Senza pretese teologiche, mi sono accorta di come cambia la giornata se rispetto l’ordine del creato voluto da Dio … ed è il miglior antidoto all’egoismo ansiogeno
Non c’è cosa più strana ed esaltante che accorgersi, nel quotidiano, di quanto sia vero ciò che è teologicamente noto: la Sua parola non passerà. Quando capita che una frase del Vangelo, o un versetto della Bibbia, calzi a pennello con la vita di oggi e abbia la stessa freschezza del trillo di un sms appena ricevuto da un’amica, c’è da restare a bocca aperta. O meglio: non solo capita che calzi a pennello, ma è il consiglio giusto che cercavi e attendevi.
Non c’è niente di più vecchio, trito, contestato, ripetuto a memoria o condannato a dimenticanza dell’inizio del libro della Genesi; eppure pochi giorni fa mi è sembrato che non ci fosse niente di più nuovo e clamoroso sulla faccia della terra. Se vogliamo, è un semplice elenco o un’agenda: la descrizione dell’ordine seguito da Dio nel fare il mondo. E prima viene la luce, e poi le acque, e poi la terra, e poi … e poi … e poi l’uomo. Dopo l’uomo, proprio in fondo, la donna.
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A seconda delle situazioni, ho considerato questo brano da punti di vista poetici, umani, storici, filosofici. Qualche giorno fa mi è venuto incontro come una prescrizione medica, vergata da Dio proprio per me, per curare l’ansia che rode stomaco e neuroni e che altre medicine tamponano senza consolare.
Le dive si fanno attendere
L’uomo è il vertice della Creazione, arriva alla fine perché è la creatura più speciale tra le creature. La donna allora sarebbe il vertice del vertice – ironizzo. Se può esserci una lettura meritocratica nell’ordine della Creazione non è certo per motivi di orgoglio, quella vanità per cui le dive arrivano in ritardo e si fanno attendere. È invece per un senso di responsabilità.
Ci sono volte in cui, tra tutti i membri della mia famiglia, io sono l’ultima a uscire di casa. Di solito la scena prevede tre bambini e il papà in auto, con uno sportello aperto: facce che sbuffano e si chiedono quanto ancora ci metterà la mamma a sbucare dalla porta. Ne esce qualche frase ironica pronunciata al vento: “Eh, le donne devono scegliere i vestiti, pettinarsi e poi truccarsi”. Magari, rispondo mentalmente. Il più delle volte esco per ultima perché ho preparato ogni singolo componente della famiglia prima di me, compresi i dubbi amletici del marito su camicia o maglietta. Prima di chiudere la porta c’è spazio anche per quel pensiero tremendo sui fornelli spenti, i rubinetti chiusi e le crocchette per il gatto.
Questo senso di responsabilità mi frega parecchio, perché deborda nel sentirmi padrona delle persone e delle cose; è già un grosso travisamento dell’agenda di Dio.
Quante cose da fare
La Genesi racconta che quando l’uomo arrivò sulla faccia della Terra, l‘universo era già zeppo di presenze luminose, rumorose, in movimento. Quando arrivò la donna, c’era pure un uomo in mezzo a tutto il resto. La poveretta non sarà stata mica interpellata perché le cose cominciavano a precipitare nel caos?
Ci sono sere in cui sono l’ultima a rientrare a casa. Apro la porta e vedo il pavimento pieno di giochi sparsi, si sentono urla e risate e miagolii da ogni angolo, la tavola è apparecchiata a metà e mio marito sta giocando a Master Chef con le pentole. Ci sono volte in cui l’ansia mi assale così repentina e ingestibile che comincio a cucinare o pulire con la giacca e la borsa ancora addosso. Mi do la colpa di non essere stata presente, ancora una volta fraintendo il mio posto nel mondo. Perché? Perché mi metto sempre al centro del racconto.
E così è stato un tuffo repentino e rigenerante accorgermi che la prima grande parola di conforto della Genesi è proprio il posto in fondo che mi ha riservato Dio: «Vieni, ho già pensato a tutto io. Guarda e partecipa» mi dice.
Il sole sorge prima di me
Per tutte le domande sofisticate abbiamo biblioteche intere di commenti formulati da intellettuali plurilaureati; per i bisogni davvero essenziali scopriremo di volta in volta con più chiarezza che la parola di Dio è una dispensa piena di tutto il necessario. Mi sono ritrovata a dover spiegare in modo semplice quale fosse il criterio “pericoloso” dietro l’arte impressionista, un argomento solo apparentemente lontano dal quotidiano. Molto del nostro agire è impressionista, nel senso che la nostra impressione viene prima della realtà. E questo si traduce in disegni senza senso, visti da vicino: quando la nostra impressione la fa da padrona è capace di distorcere ciò che c’è e anche di farlo sparire.
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Quando guardo da lontano le ninfee di Monet sembrano davvero ninfee, poi da vicino sono macchie. Non sto criticando il valore di Monet o il senso di questa corrente pittorica; sto pensando a quella distorsione che capita nella mia vita quando “il mio pensiero della ninfea” viene prima della ninfea stessa. Tutto si sfuoca e si sbiadisce quando l’ego è al centro e la realtà è sullo sfondo. Ecco perché la realtà è stata creata prima di un “io”. Mi accorgo di quanta premura verso le persone ci fosse nel gesto di San Tommaso che provocava i suoi studenti con la frase: “Questa è una mela, se non siete d’accordo potete andarvene“. C’era in questa frase un’attenzione gigantesca al valore della persona; il mio io può mettersi davvero a fuoco solo se viene prima la mela.
Ecco perché Dio mi ha tenuto per ultima (… nel mio caso personale, se fossi stata creata per prima non so se avrei tollerato la presenza di qualcosa diverso da me nel mondo e comunque avrei messo becco su come doveva essere fatto).
Ad ogni alba dovrei ripetere l’agenda della Creazione e ringraziare il Padre di aver sconfitto il mio egocentrismo prima ancora che esistesse. Dando un ordine alla Creazione mi ha educato a guardare; e non è mai scontato ricordarsi che la presenza della realtà viene prima dei miei progetti su di essa. La mia partecipazione al mondo, se metto al centro me stessa, si traduce in una gara a perdifiato con i progetti da rispettare, i giudizi già inferti su eventi e persone, le aspettative da non tradire assolutamente.
E allora, altro che Monet! Il mio quadro diventa un pasticcio da lontano e da vicino, il criterio impazzito della mia ansia confonde grandezze e stature; scambia dettagli per mostri; disdegna piccolezze fondamentali; travisa stupidi gesti per imprese epocali; decide cosa tenere e cosa buttare senza averlo prima ammirato. E poi si perde ogni scampolo di bellezza.
Ma Dio lo sapeva già. E ha fatto in modo che il suo agire fosse anche una scuola guida: la luce, prima dell’io. Altrimenti è l’io la luce del mondo, e va a finire male. Se io sono stata creata per ultima, vorrà dire che c’è molto da guardare prima di pensare e fare. C’è molto da accogliere prima di progettare. C’è molto a cui porre domande, prima di invadere il mondo attorno a me con teorie autogenerate.
Come a certe casse del supermercato hanno la precedenza gli anziani e le donne incinta, così dovrebbe essere la sfida di ogni mattina: prima arriva la luce, poi tutto quello che illumina e che c’è, poi io. La realtà ha la precedenza; hanno la precedenza le presenze sui pensieri. Forse ogni inizio davvero sensato comincia con un “Aspetta il tuo turno” e non con uno scatto fulmineo.
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