Negli eventi della seconda giornata di viaggio apostolico in Irlanda, più che in quelli della prima, è stato ripetutamente toccato il dolente tasto degli abusi su minori. Una richiesta di perdono incondizionata ma dignitosa, perché sempre memore delle promesse del Redentore.
Alle volte non occorrono gli eversori, per dirottare il flusso di notizie mentre è in corso un importante evento ecclesiale, ce la caviamo benissimo “in casa”: quando i giornali di sinistra hanno già sfruttato il discorso del religioso border-limit, quelli di destra scoppiano i loro petardi impugnando documenti di alti prelati conservatori. Frattanto, a Dublino si celebrava la conclusione del IX Incontro Mondiale delle Famiglie.
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Ora Papa Francesco sta rientrando a Roma in aereo, e solo ventiquattro ore fa presenziava la Festa delle Famiglie nel Croke Park Stadium di Dublino. A tutti i partecipanti il Pontefice ha fatto dono di una copia dell’esortazione apostolica postsinodale Amoris lætitia, richiamando insistentemente il capitolo 4, che secondo il Papa è quello necessario a dare il quadro ermeneutico del documento, ossia quel “vangelo della Famiglia” che fonde la vita quotidiana e il fine ultimo di ogni essere umano:
Dio desidera che ogni famiglia sia un faro che irradia la gioia del suo amore nel mondo. Che cosa significa? Significa che noi, dopo aver incontrato l’amore di Dio che salva, proviamo, con o senza parole, a manifestarlo attraverso piccoli gesti di bontà nella routine quotidiana e nei momenti più semplici della giornata.
E questo come si chiama? Questo si chiama santità. Mi piace parlare dei santi “della porta accanto”, di tutte quelle persone comuni che riflettono la presenza di Dio nella vita e nella storia del mondo (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 6-7). La vocazione all’amore e alla santità non è qualcosa di riservato a pochi privilegiati, no. Anche ora, se abbiamo occhi per vedere, possiamo scorgerla attorno a noi. È silenziosamente presente nel cuore di tutte quelle famiglie che offrono amore, perdono, misericordia quando vedono che ce n’è bisogno, e lo fanno tranquillamente, senza squilli di trombe. Il Vangelo della famiglia è veramente gioia per il mondo, dal momento che lì, nelle nostre famiglie, Gesù può sempre essere trovato; lì dimora in semplicità e povertà, come fece nella casa della Santa Famiglia di Nazaret.
Il matrimonio cristiano e la vita familiare vengono compresi in tutta la loro bellezza e attrattiva se sono ancorati all’amore di Dio, che ci ha creato a sua immagine, così che noi potessimo dargli gloria come icone del suo amore e della sua santità nel mondo. Papà e mamme, nonni e nonne, figli e nipoti: tutti, tutti chiamati a trovare, nella famiglia, il compimento dell’amore.
Francesco si è soprattutto intrattenuto a parlare con le persone che hanno animato la serata a partire dalle loro riflessioni e testimonianze. Un tema che non era già stato affrontato nei primi incontri della giornata è stato quello dell’incidenza dei mezzi di comunicazione sociale nel tessuto famigliare e a partire da esso:
Ci avete anche aiutato a capire che i social media non sono necessariamente un problema per le famiglie, ma possono contribuire a costruire una “rete” di amicizie, solidarietà e mutuo sostegno. Le famiglie possono connettersi attraverso internet e trarne beneficio. I social media possono essere benefici se usati con moderazione e prudenza. Ad esempio, voi, che partecipate a questo Incontro Mondiale delle Famiglie, formate una “rete” spirituale, una trama di amicizia; e i social media possono aiutarvi a mantenere questo legame e allargarlo ad altre famiglie in tante parti del mondo. È importante, tuttavia, che questi mezzi non diventino mai una minaccia alla vera rete di relazioni di carne e sangue, imprigionandoci in una realtà virtuale e isolandoci dai rapporti concreti che ci stimolano a dare il meglio di noi stessi in comunione con gli altri. Forse la storia di Ted e Nisha può aiutare tutte le famiglie a interrogarsi sul bisogno di ridurre il tempo che spendono per questi mezzi tecnologici, e di spendere più tempo di qualità tra di loro e con Dio.
