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Ora esiste la stanza della rabbia: entri e spacchi tutto. Sfogarsi basta?

DONNA, RABBIA, SOLA
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Annalisa Teggi - pubblicato il 10/10/18
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Le clienti di queste nuove strutture per scaricare il rancore sono prevalentemente donne. Ma si può chiudere il cuore in una stanza? I padri del deserto ci propongono una via diversa: alimenta la pazienza lotterai contro la rabbia e il rancore

Rosso è il colore con cui hanno immaginato questa emozione alla Disney, in quel capolavoro chiamato Inside Out: la rabbia può essere rossa come l’amore? Hanno in comune l’accendersi e il divampare; sono stati incontenibili in cui l’umano raggiunge lo stato incandescente nella carità e pure nelle distruttività.



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Giovanna D’Arco era fuoco d’amore, a fine giornata io come lei brandirei un’arma ma non per scopi meritevoli. Un sovraccarico di tensione, mentale soprattutto, mi porta a diventare cupa e borbottante come un temporale che sta per esplodere; spesso riverso il rancore verso chi non se lo merita.

Come un vulcano che per liberare energia distrugge tutto ciò che cova dentro. Non restano che macerie, poi.

Non mi ha stupito più di tanto, però mi ha fatto pensare, leggere la notizia dell’apertura della «stanza della rabbia» a Bologna, peraltro vicino a dove abito: si tratta un luogo in cui si entra, si paga, e si ha a disposizione un tempo e un luogo chiuso in cui spaccare tutto. Aziende di trasloco forniscono materiale da poter sfasciare; nella camera c’è un semaforo, quando scatta il verde comincia la furia, quando scatta il rosso ci si ferma. Magari si potesse davvero controllare la rabbia con un meccanismo…

 «Questo è un luogo dove è possibile sfogarsi distruggendo oggetti e mobili. È dedicato a chi ha bisogno di rilassarsi in modo non convenzionale». (da Corriere di Bologna)

Un luogo simile esiste anche altrove, a Milano ad esempio ed è curioso – forse proprio per nulla – che il gestore constati che gli oggetti più desiderati da distruggere siano quelli elettronici, il computer soprattutto. E’ una sorta di Nemesi, ma più che altro è una dichiarazione spudorata: l’idolo delle nostre giornate è il nostro vero nemico. Anche io spaccherei il mio cellulare, dopo averlo venerato per ore, spulciando messaggi, scattando foto, chattando.

Rabbia, femminile singolare

Un altro dato che emerge dalle statistiche della stanza della rabbia è che il gentil sesso ne è il maggior cliente:

«Chi sono i vostri clienti?». «Donne, soprattutto. Ragazze fra i 20 e i 30 anni, in particolare. Amiche, sorelle, colleghe. Arrivano qui sempre un po’ titubanti, poi una volta dentro sembrano Wonder Woman» (Ibid)

DONNA, RABBIA, FURIA

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Questo mi ricorda che sono anch’io imparentata con le antiche Erinni. Sono Megera, sotto sotto. La mitologia rappresenta queste Furie come delle vecchie, coi capelli fatti di serpenti e gli occhi di fiamma. Qualcosa da aggiungere? No, c’è tutto: il corrodersi e invecchiare, il veleno serpentino che copre la testa, il fuoco che distrugge. Scarmigliata e feroce, sono capace di diventare. Ma mi chiedo se l’unica via d’uscita sia lo sfogo.

Se la prima tentazione è stata quella di mettermi in macchina e raggiungere la stanza della rabbia per starci un’oretta, poi è subentrata la vocina di Dante nella mia testa.



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Quando si trovò nell’Inferno, fu testimone di una scena paradossale: quelle bestie furiose delle Erinni furono messe a bada da un angelo che piombò giù dal cielo armato di un minuscolo bastoncino. Quella presenza luminosa ma per nulla spaventosa le mise a tacere, scomparvero istantaneamente. Forse significa che c’è una via alternativa allo sfogo della rabbia, un modo virtuoso di incanalare quel surplus energico e rovente.

Un cuore a stanze?

Il dominio delle emozioni non è un semaforo, purtroppo. Per fortuna, anzi. L’umano non è un oggetto coi pulsanti on/off, ha una vasta possibilità di cambiamento e trasformazione. E’ rischioso ridurre la grandezza del cuore a compartimenti stagni. Esisteva già la panic room, per la paura; esistono le stanze del piacere; ora anche la stanza della rabbia. Tutto il rischio di queste frammentazioni sta nella parola «contento», che è stretta parente di «contenuto» e «continenza».

Si può dire che la soddisfazione gioiosa passi da una forma di contenimento delle passioni che ci attraversano, ma è una deriva pensare di creare scatole contenitive per incasellare il materiale incandescente del nostro cuore. Occorre un argine, non un recinto: come i vasi sanguigni, occorre una rete comunicante e guidata al circolo virtuoso della linfa buona, che può sgorgare anche dal fondo di un risentimento o da un astio.


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La rabbia è potente, deflagrante, accecante. Procura molte forme di morte non solo a chi circonda l’anima furente, ma anche all’anima stessa. I Padri del deserto ci aiutano a mettere a fuoco la questione e anche a uscirne «contenti» ma non «ingabbiati»:

Le vie di chi serba rancore conducono alla morte del cuore.

La tristezza, la negatività sono come un tarlo che rode l’anima dell’uomo.

Le passioni se non vengono provate e domate diventano come un cavallo selvaggio, ed è la rovina del cavaliere.

Digiuno del corpo sobrietà d’intelletto.

Alimenta la pazienza lotterai contro la rabbia e il rancore.

Piantala

«Alimenta» è una parola bellissima, e molto materna. Altrettanto femminile come la rabbia, e opposta. Forse allora la chiave è dare all’energia distruttiva il volto dell’energia nutriente. Il rancore lasciato a pascolare in solitudine si autoalimenta, insieme però corrode ogni fibra dell’essere.

Quando il nervoso prende il sopravvento, non ho a casa mia una stanza della rabbia. Ho un terrazzo e ieri sera ho trapiantato una pianta che stava diventando troppo grande e schiacciava quelle che aveva intorno. E’ stato un lavoraccio: sporco ovunque, tenaglie, sbrogliare radici, potare, poi pulire per bene. Il lavoro manuale è un antidoto, e quello che porta alla piccola costruzione di qualcosa – anche solo una pianticella in un nuovo vaso – fa scendere sul tumulto dei pensieri una carezza di serenità. Meno decoroso è il lavoro, meglio è. Educarsi alla pazienza viene più facile negli esercizi manuali, in un secondo tempo educa la pazienza spirituale.


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Non è stata una scena epocale quella di ieri sera, ma pensandoci è stato un modo inconsapevole per dire a me stessa: piantala, cioè usa la tua energia rabbiosa per far sbocciare qualcosa. Quando stai per schiacciare chi ti circonda, cambia terreno.

Le nostre forze sono una benedizione per molte realtà che nascono e crescono di puro volontariato. Attorno a noi ne abbiamo a frotte, basta voler guardare. Perché limitarsi allo sfogo se la nostra rabbia può alimentare qualcosa di buono? Il bene non è schizzinoso, accoglie a braccia aperte anche la nostra voglia di incanalare una luna storta e vendicativa in un pizzico di aiuto per qualcun altro. Piuttosto che chiuderci in una stanza, non sarebbe meglio bussare a una porta e chiedere: “Posso dare una mano?”.