Entrano in azione i pompieri per un incendio domestico e ciò che colpisce, oltre la loro competenza, è la dolcezza e la totale assenza di rimprovero: sono lì per salvare, anche se hai fatto una sciocchezza, anche se ti sei distratto e saresti potuto essere più prudentedi Lucia Scozzoli
Dopo dieci giorni di favolosa montagna, giusto ieri pomeriggio ho fatto rientro a casa e sono stata subito invitata a cena dai miei genitori, bramosi di rivedere i nipoti dopo tanto tempo di solitudine estiva.
La piacevole serata di racconti di avventure è stata però interrotta bruscamente da un vicino, intento a sbracciarsi di fronte alla finestra: minacciose fiamme e acre fumo nero uscivano dal locale caldaia di casa, dove mia madre tiene anche una postazione cottura, per friggere in libertà senza invadere di odori molesti la casa. Purtroppo, in un attimo di distrazione, aveva lasciato il fornello acceso sotto la padella con l’olio in cui aveva cotto le patate e poi ci eravamo tutti eclissati in sala da pranzo, troppo lontano per sentire rumori e odori.
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Subito sono stati allertati anche i vigili del fuoco.
Non sono mancati gli attimi di panico: saltata la corrente, ci era impossibile usare la gomma del giardino per inondare di acqua la stanzetta bruciante, perché il motorino del pozzo non funzionava. Il vicino è accorso in aiuto con capienti secchi e una bella autobotte da irrigazione (è contadino). In pratica, quando sono arrivati i pompieri, le fiamme erano già spente e si alzava dal locale solo una colonna di fumo nero e un notevole calore.
Sono scesi dal veicolo rosso bardati come iron man, con respiratore, bombola, casco: sudavo a vederli! Si sono buttati dentro, hanno controllato tutto, soprattutto il tetto di legno carbonizzato in superficie. Poi sono usciti ed hanno iniziato a togliersi pezzi, svelando alla nostra vista visi estremamente giovani, freschi, decisamente belli.
Con pazienza e qualche strumento apposito, hanno passato al setaccio ogni angolino, per verificare che non ci fossero focolai pronti a riprendere vigore, hanno visionato l’impianto del gas, chiesto informazioni e dato consigli su come intervenire per ripristinare rapidamente la funzionalità; hanno portato fuori dal locale cose intatte, per preservarle dal fumo, hanno rassicurato i miei genitori un po’ sconvolti, hanno sorriso tantissimo. Nessuna critica, nessuna ombra di rimprovero per la disattenzione, o per l’obsolescenza dell’impianto, mancante di un sezionatore apposito per il locale, o per il giro a sirene spiegate forse non necessario (in fondo sono arrivati ad incendio spento).
Gentilissimi, amorevoli, dolci, premurosi, delicati.
Ho sempre pensato che i pompieri fossero persone brusche, per la concitazione e la necessaria autorità da esercitare in momenti di emergenza, forse in questo condizionata da tanti film americani, in cui non mancano mai sgarberie e linguaggi coloriti.
I nostri vigili del fuoco non sono così: dolci come mamme. È impossibile non volere loro bene, istintivamente, immediatamente.
Ho letto tanti racconti sulle prodi gesta dei vigili del fuoco italiani, rinomati per la loro professionalità e competenza, ma anche per lo spirito di sacrificio e la capacità di spendersi fino all’ultima goccia di energia, ma non avevo mai colto quel profondissimo e ricchissimo lato umano, che comunque ciascuno rileva: come il caso dei pompieri a Genova, entrati in un bar per rifocillarsi un attimo dopo tre giorni di scavi, sporchi e polverosi, che subito si sono scusati per l’olezzo della fatica che si portavano appresso. Volevano pagare le consumazioni come tutti, ma la barista ha rifiutato. Gli altri avventori del bar si sono precipitati in massa alla cassa per contribuire, pagando per loro.
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Non stavano ammirando gli eroi, ma gli uomini, di una bellezza disarmante, di un’umanità traboccante. Favolosi.
Mi sono chiesta come fanno ad essere così, i vigili del fuoco, o se lo siano davvero tutti: faranno un corso apposito in gestione dei rapporti umani in situazioni critiche? Non può essere solo quello, nessun corso ti insegna un simile sorriso, una tale gentilezza.
Ho pensato che forse questi uomini sono semplicemente realizzati e felici: si sa che il loro stipendio non è un granché e i rischi non mancano mai, come pure gli orari scomodi e gli imprevisti. Ma questi uomini fanno un lavoro pienamente umano: aiutano il prossimo, ogni giorno. A volte spengono incendi, a volte estraggono persone dalle lamiere, salvano gente dalle alluvioni, tolgono macerie, liberano passaggi critici, intervengono nelle situazioni di emergenza, dove c’è pericolo e serve il coraggio e la forza. Per lavoro, risolvono guai. E sono bravissimi a farlo.
Quando dico a mio marito “ho bisogno di aiuto”, egli scatta in piedi istantaneamente, sempre pronto a venirmi in soccorso, mentre si arrabbia non poco quando vede che sbuffo e fatico, ma cerco di arrangiarmi: per un uomo, aiutare in qualche faccenda pratica è fonte di grande soddisfazione, è realizzazione di sé.
Viviamo tempi in cui ci vergogniamo a chiedere aiuto, un po’ per il mito dell’autosufficienza, un po’ perché ci fanno credere che essere nei guai sia una cosa disdicevole e biasimevole: senz’altro è vero che una buona parte delle situazioni spiacevoli in cui ci ficchiamo ce le siamo procurate da soli, ma nessuno è perfetto e le disattenzioni, gli errori di valutazione o semplicemente le cavolate scappano a tutti. Eppure leggiamo sul giornale voci di aspro rimprovero quando qualcuno si perde su un sentiero di montagna, o resta bloccato su una via, e l’elisoccorso si fa pagare profumatamente per i suoi interventi. Non dico che non sia giusto calcare il tasto della prudenza, anche punendo le avventatezze eccessive, ma c’è comunque una fetta importante di vita che sfugge al nostro rigoroso controllo. Invece “se l’è cercata” è il commento più diffuso.
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Per questo mi aspettavo qualche rimprovero dai vigili, magari pacato, magari camuffato da raccomandazione. E invece niente: non hanno detto una parola. Non era loro compito sgridare, essi erano lì per salvare. E che consolazione sentirsi salvati senza se e senza ma! Che sollievo poter accantonare i sensi di colpa, figli più dell’orgoglio che del pentimento, per lasciarsi rassicurare senza riserve.
L’aiuto vicendevole riempie il cuore di una gioia traboccante, colma di pienezza ogni interstizio del cuore. Fare qualcosa gli uni per gli altri è la chiave della felicità. Stavo per scrivere “è il segreto”, ma non è un segreto: lo sappiamo da almeno 2000 anni che è così, e la bellezza indiscutibile dei vigili del fuoco, coloro che aiutano, per antonomasia, ne è la prova vivente sotto i nostri occhi.