A San Francisco un esperimento di grande interesse sulle nuove potenzialità delle AIPresso l’IBM Watson Center, situato nel quartiere SoMa (o South Market) nel cuore di San Francisco, in California, si è svolta il 18 giugno scorso una sfida uomo versus macchina senza precedenti nella storia dell’intelligenza artificiale (abbreviata IA o anche AI, dall’inglese Artificial Intelligence).
Davanti ad un pubblico costituito da circa una cinquantina di giornalisti e anche un accademico, il professor Chris Reed, dell’Università di Dundee, in Scozia, si sono affrontati due campioni o specialisti di dibattiti dal vivo da un lato e il sistema di intelligenza artificiale IBM Project Debater dall’altro.
La gara era composta da due dibattiti. Entrambe le parti coinvolte in ogni manche avevano quattro minuti per sviluppare la propria tesi, altri quattro per confutare gli argomenti dell’avversario e infine due per una sintesi finale.
Nel primo dibattito il sistema di IA si è confrontato con il campione israeliano di dibattito del 2016, Noa Ovadia, sul tema “Dovremmo sovvenzionare l’esplorazione dello spazio”. Nella seconda ed ultima manche Project Debater ha discusso il tema “Dovremmo aumentare l’uso della telemedicina” con un altro esperto israeliano, Dan Zafrir.
Da un sondaggio condotto tra il pubblico alla conclusione dei dibattiti è emerso che la prima manche è stata vinta di stretta misura dalla controparte umana, mentre il sistema di IA si è aggiudicato il secondo dibattito. Secondo gli spettatori, Project Debater era più bravo rispetto ai suoi opponenti umani per quanto riguarda la ricchezza dell’informazione fornita, ma meno bravo nel presentare le sue tesi.
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I precedenti
Non è la prima volta che il colosso IBM è stato protagonista di questo tipo di gara macchina contro uomo. Nel 1989 il computer Deep Thought dell’IBM sconfisse lo scacchista britannico David Levy, diventando in questo modo il primo calcolatore a giocare a livello di un Gran Maestro umano. Sempre nel 1989, il motore scacchistico dell’IBM cercò anche di sconfiggere l’allora campione del mondo Garri Kasparov, ma perse 2 a 0.
Ci riuscirà invece nel febbraio del 1996 il successore di Deep Thought, chiamato Deep Blue, che batte Kasparov nella prima partita di un torneo a sei incontri. Anche se il campione del mondo in carica vince comunque il torneo 4 a 2, la diga si è rotta. L’anno successivo, dopo un “pesante” aggiornamento, Deep Blue batte infatti – non senza polemiche – il campione russo 3.5 a 2.5.
A caccia di nuove sfide, IBM fa giocare il sistema di intelligenza artificiale Watson (il nome è quello del primo presidente dell’azienda, Thomas J. Watson) a Jeopardy!, il più famoso quiz della televisione americana. Il supercalcolatore riesce a battere nel febbraio del 2011 i campioni di sempre del gioco, Ken Jennings e Brad Rutter.
Project Debater
Nello stesso anno, Noam Slonim, scienziato presso il più grande centro di ricerca IBM al di fuori degli USA, quello di Haifa, in Israele, propone Debater, un progetto “scientificamente interessante e stimolante”, con “un valore commerciale”, “qualcosa di grande, qualcosa che cambia le cose”.
Mentre Watson è un supercalcolatore capace di rispondere a domande poste in un linguaggio naturale, l’idea di Slonim invece è di sviluppare un sistema di IA in grado di sostenere veri e propri dibattiti, anche su temi complessi.
Il progetto parte nel 2012 a Haifa sotto la guida di Ranit Aharonov. A differenza di Deep Blue o Watson, “il nostro obiettivo non è sviluppare un altro sistema che sia migliore rispetto agli umani nel fare qualcosa”, spiega la Aharonov. Lo scopo di IBM è infatti creare un software capace di confrontarsi “con un essere umano abbastanza competente, ma non necessariamente un campione del mondo”, aggiunge a sua volta il direttore di ricerca dell’azienda, Arvind Krishna.
Per essere convincente, un software come quello del Project Debater deve essere ben informato sui vari temi che dovrà affrontare. Per raggiungere questo obiettivo, l’équipe della Aharonov ha caricato sul cervellone miliardi di dati prelevati da 300 milioni di articoli di giornale, riviste ecc.
