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Germania: aumenta il numero di donne con mutilazioni genitali

FGM
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Paul De Maeyer - pubblicato il 31/08/18
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Secondo le stime dell’UNICEF, le donne che hanno subito la prassi sono almeno 200 milioni nel mondoIn Germania vivono oggi circa 65.000 donne che hanno vissuto sulla propria pelle l’orrore delle mutilazioni genitali femminili (MGF o FGM, dall’inglese Female Genital Mutilation) [1]. Si tratta di un aumento del 12% rispetto all’anno precedente, così scrive il sito della Deutsche Welle, che cita le ultime stime di Terre des Femmes, diffuse il 24 luglio scorso. A spingere l’incremento è il flusso di migranti provenienti da Paesi dove la prassi è molto diffusa, come ad esempio Eritrea.

“Da anni i numeri aumentano anche in Germania. Questo dimostra quanto sia importante il lavoro educativo anche in questo Paese. Per porre fine alle mutilazioni genitali femminili, oltre alle leggi e alle azioni penali, sono particolarmente importanti il lavoro di prevenzione e la protezione dei soggetti a rischio”, dichiara Christa Stolle, amministratrice delegata di Terre des Femmes, che sottolinea che “nessuna ragazza va mutilata nei suoi genitali”.

Secondo l’organizzazione senza scopo di lucro tedesca (nonostante il nome francese), fondata nel 1981 ad Amburgo, almeno 15.500 altre bambine e ragazze sono a rischio di essere sottoposte alla cruenta e del resto completamente inutile e anche pericolosa prassi, le cui conseguenze accompagnano le vittime traumatizzate per tutta la vita sotto la forma di gravi problemi di salute, ad esempio cisti, infezioni e pesanti complicazioni al momento del parto. Proprio il periodo delle vacanze è molto critico: bambine ignare vengono portate nel Paese di origine dei loro genitori, dove vengono poi mutilate secondo le tradizioni locali.

Del resto, ricorda sempre Terre des Femmes, per la prima volta dopo l’entrata in vigore dell’articolo 124 del Codice penale svizzero (avvenuta il 1° luglio del 2012), che vieta le mutilazioni di organi genitali femminili, una donna residente nel canton Neuchâtel è stata condannata nel luglio scorso ad una pena di 8 mesi in carcere per aver sottoposto le proprie figlie alla pratica. Anche se i fatti si sono prodotti all’estero, cioè in Somalia e in Etiopia, la donna era comunque punibile per la legge elvetica.



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“Fiore del deserto”

Una donna somala 36enne ha raccontato la sua dolorosissima e sconvolgente esperienza — quella dell’infibulazione o “circoncisione faraonica” — all’emittente tedesca. “Avevo circa 11 o 12 anni. Diverse persone mi hanno bloccato. Poi mi hanno tagliato. Mi hanno messo sul tavolo. Vedo ancora l’immagine. Sentivo un dolore così terribile. Poi mi hanno cucito. Legarono insieme le mie gambe per un mese in modo che la ferita potesse guarire”, ha detto la donna, che per motivi di privacy si fa chiamare Ifrah.

“La procedura viene eseguita da una cosiddetta ‘tagliatrice’”, spiega Ifrah, mentre osserva che le persone che effettuano l’infibulazione “non hanno alcuna idea di che cosa stiano facendo”. “Hanno solo un coltello e una lametta e tagliano”, racconta la donna somala, che da due anni e mezzo viene seguita dall’équipe della dottoressa Cornelia Strunz del Desert Flower Center, aperto nell’anno 2013 presso l’Ospedale Waldfriede a Zehlendorf, a sud-ovest di Berlino.

La clinica, che offre una cura olistica, fra cui anche la chirurgia ricostruttiva, è patrocinata dalla modella somala e ambasciatrice delle Nazioni Unite per la lotta contro le MGF, Waris Dirie, autrice del libro autobiografico Desert Flower (Fiore del deserto). Lei stessa ancora bambina è stata sottoposta alla cruenta prassi, che può portare anche al decesso della vittima, come nel caso della sorellina di appena nove anni di Ifrah, morta infatti per emorragia.

