In “Salvare l’omelia” di Adriano Zanacchi si spiegano i segreti di un bravo predicatore. E gli errori da evitarePochi fronzoli, assenza di suggestioni e tanta concretezza per entrare realmente nel cuore dei fedeli. Le regole – qui sintetizzate in 10 punti – per una buona predicazione del sacerdote le racconta il professore Adriano Zanacchi in“Salvare l’omelia” (edizioni Dehoniane).
1) Predicare con gioia
La predicazione deve essere gioiosa e portare a superare un passato prevalentemente, se non esclusivamente, condito di penose rinunce penitenziali e di terribili, e paralizzanti, minacce infernali: «La predicazione sacerdotale dev’essere realizzata, come quella di Cristo, in modo positivo e stimolante, che trascini gli uomini verso la Bontà, la Bellezza e la verità di Dio. i cristiani devono far risplendere la conoscenza della Gloria divina che rifulge sul volto di Cristo».
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2) Un solo tema principale
I contenuti dell’omelia devono sempre avere come riferimento i testi (la Bibbia, il Lezionario, il Messale), un sottile lavoro esegetico, dalla scelta tematica e dalla collocazione della specifica omelia nel calendario liturgico alla considerazione di documenti, non solo ecclesiali, utili per l’attualizzazione del messaggio.
È quasi unanime il suggerimento di concentrare l’omelia su un solo tema principale, possibilmente riassumendolo in una frase (qualcuno suggerisce: come il titolo di un articolo di giornale), da ripetere o da richiamare in sede conclusiva. Nella scelta si deve tener conto del livello di comprensione dei fedeli presenti, delle esigenze pastorali più vive nella comunità, della possibilità di comporre, nel tempo, un preciso itinerario di fede.
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3) Incipit accattivante
L’introduzione vuol dire, anzitutto, conquistare l’attenzione dei fedeli ed esporre, in modo breve e accattivante. È molto importante che l’incipit introduca il tema centrale prescelto, con parole capaci di coinvolgere, facendo leva non solamente sulla funzione referenziale o informativa, ma anche su quella emotiva (un fatto, un racconto) e, magari, su quella poetica (un verso, persino il titolo di una canzone). Certamente discutibile, se non errato, si può considerare l’esordio con «Sia lodato Gesù Cristo» o con «Buona domenica», che contraddice radicalmente la natura dell’omelia come parte della celebrazione liturgica.
4) Capire e ricordare
Nel corpo centrale dell’omelia confluisce il vero discorso, da svolgere ricordando tre regole essenziali: far capire, far ricordare, mantenere sempre viva l’attenzione. Ed è soprattutto in questa parte che risaltano le fonti fondamentali dell’omelia – la sacra Scrittura e i testi liturgici della messa – e la capacità di fare scaturire dai misteri della fede le norme della vita cristiana.
5) Finale ad effetto
Tocca alle conclusioni recuperare i punti essenziali che sono stati sviluppati e, se possibile, tradurli in una brevissima sintesi: proponendo una sorta di slogan che, anziché «grido di guerra» come dice l’etimologia del termine, dev’essere un invito (gioioso, se possibile) a vivere in sintonia con l’insegnamento di Cristo.
Una buona conclusione dovrebbe incidere sulla memoria, indurre alla riflessione ulteriore, impegnare all’azione. Specialmente se si sceglie di chiudere con una frase a effetto è importante scriverla integralmente anche se ci si serve di una scaletta minimalista e anche se la si è imparata a memoria.
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6) Il look del sacerdote
L’efficacia dell’omelia, come di qualsiasi discorso pubblico, dipende quindi da ciò che viene detto, ma anche dalla figura dell’oratore. Non solo da come egli «appare», ma anche da come egli dà, complessivamente, un’immagine di sé, dalla capacità di entrare in sintonia con chi ascolta, di risultare credibile.
Oggi parlare di immagine è di moda. Riferito a una persona, questo termine implica almeno tre aspetti: oltre al ruolo e ai comportamenti, anche l’identità fisica, che non fa riferimento solamente al corpo dell’oratore, che è quello che è, ma al suo modo complessivo di apparire. Al suo abbigliamento, a tutto ciò che è apparenza, compresi gli occhiali e la pettinatura.
7) Voce e gesti
Di grande importanza sono anche altri fattori espressivi e predisponenti come la gestualità, il tono della voce e la dizione, la mimica, lo sguardo.
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8) Rispettare la grammatica
Chi parla deve farlo anzitutto secondo le regole grammaticali. Quando si prepara, deve quindi tenere sempre a portata di mano un vocabolario della lingua italiana. Se non altro per rinfrescarsi la memoria sui termini tecnici dei quali si è magari dimenticato il significato e che si ritrovano nei testi da consultare (mistagogia, parenesi). Ma poi deve mettere mano alla penna o alla tastiera del computer. Guai, poi, agli errori di espressione.
Distraggono, anzitutto, e poi incidono negativamente sui contenuti del discorso: lo rendono meno attendibile. Alla chiarezza dei contenuti deve quindi corrispondere la correttezza espressiva.
9) Feeling con la platea
E’ fondamentale la sintonia con i destinatari, la sensibilità nel far leva sui loro sentimenti, attese, emozioni, nel toccare il loro cuore. Riguarda le modalità di elaborazione del discorso sotto il profilo emozionale ed è un fattore del quale si tende spesso ad abusare.
10) La durata
L’omelia dovrebbe durare circa dieci minuti, possibilmente un pò meno, avvicinandosi alla durata di otto minuti che molti indicano forse con troppa disinvoltura o sicurezza come lo standard ideale. Ma che può durare anche un po’ di più se il tema lo richiede e la platea segue con attenzione il sacerdote.
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