Un passaggio estemporaneo ma di grande tenerezza c’è stato quando Papa Francesco ha detto:
Mentre ascoltavo il coro, ho visto lì una mamma che insegnava al figlio a fare il segno della croce. Vi domando: voi insegnate ai bambini a fare il segno della croce? Sì o no? [Yes] O insegnate a fare qualcosa così [fa un gesto veloce], che non si capisce cosa sia? È molto importante che i bambini da piccolini imparino a fare bene il segno della croce: è il primo Credo che imparano, il Credo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Questa sera, prima di andare a letto, voi genitori domandatevi: insegno ai miei figli a fare bene il segno della croce? Pensateci, è cosa vostra!
E veniva gestualmente evocata la questione della fede trasmessa “in dialetto”, spesso di madre in figlio. Bello poi il passaggio in cui si afferma che l’“unica carne” i due sposi la diventano incoativamente, per tutta la vita:
Il vino nuovo comincia a fermentare durante il tempo del fidanzamento, necessario ma passeggero, e matura lungo la vita matrimoniale in un mutuo dono di sé, che rende gli sposi capaci di diventare, da due, “una sola carne”. E anche di aprire a loro volta i cuori a chi ha bisogno di amore, specialmente a chi è solo, abbandonato, debole e, in quanto vulnerabile, spesso accantonato dalla cultura dello scarto. Questa cultura che viviamo oggi, che scarta tutto: scarta tutto quello che non serve, scarta i bambini perché danno fastidio, scarta i vecchi perché non servono… Soltanto l’amore ci salva da questa cultura dello scarto.
La mattinata di oggi invece ha visto la prima apparizione pubblica del Papa per l’Angelus, recitato sulla spianata del Santuario di Knock. Lì i pensieri sono stati rivolti in parte alle vittime di abusi (che il Papa – lo avrebbe rivelato all’inizio della Messa – aveva incontrato nella giornata di ieri) e in parte agli irlandesi del nord:
Questa piaga aperta ci sfida ad essere fermi e decisi nella ricerca della verità e della giustizia. Imploro il perdono del Signore per questi peccati, per lo scandalo e il tradimento avvertiti da tanti nella famiglia di Dio. Chiedo alla nostra Madre Beata di intercedere per tutte le persone sopravvissute di abusi di qualsiasi tipo e di confermare ogni membro della famiglia cristiana nel risoluto proposito di non permettere mai più che queste situazioni accadano; e anche di intercedere per tutti noi, perché possiamo procedere sempre con giustizia e riparare, in quanto da noi dipenda, tanta violenza.
Il mio pellegrinaggio a Knock mi permette anche di rivolgere un cordiale saluto all’amata gente dell’Irlanda del Nord. Sebbene il mio viaggio per l’Incontro Mondiale delle Famiglie non includa una visita al Nord, vi assicuro il mio affetto e la mia vicinanza nella preghiera. Chiedo alla Madonna di sostenere tutti i membri della famiglia irlandese perché perseverino, come fratelli e sorelle, nell’opera di riconciliazione.
Nel pomeriggio, dopo il ritorno del Papa a Dublino, ha avuto luogo la celebrazione eucaristica a Phoenix Park. Vibrante l’atto penitenziale, con un nuovo richiamo al dramma degli abusi di minori da parte del clero… e anche ai legami famigliari diabolicamente spezzati negli ingranaggi delle case Magdalene:
Chiediamo perdono per i bambini che sono stati tolti alle loro mamme, e per tutte quelle volte in cui si diceva a tante ragazze-madri che provavano a cercare i loro figli dai quali erano state separate, o ai figli, che cercavano le loro mamme, si diceva che era peccato mortale: questo non è peccato mortale, è il quarto comandamento. Chiediamo perdono.