Un giudizio
Il dibattito organizzato a giugno “è l’inizio di qualcosa che possiamo esplorare per molti, molti anni”, ha dichiarato l’ideatore del Project Debater, Noam Slonim. Infatti, la prestazione del sistema di IA è stata definita dal professor Chris Reed, che faceva parte del pubblico, “davvero impressionante”.
Secondo il docente di Informatica dell’Università di Dundee, anche se siamo solo ai primi esordi del percorso di comprensione dell’intelligenza artificiale, il computer di IBM ha saputo produrre “un discorso di quattro minuti, al volo, su un argomento selezionato a casaccio da un elenco di 40, su cui non era stato preparato a discutere”.
Ma come oratore, deve imparare ancora molto. “Il sistema ha solo nozioni molto rudimentali di struttura argomentativa e molto spesso devia dal tema principale”, osserva Reed. “Non presta attenzione al suo pubblico, né al suo avversario, e non ha modo di adattare il suo linguaggio o di sfruttare le centinaia di argute tecniche retoriche che aiutano a conquistare il pubblico.”
Supporto al processo decisionale umano
Per Reed, il vero valore della tecnologia non si vedrà nelle sale di dibattito, ma in applicazioni o situazioni in cui i sistemi di intelligenza artificiale possano offrire un contributo al processo decisionale umano o alla discussione, ad esempio nelle sale operative delle forze di polizia o nelle aule scolastiche.
Gli stessi sviluppatori del progetto vedono il loro sistema di intelligenza artificiale, le cui future tecnologie verranno commercializzate in IBM Cloud, come un supporto al processo decisionale umano.
Secondo il direttore di ricerca di IBM, Arvind Krishna, organizzazioni di ogni genere potrebbero infatti trarre valore da un software in grado di sintetizzare informazioni e riassumere i pro e i contro di un problema, così spiega Harry McCracken sul sito Fastcompany.com. Anzi, potrebbe persino servire da antidoto alla diffusione di informazioni errate o fuorvianti online.
Alcuni timori
Ma l’intelligenza artificiale fa anche paura. Ad avvertire dei rischi legati all’IA è stato nell’aprile scorso il cofondatore di Google, Sergey Brin. Nella lettera annuale agli azionisti dell’azienda-ombrello Alphabet, Brin scrive che la rivoluzione nel campo dell’IA e altri sviluppi tecnologici hanno portato “nuovi problemi e (nuove) responsabilità”.
Vengono sollevate in tutto il mondo delle questioni “molto legittime e pertinenti sulle implicazioni e impatti di questi progressi”, ha scritto Brin, che si dichiara comunque “ottimista” riguardo al potenziale per indirizzare la tecnologia sui più grandi problemi del mondo. “Siamo su una via che dobbiamo percorrere con profonda responsabilità, attenzione e umiltà”.
Anche il noto astrofisico, cosmologo, e matematico britannico Stephen Hawking, scomparso il 14 marzo scorso, aveva messo in guardia per i rischi legati all’IA, che ha infatti il potenziale per essere “la cosa migliore o peggiore” che possa accadere all’umanità. Anzi, così ha dichiarato nell’autunno 2016 in occasione dell’apertura del Leverhulme Centre for the Future of Intelligence (LCFI) a Cambridge, è “cruciale per il futuro della nostra civilizzazione e la nostra specie”.
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Quo vadis homo?
In un articolo dedicato al Project Debater, pubblicato il 15 luglio scorso su Avvenire, il cibernetico e scrittore italiano Giuseppe O. Longo richiama alla mente il concetto di “vergogna prometeica” formulato dal filosofo tedesco Günther Anders (pseudonimo di Günther Stern) nel libro Die Antiquiertheit des Menschen (“L’uomo è antiquato”), cioè quel “senso di avvilimento e sconforto che l’uomo avverte nei confronti dei dispositivi da lui stesso progettati e costruiti che lo superano su tutti i fronti”.
“Spinti da questo divario sempre più ampio, tentiamo di gareggiare con le macchine, e ne usciamo sconfitti e umiliati: chi avrà più il coraggio, o la voglia, di giocare a scacchi contro un programma come Deep Blue?”, chiede Longo. L’informatico e docente presso l’Università di Trieste ricorda anche il monito lanciato da Norbert Wiener — il “padre” della cibernetica — sul “carattere irreversibile” di certe innovazioni.
Per Longo, si tratta di una scelta antropologica. Occorre infatti decidere “se vogliamo costruire macchine che pensano (al posto nostro) oppure macchine che ci aiutino a pensare”, così scrive l’autore, riferendosi al pensiero di Francesco Varanini.