Il Cairo è la città più pericolosa al mondo per le donne: un gruppo di ragazze propone il parkour come messaggio di forza, dignità e coraggio
«Ogni donna egiziana passa tutta la vita a difendersi dalle violenze» racconta una 24enne di nome Nour allo Spiegel. Quasi il 99% della popolazione femminile ne è vittima, molte ragazze raccontano episodi accaduti addirittura prima dell’età scolastica.
Non è un paese per donne
Il Cairo è la città più pericolosa al mondo per le donne. Non servono i proclami ufficiali, come quello fatto da Al Sisi che aveva indetto per il 2017 un «Anno della donna»; non basta il timore della pena, in Egitto la condanna per molestia sessuale è sia pecuniaria (circa 2.400 euro), sia carceraria (dai 6 mesi ai 5 anni).
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Le vittime che hanno il coraggio di raccontare le proprie drammatiche storie riferiscono sempre di essere state aggredite in luoghi pubblici nell’indifferenza generale.
«Non c’è nessuno stigma verso l’uomo che assale – afferma Mozn Hassan, leader nella difesa dei diritti delle donne egiziane – viviamo in una cultura di violenza sessuale. La nostra società tollera la mancanza di rispetto verso le donne». (Spiegel)
Tra le violenze va annoverata anche la pratica della mutilazione genitale, subita dal 85% delle ragazze nonostante sia ufficialmente condannata dalla legge.
Ma in Egitto non era soffiato il vento della primavera araba? Cosa sta succedendo davvero? Così l’inviato de Gli occhi della guerra Luca Fortis tratteggia un ritratto del paese:
“Il presidente Al Sisi è stato appena riconfermato in elezioni in cui non aveva alcun avversario. Ha battuto l’unico sfidante, che in realtà è un suo alleato, Mustafa Moussa. Tutti gli altri candidati si sono ritirati per protesta contro le regole del processo elettorale o sono stati convinti in termini più o meno decisi a farlo. L’affluenza è stata del 40 per cento.
La situazione politica non sembra cambiare, da un lato il presidente è riuscito a stabilizzare il Paese, anche se non ha sconfitto il terrorismo in Sinai, dall’altro però ciò è avvenuto a scapito dei diritti dell’uomo e di tutte le speranze che la Primavera Araba aveva portato. Il caso Regeni ne è la dimostrazione lampante. Se la Tunisia, pur tra mille difficoltà economiche, si è trasformata in una democrazia, l’Egitto, l’altro grande simbolo di quegli anni, ha scelto il militarismo e un potere più simile alle antiche tradizioni faraoniche che a una moderna democrazia. Dietro una legge costituzionale che sembra garantire ogni diritto, spesso si nasconde una storia molto diversa” (da Gli occhi della guerra).
Un cambiamento che non arriva, insomma. Ma a quanto pare, anche con piccoli gesti dal grande valore simbolico, le donne egiziane vogliono lanciare il proprio cuore oltre l’ostacolo.
Un salto per essere protagoniste
La disciplina del parkour offre loro una bandiera perfetta per ribadire la centralità della donna nella vita del paese e quindi il rispetto che le si deve. Viene definita anche «arte dello spostamento» ed è uno sport prevalentemente metropolitano in cui il corpo si confronta in modo positivo con gli ostacoli.
In origine il parcours era nato come tecnica di allenamento militare per educare il corpo a superare i percorsi di guerra assecondando i movimenti naturali del corpo, poi il francese David Belle ne fece una disciplina da praticare nei centri urbani, anche come filosofia di vita: lo scopo è quello di comprendere quali sono le proprie capacità ed affrontare meglio gli ostacoli attraverso il superamento delle proprie paure e comprendere il rispetto per il territorio con il quale ci si allena in modo da capirne l’importanza e non maltrattarlo.
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A differenza delle acrobazie fine a se stesse ed eseguite per stupire gli spettatori, chi pratica parkour vive l’ambiente circostante come un «trampolino», un’occasione per trovare un sentiero personale superando le barriere via via incontrate … ma non in modo oppositivo: un muretto può diventare il punto d’appoggio per una rovesciata.
Ecco il motivo per cui un piccolo movimento di donne egiziane ha scelto di dedicarsi a questo sport e di farlo senza nascondersi. L’allenamento richiesto è molto impegnativo, richiede doti di flessibilità, forza, capacità di adattamento, spinta. Il punto di arrivo è lo spettacolo di giovani donne che si destreggiano con acrobazie dentro la città, saltano barriere, fanno capriole, superano muri: roba dell’altro mondo per la cultura egiziana.
«È naturale che la gente non lo accetti, – dice la giovane Zayneb Helal – alle ragazze è impedito fare sport, figuriamoci farne uno che si pratica per strada» (da Global Mail)
Sì, è un’immagine forte vedere queste ragazze che fanno acrobazie per le strade del Cairo: innanzitutto perché al centro della scena c’è il loro corpo, un corpo per nulla indifeso, anzi capace di essere protagonista della scena e di relazionarsi con grinta elastica di fronte agli ostacoli. In più, il messaggio non è per nulla violento; non si tratta infatti di demolire tutto ciò che impedisce il cammino, ma fare di ogni blocco uno slancio creativo.
Oltre il muro, non muro contro muro
In molti casi la tentazione di certi movimenti femministi è quello di rispondere con aggressione alle aggressioni, indossando una maschera che sfigura la parte davvero più forte della donna: la malleabilità, una disposizione vigorosa al cambiamento, una propensione alla crescita attraverso trasformazioni coraggiose.
L’esempio di queste intraprendenti ragazze egiziane è un grande monito di civiltà per il loro paese, che ha urgente bisogno di mettere al centro del dibattito politico la dignità e il rispetto per le donne. Ampliando l’orizzonte, può essere anche un invito di condotta per tutte noi: la logica dello scontro è sterile, il muro contro muro finisce in un sacco di macerie; proviamo ad allenarci a guardare ogni ostacolo con l’occhio dell’acrobata che ne fa un’avventura positiva.
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