Dal diario di preghiere di Padre Lyonnet: un minuto di vero abbandono a Dio è un minuto di vera compagnia; nel mondo dei nostri sogni, invece, siamo sempre soli.
di Francesco Ferrari
Un amico mi ha fatto conoscere la figura di Pierre Lyonnet, un gesuita che ha vissuto i suoi pochi anni di sacerdozio – nove, in totale – tra un ospedale e l’altro, segnato da una terribile e umiliante malattia, aggravatasi pochi mesi prima dell’ordinazione. Ha lasciato una specie di diario, in cui raccoglie i pensieri e le preghiere del tempo della malattia.
Questi suoi scritti testimoniano la lotta interiore che l’ha attanagliato nel momento della prova. Voleva essere prete, donarsi alla gente, fare grandi cose. La malattia ha mortificato tutti questi desideri, costringendolo a una lotta continua con se stesso. La lotta tra il sogno e la realtà, tra il perseguire un’immagine di ciò che la vita avrebbe dovuto essere e ciò che la vita è stata.
È una battaglia che ciascuno di noi è chiamato a vivere, tutti i giorni. L’alternativa di ogni momento è tra l’amore all’istante e la fuga nel sogno. Se il mio lavoro fosse diverso, se non avessi commesso quello sbaglio, se quella persona cambiasse, se io potessi… Sono tante le forme che può prendere la nostra fuga, ma è sempre un fuggire dal sacrificio, dal dolore, dal Mistero, per andare dietro a una certa immagine di sé e della vita. Immagini belle, positive, a volte eroiche, anche sante. Ma, purtroppo, sempre immagini false.
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False, perché rifiutano qualcosa della realtà. False, perché la verità è che noi non sappiamo come la nostra vita si debba compiere. Abbiamo desideri e progetti, ma la felicità rimane un dono e non una conquista. Il compimento della mia vita posso solo riceverlo, e – vertigine immensa – non so come e quando lo riceverò.
C’è allora una sola posizione che dà veramente pace: l’abbandono, la disponibilità ad amare l’istante presente, accolto come parte di una strada misteriosa ma buona, perché voluta da un Padre. «Accettare la mia malattia – scrive Lyonnet -, offrirti gioiosamente le mie sofferenze, questo non chiede che un minuto, Signore, ma questo minuto vale più di tutta la vita che sogno, e che sarebbe senza dubbio molto bella, se Tu non ne avessi scelta un’altra per me, una più bella». Quel minuto è più bello, pieno e prezioso di tutti i nostri sogni, perché è un minuto di vero abbandono a Dio, e quindi di vera compagnia. Nel sogno, invece, siamo sempre da soli.
Non c’è pace nel sogno, perché non c’è verità. È nella realtà che si compie la nostra vita, la realtà così com’è, a volte misteriosa, ma sempre amabile e bella perché così il Padre l’ha voluta.
Nel rapporto vivo con Dio tutto può essere accolto, fino all’accoglienza più difficile: quella di noi stessi. Noi stessi ammalati, limitati o semplicemente diversi da come vorremmo. Accetto chi sono perché tu, Signore, mi ami e mi chiami ora.
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Tempo fa ho avuto la grazia di accompagnare nella malattia una donna di vera fede. In lei c’era un grande desiderio di vivere, e insieme la certezza di una figlia che sa che tutto è nelle mani del Padre. Ha vissuto la malattia, il distacco dal marito e dai figli, e infine la morte, con una letizia salda e luminosa. In quella donna che moriva c’era una grande pace. La pace di chi ha abbandonato il sogno, aprendo il cuore al desiderio di essere solo ciò che il Padre ha pensato e voluto.
«Signore, voglio amarti – dice ancora Lyonnet – essere santo, ma il santo che Tu vorrai, e per le strade che Tu sceglierai».