sta terminando, ma il più possibile costante, certi che ciò che facciamo non è un atto solo interno alla nostra mente e al nostro cuore, ma in rapporto con la mente e il cuore di Cristo, che non ci può lasciare senza i beni spirituali di cui abbiamo bisogno.
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