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Costruire la pace sotto il sorriso di Romero e Paolo VI

ROMERO
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Lucandrea Massaro - pubblicato il 14/10/18
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La Comunità di Sant’Egidio a Bologna inaugura la sua tre giorni con la benedizione di tre santi: Wojtyla, Montini, RomeroProprio oggi mentre a Piazza San Pietro verranno canonizzati papa Paolo VI e monsignor Oscar Romero, a Bologna la Comunità di Sant’Egidio sull’onda di quelle esperienze profetiche prova a continuare la strada della costruzione di “ponti di Pace”. La Comunità con Romero ha un legame strettissimo, monsignor Vincenzo Paglia ne è il postulatore, e la Comunità per anni ha pregato per questo riconoscimento, così per far conoscere in Italia la figura di questo santo vescovo del popolo, a sua volta legato a Paolo VI.

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Tra i relatori dei numerosi panel che si terranno dal 14 al 16 di Ottobre, il professor Roberto Morozzo della Rocca, ordinario di storia contemporanea a Roma Tre, esperto di Europa orientale e che di Romero è studioso e biografo. Aleteia ha raggiunto lui e altri membri della Comunità di Sant’Egidio per farsi anticipare alcune delle riflessioni che verranno portate avanti a Bologna: “Romero sembra un santo ad omnia, ne parlano per tutto, – esordisce Morozzo della Rocca – per l’ecologia, per la vita, in realtà Romero la sua vita la vedo come quella di una persona che si è impegnata su poche cause: poveri, giustizia e pace. In Salvador poveri e popolo sono quasi sinonimi. Per capire se una politica è giusta o sbagliata, diceva Romero, basta valutare che impatto ha sui poveri. Ma oltre a questo l’impegno costante per la pace, monsignor Romero era un uomo di pace che non voleva la violenza, e non l’amava. Capiva le ragioni della guerriglia nel suo paese (dove era proibito il sindacato, dove i soprusi sui poveri erano enormi, dove non si poteva neppure possedere una Bibbia senza passare per sovversivo), però la violenza per Romero era totalmente inaccettabile, quindi il discorso sulla pace è il nesso tra la nostra iniziativa di Bologna e la canonizzazione a Roma. Per questo dopo la morte è scoppiata la guerra civile, lui era un uomo di dialogo e di pace e parlava con tutti e svolgeva un ruolo di freno alle violenze”. “Un passo del suo diario «ho visto dei ragazzi che si gettavano dei sassi, forse giocavano, ma mi ha fatto male» è esemplificativo della sua mitezza”.

Gli fa eco, il suo collega Adriano Roccucci, anch’egli professore di Storia Contemporanea a Roma Tre, il quale ci spiega come questo incontro capiti, non per caso, “proprio nel giorno dei quarant’anni dall’elezione di Giovanni Paolo II, e ci confronteremo con il suo messaggio: il dialogo come modo di presenza della Chiesa nella storia”. La sua amicizia fin dalla giovinezza con gli ebrei è un esempio di una attitudine al confronto di Karol Wojtyla, “un papa che ha interpretato creativamente il tema conciliare del dialogo ecumenico e interreligioso. Nel 1986 l’innovazione assisana, è una intuizione profonda, profetica e tra gli incontri di Bologna e Assisi c’è un rapporto di filiazione, sempre all’insegna della pace”. Collegare insieme dialogo, preghiera e pace, i tre angoli dell’azione gianpaolina. “Parlare oggi di Giovanni Paolo II come Papa del dialogo – spiega ancora – non è solo un atto per onorarlo, ma una opportunità per cogliere una eredità per un mondo che di dialogo ha bisogno per le sfide di questo mondo”.

Un tema difficile quello del dialogo, così come è difficile il confronto tra oggi e 32 anni che ci separano dalla “prima Assisi”, intavolare un dialogo era più facile: era il dialogo tra Est e Ovest, tra superpotenze. Oggi il mondo è più frammentato e nessuno risponde più a nessuno, neppure alle ideologie. Il dialogo è molto più sperimentale, fatto di tentativi e di approcci pratici.

“Assisi dovrebbe essere un modello, dice il professor Morozzo della Rocca, ma in alcuni ambienti politici però l’assenza di dialogo è la regola”.

“Molto spesso le scelte dei papi – spiega Roccucci cogliendo un parallelismo anche in altri pontificati – non vengono capite subito ma solo successivamente, è il destino delle scelte che aprono nuove strade, che chiedono alle persone di cambiare e cambiarsi, mi pare che il disorientamento iniziale di alcuni sia nelle cose. Assisi ad esempio non fu capita da tutti, alcuni furono perplessi, altri disorientati, alcuni avversi, ma l’itinerario di questi decenni hanno dimostrato come fu una scelta profetica e anticipatrice”.



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Anche Mario Giro, ex viceministro degli Esteri, definisce il contorno di questa edizione dei dialoghi interreligiosi di pace “un dialogo particolarmente importante in un mondo così frammentato. Ci sembra vitale in questo momento in cui la globalizzazione è in crisi e crea crisi. Ne parleremo anche con il Presidente Romano Prodi in uno di questi panel, visto che l’Europa è il nostro destino”. Una Europa che stenta tuttavia a svolgere pienamente il suo ruolo internazionale, e che è divisa al suo interno “La UE è uno strumento per la pace e per la giustizia sociale, ma siamo di fronte a vecchie ricette che tornano di fronte ad ogni crisi economica: il nazionalismo”. Un rischio, quello dei muri, che mette alla prova la tenuta del vecchio continente: “Le frontiere – spiega Mario Giro – sono sempre fragili e possono essere sia luoghi di frizione tra stati e comunità, ma anche luoghi di incontri. Ci sono anche le frontiere interne delle nostre città, è lì che bisogna operare per una pace duratura”.

“Le religioni – che pure hanno i loro problemi – possono fare un discorso di dialogo e convivenza sia per l’Europa che per la pace in Medio Oriente. Ci vuole una cooperazione rafforzata di fronte alle crisi. La crisi siriana è totalmente uscita dall’agenda occidentale, ma forse potremo dare un contributo quando sarà il momento della ricostruzione”.

La pace, del resto, merita ogni sforzo possibile.