Situazione italiana

Mentre in Europa le stime parlano di circa mezzo milione di donne che hanno subito la mutilazione genitale, il loro numero varia in Italia da 60 a 80 mila, rivela l’agenzia AGI, che si basa sulle ultime stime dell’Università Bicocca a Milano.

L’inchiesta della Bicocca, realizzata su un campione di 1.400 donne, evidenzia che quasi tre quarti delle intervistate, ossia il 72,7%, è contrario alla prassi. Invece quasi una donna su dieci (l’8,3%) difende la medicalizzazione della prassi e uno “zoccolo duro” del 13,5% è persino favorevole alla sua continuazione.

Mentre una stragrande maggioranza delle donne provenienti da Paesi come Eritrea (il 98,3%), Ghana (il 93,9%) ed Etiopia (l’87,5%) si dichiara favorevole alla messa al bando della mutilazione genitale femminile, tra le donne provenienti dalla Nigeria e dal Burkina Faso una percentuale quasi sorprendentemente alta desidera invece continuare la prassi, rispettivamente più del 45% (ossia quasi la metà) e il 34% (ovvero poco più di un terzo).



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Il caso del Kenya

Anche se in vari Paesi del mondo la lotta contro le MGF ha fatto importanti passi in avanti, in Kenya rischia di regredire. Infatti, come segnala sempre la Deutsche Welle in un articolo del 5 febbraio, nel Paese africano, che nel 2011 ha messo al bando la prassi, la dottoressa Tatu Kamau si è rivolta alla giustizia in un tentativo di ottenere nuovamente la sua legalizzazione.

La mutilazione genitale femminile (MGF) appartiene al nostro patrimonio, vietare la MGF è allontanarsi dalle nostre radici africane”, sostiene la dottoressa. “Chiedo che questa legge venga abolita in modo che sia legale per noi praticare la nostra cultura”, così continua la Kamau, la quale propone di medicalizzare la prassi e di lasciar decidere liberamente alle donne adulte se sottoporsi “sì” o “no” al cut (taglio), come viene chiamata.

Secondo Renate Staudenmeyer, dell’organizzazione Terre des Femmes, la proposta avanzata dalla Kamau è dannosa, perché minimizza la “violenza strutturale” che si nasconde dietro la prassi. “È una forma estrema di violenza che viene perpetrata sulle ragazze”, così ricorda.

A metà giugno, il giudice David Kemei dell’Alta Corte di Machakos, a sud-est della capitale Nairobi, ha rinviato il caso presentato dalla Kamau al Chief Justice David Maraga, con la domanda di nominare un pannello di tre giudici per decidere sul caso, così riporta il quotidiano The Star.

Situazione globale

Secondo le stime del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF), pubblicate nel febbraio 2016 in occasione della Giornata internazionale di Tolleranza Zero per la mutilazione genitale femminile, almeno 200 milioni di bambine e donne in 30 Paesi del mondo hanno subito le mutilazioni nel 2015. La cifra rappresenta un incremento di 70 milioni rispetto al 2014, dovuto in parte alla crescita demografica in alcune regioni del mondo e ai dati governativi provenienti dall’Indonesia.

Mentre la metà circa di tutte le procedure di MGF vengono eseguite in soli tre Paesi del mondo (cioè Egitto, Etiopia e Indonesia), nel periodo 2004-2015 quasi la totalità delle donne della fascia di età 15-49 anni in Somalia e in Guinea hanno subito MGF: rispettivamente il 98% e il 97%, rivela la brochure dell’ONU. Per quanto riguarda le bambine della fascia 0-14 anni (alcune subiscono le FGM già nella prima settimana di vita), le percentuali più elevate si registrano in Gambia e Mauritania, con il 56% e il 54% rispettivamente.

L’ampiezza e brutalità della prassi, che non viene menzionata né nella Bibbia, né nel Corano, spiegano perché le Nazioni Unite hanno fissato nell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile anche l’obiettivo di eliminare le mutilazioni dei genitali femminili entro il 2030. “Con la dignità, la salute e il benessere di milioni di ragazze in gioco, non c’è tempo da perdere: insieme possiamo e dobbiamo porre fine a questa pratica dannosa”, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, nel suo messaggio per la Giornata internazionale di Tolleranza Zero 2018.

*

1] Le MGF vengono suddivise in quattro grandi categorie o procedure. Cfr. http://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/female-genital-mutilation.