Si è svolta ieri la sfilata inaugurale per la mostra che aprirà i battenti domani al Metropolitan Musem of Art di New York dal titolo “Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination”Il Met Gala è l’evento che inaugura
la mostra di moda più importante dell’anno: quella del Costume Institute al Metropolitan Museum di New York. Quest’anno la mostra è dedicata all’abbigliamento del Vaticano e della Chiesa, e alle influenze reciproche con la moda secolare, dal titolo Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination, ovvero Corpi divini: moda e immaginario cattolico
così su Il Post . Sulle star e sul pubblico ottiene, pare, lo stesso effetto di attesa e fibrillazione della notte degli Oscar e lo stesso corredo di spasmodica ricerca di scatti in qualche modo riusciti: hot, eleganti, trash, deludenti, sorprendenti, scandalosi. Rihanna ha di sicuro fatto strike: avrà colpito la curiosità di tanti, esclusi naturalmente quelli che si aspettavano eleganza. Non si può evitare di essere colpiti, ma come lo saremmo da uno schiaffo, dalle forme imposte al nostro sguardo dalla compressione del corpetto, dalla brevità della gonna, dalla luce urlata emessa dalle pietre applicate sull’abito, la mitra, lo strascico. Eppure lei, come gli altri ospiti, ha diligentemente rispettato il dress code: vestirsi ispirandosi al tema della mostra, o meglio a quello che del tema avessero compreso. (Poco, pochissimo, nulla?)
Ali piumate, cuori trafitti di spade, crocifissi stampati o indossati. Natività incastonate su copricapi che definire kitch suona benevolo (che sia un’inconsapevole nemesi per la Parker di Sex and the City?). Di divino non si vede nulla, di corporeo, no meglio di carnale, troppo. E’ impossibile non provare una sofferenza per la resa così grottesca e irrispettosa di ciò che la liturgia, anche negli abiti ecclesiali per le celebrazioni, davvero rende presente.
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Non è imbellettando la corporeità così com’è, facendola brillare di una luce che ancora non le spetta, che il corpo si divinizza. Perché è compresa anche questa, di promessa, nel piano della Redenzione: quella di una carne guarita, risorta, gloriosa. Di un corpo bello, giovane, incorruttibile. Di una bellezza per noi misteriosa che attrae senza sedurre, che appaga senza turbare. Sembra allora una goffa ma non innocua rapina quella che le “star” hanno compiuto dal tesoro inestimabile che loro stessi forse vivono come “immaginario cattolico”. Per questo provo sia dolore e indignazione per lo sfregio compiuto, sia pena per chi forse ancora non ha avuto modo di intuire a cosa possiamo avere accesso già qui, ora, se veniamo innestati nel Corpo di Cristo che è la Chiesa. Altro che tessuti preziosi e broccati, altro che colori sgargianti e forme da ripetere e profanare. Altro che angioloni sgraziati (in senso letterale) ma sexy; altro che sguardi rapaci come l’ego di chi li sfoggia.
Certo, la sfilata esterna non è la mostra stessa che ha dimensioni e numeri importanti e che nasce da un lungo lavoro promosso dal curatore, Andrew Bolton. Rimarrà aperta fino ad ottobre e avremo modo di approfondire entrando nel vero merito. Comprendiamo e apprezziamo lo stupore che Bolton manifesta di fronte alla ricchezza degli abiti ecclesiastici, alla purezza di quelli claustrali, a ciò che da sempre lo attrae degli “ambienti cattolici”. E non è da trascurare la considerazione che consegna al pubblico quando dice di essere convinto
che l’80 per cento della moda occidentale sia in qualche modo ispirata al gusto cattolico, così come la maggior parte dei grandi stilisti italiani e francesi, e britannici sono cattolici e cresciuti come tali, cosa che si riflette nelle loro creazioni: Gianni e Donatella Versace (sponsor dell’evento), Dolce & Gabbana, Cristóbal Balenciaga, Coco Chanel, Valentino, John Galliano. Bolton ha spiegato che «moda e religione sono intrecciate da tempo, si influenzano e modellano a vicenda. Questa relazione è stata spesso complicata e a volte contestata, ma ha permesso alcune delle creazioni più innovative e originali della storia della moda» (Il post)
Ma perché continui ad esserci una contaminazione positiva tra “gli ambienti cattolici” e la moda occorre che tali ambienti restino tali e che non si curino affatto di interpretare o favorire tale influenza.
La dinamica della nudità e della vestizione, della spoliazione e dell’essere rivestiti è senza dubbio uno dei principi più attivi nella storia dell’uomo, dal peccato in poi. Ma in Cristo abbiamo finalmente visto e toccato l’abito definitivo: azzardo un’ipotesi. Temo che, a volte, in ambito cattolico, per un esercizio di frettolosa benevolenza, ci si butti troppo a capofitto a leggere con occhi entusiasti realtà mondane, che irridono spesso la Chiesa e i suoi fedeli, attribuendo alla loro bellezza una maiuscola abusiva.
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L’incarnazione significa senza dubbio una nobilitazione senza paragoni della nostra corporeità ma per guarirla; per renderla come ancora non è attraverso l’irrompere del divino nella nostra vita, proprio attraverso la liturgia e i sacramenti. Scimmiottare come in un triste carnevale ciò che si è intravisto in processioni, celebrazioni, devozioni è tutt’altra cosa.
Anche Rihanna e colleghe hanno bisogno di sapere che in Cristo possiamo davvero rivestirci di Lui, che è Dio.
Dovremmo, allora, spogliarci davvero (dell’uomo vecchio) e rivestirci finalmente di un abito che riveli la nostra vera, altissima dignità. Ma senza scorciatoie.