Una donna che ha entrambi i figli colpiti da gravi patologie fa scudo alla presentatrice delle Iene e spiega cosa significa vivere il cancro come un’opportunità e in un certo senso saperne accogliere il dono
Caro direttore, chi sta combattendo la sua battaglia per la vita merita rispetto. Se non siete capaci di starvene in silenzio, allora riflettete, pensate, e poi tacete per sempre. Anche se la stessa battaglia l’avete combattuta e persa, o se l’avete vinta con altre armi, non avete un contratto in esclusiva che indichi i punti cardinali del sopravvivere. Chi siete? Tutti lì a ricordare a una giovane donna, imperdonabilmente bella, brava e famosa, che lei ha il cancro. Tutti a ripetere, come in un film di Troisi, di ricordarsi che forse morirà. Qualcuno spingendosi oltre e passando ad augurarle questa fine.
Perché il cancro è un dono. È un dono, avete letto. (Repubblica.it)
Inizia così una lettera di Mariangela Tarì a Repubblica. E’ una donna, una madre, in salute a e grata di esserlo; tra le cose che racconta nella missiva c’è anche questa: che ha imparato a percepirsi sana e capace di camminare ad esempio. Chi di noi si ricorda di farlo? Eppure siamo in tanti, per la maggior parte della nostra vita, a poter camminare, parlare, respirare da soli.
Questa signora va subito dritta al punto e tocca proprio il tasto che aveva fatto imbestialire e saltare centinaia di persone dietro le tastiere e gli schermi quando una donna più famosa di lei aveva osato l’ardito accostamento.
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Eppure lei sa cosa sta dicendo, sa bene di cosa stiamo parlando. Ha due figli piccoli e sono entrambi gravemente ammalati. Il maschio, secondogenito, era l’unico sano fino a che non gli è stato diagnostico un medulloblastoma, un cancro al cervello e ha solo sei anni. La bambina più grande invece ha una sindrome neurologica (sindrome di Rett, dal nome del recente scopritore) che sceglie quasi solo bambine per accomodarsi in un organismo e offenderlo, togliendo la parola spesso e in molti casi anche la capacità di camminare e molto altro.
Ho desiderato morire. Ma ora devo vivere. Come Nadia Toffa. E per vivere, e per lottare, e per sperare, devo trovare il bello. Devo dare a tutto questo un vestito che non sa di morte ma di vita.
Ed ecco che arriviamo al dunque: il cancro è un dono, anzi no.
Il dono non è il cancro, il dono non è una malattia propria o dei propri cari. Dio!!! Mi caverei gli occhi e mi butterei nel fuoco per salvare i miei bimbi.
Il dono è cogliere in mezzo alla bufera qualcosa che ne dia un senso. (Ibidem)
La vita che si sta mostrando in effetti particolarmente crudele nella scelta dei destini da intrecciare tutti in questa famiglia ha permesso a questa donna magnifica di imparare una cosa fondamentale. La cosa, l’unica che conta e che può condurre chiunque, che abbia incontrato Cristo o no, alla posizione umana più degna e, mi tremano i polsi a scriverlo, felice: vivere l’istante presente e tutto ciò che in esso ci si propone con gratitudine.
Il mio dono è stato comprendere fino in fondo che la vita è qui ed ora. Che potrebbe non esistere un domani.
Allora il profumo del sugo di mia madre o la risata di un amico me li godo come se non ci fosse un domani. E il tempo. Ho tutto il tempo per i miei figli. Non corro.
Mi soffermo sul loro odore, i capelli, la pelle, le parole.Me li vivo, oggi. Non ho fretta la sera, potrebbe essere l’ultima, e allora leggo loro libri, canto, rido. Ho avuto il dono di percepirmi sana. Non lo sapevo. Cammino, parlo. Mia figlia no.
Devo ringraziare per me.Ho avuto il dono di scoprire la forza di mio marito, il suo amore. Ho avuto il dono di scoprire la tenerezza di mia cognata, la determinazione di mia sorella, le lacrime di mio cognato. Ho avuto il dono di sentire i nonni positivi, vicini, uniti. Ho scoperto quanto vale un amico vero. Ho aggiunto sorelle e fratelli al mio percorso. E ho scoperto che il cielo è meraviglioso dopo una giornata di inferno. Potrei continuare la lista dei miei doni.
La fine della lettera tradisce il cedimento dei muscoli di questo gigante di forza e amore eroico e per questo davvero credo che come credenti abbiamo il dovere di correre da lei di persona o con la preghiera e presentarle Cristo e la Sua indistruttibile speranza e la forza della Sua Resurrezione dalla quale può attingere anche ora. Ne ha bisogno come dell’acqua nel deserto. Non può, dopo queste prove affrontate con tale coraggio e lucidità, evitando di cadere nella trista illusione del carpe diem ma intuendo che l’istante è finestra sull’eterno, non può cedere sotto il peso greve della disillusione.
Lasciatemi, vi prego, l’illusione di aver avuto in cambio almeno alcuni Doni. Lasciate me e Nadia in questa illusione. Vi prego, non ricordateci che, forse, il peggio deve ancora venire. Perderemmo le forze.
Perderemmo la battaglia. (Ibidem)
Chiediamo per lei la fede (o di vedersela rafforzata), per i figli la guarigione, in quest’ordine possibilmente ma tanto è Dio, il sommamente libero, che sa cosa sia meglio e quando.
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Speriamo che possa sentire presto la dolcezza infinita di un Padre che ci ama, ci sta vicino e che ha già fatto scacco matto al re del male trasformando la sua arma più disgustosa e odiosa e molesta e infame in un mezzo per affrettarci ad incontrarLo e per aiutarlo a salvare noi e gli altri. Perché essere salvati significa camminare già nell’eternità mentre il sugo di mamma bolle sul fuoco o durante le chemio del proprio bambino o mentre si bacia il marito. E significa andare a finire dove niente di ciò che è bello, vero, buono avrà mai più fine.
Gesù è l’Innocente che ha espiato tutto ma è anche il Medico, la Vita, la Salute e la Salvezza. Come vorrei che i figli di quella signora guarissero e lei potesse passare il resto della vita terrena a cantare di gioia…Sono sicura che non perderebbe lo sguardo penetrante che ha imparato a posare sulla propria vita e quella di chi ama.