Sconcertante lezione, quella della storia: talvolta gli abusi di potere sulle coscienze, che non di rado hanno violato anche i corpi, sono giunti all’acme di chiamare peccato ciò che Dio comandava…
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Nell’omelia Francesco ha pizzicato insieme le corde della liturgia della Parola, incrociando il discorso giovanneo del Pane di Vita con il passo deuteropaolino sul “mistero grande” e quello veterotestamentario sull’alleanza reiterata da Giosuè. Ne sono usciti diversi passaggi schiettamente ispirati:
Nella seconda lettura odierna, San Paolo ci dice che il matrimonio è una partecipazione al mistero della perenne fedeltà di Cristo alla sua sposa, la Chiesa (cfr Ef 5,32). Tuttavia questo insegnamento, seppure magnifico, può apparire a qualcuno come una “parola dura”. Perché vivere nell’amore, come Cristo ci ha amato (cfr Ef 5,2), comporta l’imitazione del suo stesso sacrificio di sé, comporta morire a noi stessi per rinascere a un amore più grande e più duraturo. Quell’amore che solo può salvare il mondo dalla schiavitù del peccato, dall’egoismo, dall’avidità e dall’indifferenza verso i bisogni dei meno fortunati. Questo è l’amore che abbiamo conosciuto in Gesù Cristo. Esso si è incarnato nel nostro mondo mediante una famiglia, e mediante la testimonianza delle famiglie cristiane in ogni generazione ha il potere di infrangere ogni barriera per riconciliare il mondo con Dio e fare di noi ciò che da sempre siamo destinati a essere: un’unica famiglia umana che vive insieme nella giustizia, nella santità, nella pace.
[…]
Tuttavia, riconosciamo umilmente che, se siamo onesti con noi stessi, possiamo anche noi trovare duri gli insegnamenti di Gesù. Quanto è sempre difficile perdonare quelli che ci feriscono! Che sfida è sempre quella di accogliere il migrante e lo straniero! Com’è doloroso sopportare la delusione, il rifiuto, il tradimento! Quanto è scomodo proteggere i diritti dei più fragili, dei non ancora nati o dei più anziani, che sembrano disturbare il nostro senso di libertà.
Tuttavia, è proprio in quelle circostanze che il Signore ci chiede: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). Con la forza dello Spirito che ci incoraggia e con il Signore sempre al nostro fianco, possiamo rispondere: «Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (v. 69). Con il popolo d’Israele, possiamo ripetere: «Anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio» (Gs24,18).
E come Paolo salutò in ultimo gli anziani, prima di imbarcarsi ad Efeso (At 20, 18-37), così Francesco ha dedicato l’ultimo incontro del suo rapido viaggio apostolico a quanti con lui condividono in solido «la sollecitudine per tutte le Chiese» (2Cor 11, 28). Bello che il primo pensiero di Francesco sia stato non di generica gratitudine ai confratelli, ma nella fattispecie di riconoscenza per la prossimità al popolo e ai sacerdoti, che da anni vivono con un pesantissimo stigma sociale:
In modo particolare, sono grato per la sollecitudine che mostrate verso i poveri, gli esclusi e i bisognosi di aiuto, come ha testimoniato recentemente la vostra lettera pastorale sui senzatetto e sulle dipendenze. Sono grato anche per l’aiuto che offrite ai vostri sacerdoti, la cui pena e il cui scoraggiamento a causa dei recenti scandali sono spesso ignorati.
Francesco ha poi esortato i Pastori irlandesi a restare aperti al soffio dello Spirito, che saprà suggerire le vie nuove sulle quali ripartire per la missione già affidata da Cristo a Patrizio, a Colombano e ai tanti altri evangelizzatori e missionari d’Irlanda. L’ultima parola è stata di consolazione, e facilmente resta nei cuori – anche se non tutti siamo Vescovi nell’Isola di Smeraldo:
Nei vostri sforzi quotidiani per essere padri e pastori della famiglia di Dio in questo Paese, possiate sempre essere sostenuti dalla speranza che si fonda sulla verità delle parole di Cristo e sulla certezza delle sue promesse. In ogni tempo e luogo, quella verità rende liberi (cfr Gv 8,32); essa ha un suo intrinseco potere per convincere le menti e condurre i cuori a sé. Ogni volta che voi e il vostro popolo sentite di essere un piccolo gregge esposto a sfide e difficoltà, non scoraggiatevi. Come San Giovanni della Croce ci insegna, è nella notte oscura che la luce della fede brilla più pura nei nostri cuori. E quella luce mostrerà la via per il rinnovamento della vita cristiana in Irlanda negli anni a venire.