Pianista, compositore, scrittore, direttore d’orchestra. Una voce inquieta che vibra e offre le note ai gemiti del mondo. Un’ansia impossibile da spegnere che però appicca fuochi di musica, bellezza, amoreGiovanni ha riccioli neri che coprono spesso gli occhi, occhiali importanti ad aiutare una vista severamente compromessa; il campo visivo è ridotto ma si inoltra per distese di pensiero febbrile, sempre in ricerca, sempre incline alla sofferenza, anche un poco ripiegata su di sé. Una fame di senso spinta da un impeto profondo, che non si può, ma nemmeno si vuole spegnere.
Questo giovane artista amatissimo, seguitissimo e anche ferocemente, spesso ingiustamente criticato, tradisce con la sua voce a tratti morbida e a tratti graffiata da picchi acuti, come di uno in perenne convalescenza dopo una faringite acuta, lo stato d’animo di una generazione: incerta, poco capita, offesa, privata di appoggi e di ideali. Incompresa e condannata ad un vuoto narcisismo al quale lui – e con lui tanti- si oppone con una forza eroica. Fragile per nascita, titanico per vocazione. Un uomo che cerca Dio in Kant, nei filosofi, nella ricerca tra i pensieri, nella composizione musicale e che dialoga timidamente con un Dio che resta ignoto, non solo misterioso. Immemore, forse ignaro di un autentico annuncio cristiano. Un’anima che ha bisogno del sole potente di Cristo, della Notizia vera. Un’anima leopardiana e profetica allo stesso modo del recanatese, sebbene decisamente meno cruda nel cogliere la viltà dell’essere umano, la possibilità di male che cova nell’uomo; perché pare buono, tremante e buono. Giovanni Allevi mette a servizio dell’altro tutto, compresa la sua soverchiante ansia.
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Non ha ancora avuto, forse, un corpo a corpo con il mistero del peccato. Chiama tutto ansia, incertezza, disequilibrio, come fosse tutta colpa sua. Ma pare non conoscere ancora la pace che dà lo scoprirsi peccatori e, mentre ancora lo siamo, amati al punto che quel Dio che lui cerca ovunque ci ha ritenuti degni della Sua morte e pronti a seguirlo nella Sua resurrezione.
Pieno di talento musicale, laureato in filosofia ma scoraggiato sistematicamente dalla famiglia che lo avrebbe preferito cameriere, trova in effetti il suo primo lavoro proprio come cameriere, a Milano. Quando inizierà a lavorare con la propria musica lo farà invece con un talento di tutt’altro genere, per lui un amico: Lorenzo Cherubini, in arte, a volte, Jovanotti.
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Giovanni si trova, lo dice proprio lui, nell’ombelico di un mondo giovanile al quale non ricordava nemmeno più di appartenere. La sua storia è articolata, accidentata e piena di successi. Le critiche più caustiche che lo hanno investito dice che gli hanno inferto una ferita non sanabile eppure non ha rancore, non recrimina: soffre e se ne fa quasi una colpa. Un animo sensibilissimo, sollecitato da tutto e da tutti, pronto a riconoscere stille di innocenza e bellezza nei bambini e in quelli che hanno sofferto e sono diventati più forti. Ma ancora non la vede su di sè. Malintende l’umiltà e non vuole riconoscere al proprio talento lo statuto di dono di Dio. E’ così ne sono sicura: gli manca l’incontro personale con il Signore che ama lui, proprio lui. Legge amore e armonia ovunque tranne che nella sua travagliata, tremante vita di successo.
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