Sì all’accoglienza, no alla criminalizzazione ma l’Italia non deve essere lasciata sola e i migranti non vanno né sfruttati né sradicati dalle loro terre a tutti i costiLa posizione dei vescovi nel suo insieme è quella dell’accoglienza e della non criminalizzazione nei confronti dei migranti. Da tempo la Chiesa in ossequio al magistero e soprattutto al Vangelo non si è sottratta dal dovere morale di accogliere quanti vengono soccorsi in mare. Una posizione affatto ideologica, ma concretamente ispirata dalle parole di Gesù, senza per questo non tenere conto delle necessità delle moderne società e le difficoltà degli stati. Ma prima ancora della distanza sulle decisioni politiche del nuovo governo giallo-verde, la distanza è sulle parole, e quindi il modo di pensare il tema. Non sono numeri, sono persone, che fuggono non solo dalla guerra e dalle persecuzioni, ma dalla fame e dalla miseria.
Il Cardinal Bassetti, presidente della CEI già lo scorso 2 giugno, in una intervista esclusiva al Quotidiano Nazionale spiegava: «Non si può pensare di risolvere i flussi migratori riducendoli ad una mera questione di polizia o addirittura di spesa pubblica. C’è molto di più. C’è in gioco, prima di tutto, la salvaguardia della dignità umana che è sempre incalpestabile e inalienabile. E poi c’è la grande questione dell’integrazione nelle società odierne, che sono inevitabilmente multietniche. Due grandi sfide da cogliere come delle opportunità e anche come termometro della nostra fede. La cultura dell’incontro, espressa magistralmente dal capitolo 25 del Vangelo di Matteo, non può essere confusa, in alcun modo, con la ‘cultura della paura’ o, peggio, con i preoccupanti rigurgiti della xenofobia»
Posizione ribadita collegialmente dalla Conferenza episcopale italiana poco più di un mese dopo a commento della foto, iconica, di Josefa.
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«Gli occhi sbarrati e lo sguardo vitreo di chi si vede sottratto in extremis all’abisso che ha inghiottito altre vite umane sono solo l’ultima immagine di una tragedia alla quale non ci è dato di assuefarci». Inizia così la nota della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana pubblicata ieri, giovedì19 luglio, dopo l’ennesima tragedia in mare. Il riferimento è al volto di Josefa una donna camerunense rimasta per due giorni in acqua dopo il naufragio del barcone su cui viaggiava. «Ci sentiamo responsabili di questo esercito di poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture» continua la nota. «È la storia sofferta di uomini e donne e bambini che – mentre impedisce di chiudere frontiere e alzare barriere – ci chiede di osare la solidarietà, la giustizia e la pace».
La Cei che non intende volgere lo sguardo altrove: «Come Pastori della Chiesa non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato. Rispetto a quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto».
Ma ribadisce la volontà di prestare voce a chi non ne ha: «Animati dal Vangelo di Gesù Cristo continuiamo a prestare la nostra voce a chi ne è privo. Camminiamo con le nostre comunità cristiane, coinvolgendoci in un’accoglienza diffusa e capace di autentica fraternità. Guardiamo con gratitudine a quanti – accanto e insieme a noi – con la loro disponibilità sono segno di compassione, lungimiranza e coraggio, costruttori di una cultura inclusiva, capace di proteggere, promuovere e integrare» (Famiglia Cristiana, 20 luglio).
Dello stesso avviso il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente nazionale della Caritas italiana, che invita a scegliere come bussola le parole del Papa. E circa i migranti, aggiunge: «Non accoglierli, chiudendo loro soprattutto il cuore, significa non riconoscere Dio presente in loro, e perciò rifiutarLo. Mi chiedo, rifiutare Dio non è un atto di ateismo? Dobbiamo dunque sporcarci le mani e non trincerarci dietro un silenzio talvolta complice» (Famiglia Cristiana, 25 luglio).
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Più cauti, ma non per questo ostili all’accoglienza monsignor Luigi Negri, vescovo emerito di Ferrara e monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia San Remo
«L’integrazione – dice Monsignor Negri – deve essere ragionevole e non si possono aprire le porte come fosse una festa, senza mettere in evidenza i costi economici umani e culturali dell’ immigrazione, perché questo significa fare del qualunquismo ideologico». Monsignor Negri sgombra il campo dagli equivoci e conclude senza mezzi termini: «Sono cattolico e pertanto sono per l’accoglienza delle diversità, ma essa non può essere senza misure perché altrimenti porta allo schiacciamento e all’eliminazione della nostra società. Non è così che l’ Europa cristiana nei secoli ha integrato i fattori di novità che hanno poi contribuito a fare la sua ricchezza» (Secolo d’Italia, 8 gennaio).
Così monsignor Suetta:
«Se da una parte possiamo concordare che oggi non vi sia una vera e propria guerra tra le religioni, dobbiamo però riconoscere che è in atto una “guerra” contro le religioni, ogni religione, e contro il riferimento a Dio nella vita dell’uomo. Spesso, giunti in Europa, i migranti sentono anche il peso e la fatica di una visione di vita e di uno stile non appartenenti alla loro storia e identità, siano essi cristiani, islamici o di altra fede religiosa. Come Vescovo, sento forte la responsabilità di custodire il gregge che mi è stato affidato e di custodire la continuità dell’opera della Chiesa nel nostro problematico contesto sociale, presidio e baluardo di autentica promozione umana. Personalmente, sono convinto che il futuro dell’Europa non possa e non debba rischiare verso una sostituzione etnica, involontaria o meno che sia» (Lettera pubblica).
Anche monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi, ci tiene a far delle precisazioni sulla questione e bisogna ribadire che questo è un problema globale di cui non può occuparsi l’Italia da sola, e che non bisogna dimenticare che bisogna tutelare anche il diritto delle persone a non dover abbandonare la propria casa
«I migranti non sono numeri, ma persone e in quanto tali vanno soccorse, accolte e coloro che fuggono da guerre e violenze aiutati a integrarsi nel nuovo contesto culturale di accoglienza. Il fenomeno delle migrazioni, tuttavia, come ha ricordato anche il Papa, richiede l’attenzione “di tutta la comunità internazionale” in quanto “supera le possibilità e i mezzi di molti Stati”. Pertanto, come ha chiosato il cardinale Segretario di Stato a margine del colloquio Santa Sede-Messico sulla migrazione internazionale: “L’importante è che ci sia una risposta comune a questo problema, che l’Italia non sia lasciata sola ad affrontare il problema dell’immigrazione”. È necessario, inoltre, guardare il problema anche dall’ottica dei diritti delle persone a non emigrare. Ogni persona, in altre parole, ha il diritto primario di rimanere nel proprio paese in condizione di sicurezza e dignità. È, quindi, compito della comunità internazionale collaborare al progresso e favorire la pace in tutti i paesi. Molti vescovi africani, nei cui paesi non ci sono condizioni di vita di povertà estrema o guerra, denunciano un impoverimento della società a causa della partenza indiscriminata di persone» (Vatican Insider, 25 giugno).