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“E se fossi malato?” “Ti sposo comunque, perché Dio ha un progetto grande per noi”

MATRIMONIO, SPOSI, CORSA
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Fraternità San Carlo Borromeo - pubblicato il 16/05/18
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La bellezza di due persone chiamate insieme a costruire il Suo Regno inizia lì dove un cuore si abbandona a Luidi Francesco Ferrari

Ricordo chiaramente il giorno in cui, seduti in un bar piuttosto squallido di Milano, mi dicono che vogliono sposarsi e mi chiedono di celebrare il loro matrimonio. Lui lo conosco da diversi anni, lei da poche settimane. Ha inizio quel giorno un lungo cammino, di cui difficilmente avrei potuto prevedere la profondità.
Mi spiegano, infatti, che c’è la possibilità, per lui, di essere affetto da una malattia ereditaria molto grave, che può portare anche alla morte. Lei ne è cosciente e non pensa sia un’obiezione al matrimonio.

All’inizio, di entrambi mi colpisce l’incoscienza ma anche la disponibilità, bellissima. Nasceva dall’intuizione che ciò che era accaduto tra loro, dentro l’evento dell’innamorarsi, avrebbe potuto abbracciare la loro vita, ed era in fondo più grande.


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Iniziamo a incontrarci, anche se la logistica non permette una frequentazione assidua. Loro vivono a Milano, io a Roma. Anche per questo, forse, gli incontri tra noi sono sempre molto essenziali e veri. Insieme parliamo della bellezza del matrimonio e del compito che svolge nel mondo: essere un pezzo di Regno di Dio, un pezzo di realtà trasfigurato dalla Sua presenza che si fa evidente nell’amore degli sposi.
A un certo punto affrontiamo anche il tema della malattia. Non è semplice perché richiede decisioni importanti. Innanzitutto, se è il caso o meno di sapere. È possibile infatti fare un esame che riveli con certezza la presenza o l’assenza della malattia. Quante domande nascono davanti ad una situazione simile! È meglio vivere nel dubbio o è meglio sapere e portare poi l’eventuale peso della consapevolezza? È possibile vivere senza pensarci?
Una cosa è chiara fin da subito: non si può affrontare questa prova se non dentro il cammino di fede che si vive.



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Allora le domande piano piano si trasformano, pur rimanendo molto drammatiche: che cosa c’entra tutto questo con la vocazione al matrimonio? E che ruolo gioca la malattia, se Dio ci ha chiamati insieme a un compito?
Mi impressiona vedere la serietà con cui, pur nella fatica, si pongono queste domande. Mi affascina vedere la forza della comunione. Sapere che sono insieme, legati da Dio per sempre, permette loro di guardare cose che, da soli, sarebbe insopportabile vedere. Quello che accade a lui riguarda entrambi, perché la loro vita, nel matrimonio, è segnata dal compito comune che hanno ricevuto. Mi incanta vedere la forza della preghiera, mentre cresce la certezza che abbandonarsi a Dio, dentro le circostanze misteriose che viviamo, è la strada per compiere la nostra vocazione.
Abbandonarsi a Dio con fiducia è vertiginoso, drammatico, bellissimo. Lo vedo con i miei occhi quando mi dicono con tremore: “Abbiamo deciso, facciamo l’esame”. È la vertigine della fede, per cui appoggi la tua vita, con ragionevolezza, su Qualcuno che è oltre la tua portata.

I mesi seguenti sono segnati dal ritorno continuo a questa posizione di abbandono. La preghiera, la confessione, la fedeltà degli amici più stretti sono le vie per rimettersi davanti a Dio, che chiama e chiede la nostra vita per farne qualcosa di grande. Io seguo il loro cammino sentendomi parte di esso, e riscopro intanto uno degli aspetti più belli della vocazione sacerdotale: condividere il destino di chi Dio ci affida. Questo è infatti il contenuto della mia preghiera, in quei mesi così “sospesi”: “Signore, che la malattia non ci sia, perché risplenda la tua gloria. E se la tua gloria deve passare attraverso la malattia, dona a loro e a me la fede per portare ciò che Tu chiedi”.


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Arriva il giorno in cui devono ritirare l’esito dell’esame. In loro c’è paura e ansia ma prevale la pace dell’abbandono. Io li accompagno da lontano, seduto sul treno. Sto tornando a Roma e recito il rosario.
Poi la chiamata e la notizia, semplice: la malattia non c’è. Lui non dice molto altro, la gratitudine riempie di silenzio. Poi, lentamente, emerge il frutto più bello del cammino fatto nei mesi precedenti: il desiderio di continuare ad abbandonarsi, disponibili a ciò che Dio chiederà, il desiderio di continuare ad appoggiare il matrimonio sulla fedeltà di Dio, che compie ciò che inizia, secondo strade misteriose.
Io sono grato per la possibilità di servire la vocazione matrimoniale, perché risplenda nel mondo la sua bellezza. La bellezza di due persone chiamate insieme a costruire il Suo Regno, che inizia lì dove un cuore si abbandona a Lui.

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