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Perché una mamma che allatta dovrebbe dare fastidio? Eppure accade, a Parma

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Paola Belletti - Aleteia - pubblicato il 02/05/18
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Tutti lodano i benefici dell’attaccamento al seno, ma la vista di una madre che pudicamente nutre il suo neonato procura fastidio in un ateneo pubblicoI fatti sono apparentemente minimi: una giovane mamma, infermiera, va in università, a Parma, per incontrarsi col compagno, medico e padre del bambino di due mesi e mezzo che porta con sè. Il bimbo protesta imperioso la sua fame, incurante di altro che non sia la fonte della sua soddisfazione, e la mamma obbedisce. Si apparta in un cortile interno, sotto i portici del chiostro universitario, zona d’Azeglio, si copre il seno con la sciarpa, lo porge al figlio il quale senza avere dubbi sul da farsi si nutre. Era la necessaria soddisfazione di un bisogno. Una cosa semplice, che succede da sempre. Di lì a poco irrompe in modo piuttosto brusco, riferiscono i protagonisti, una guardia giurata, una donna, che impone loro di allontanarsi. Non era il luogo adatto quello a pratiche come l’allattamento. Dovevano tenere conto che si trovavano in un ateneo e che la sensibilità degli studenti poteva essere turbata. E insiste parlando di gentilezza ma usando modi e toni alquanto sgradevoli fino a che la famiglia non se ne va. Con non poco turbamento, quello sì, oggettivo, del bambino e della mamma interrotti in un gesto di primaria importanza per il benessere di entrambi. Ora abbiamo la scienza a ricordarcelo a suon di benefici garantiti dall’allattamento esclusivo al seno ma basterebbe un esercizio di umanità primaria. Anche il caro vecchio buon senso. Dare il proprio latte al proprio figlio è una cosa molto buona, utile, benefica, (faticosa anche) e gratis.

Posto che può essere che la signora del servizio di sorveglianza sia stata troppo solerte interprete di sensibilità altrui, mi chiedo dove se la siano educata questa sensibilità i nostri giovani. E conviene anche chiedersi perché l’urto della sensibilità altrui è diventato un caposaldo della nuova morale. Un “mi dà fastidio”, controcanto del “mi piace” collettivo, diventa motivo sufficiente perché i garanti dell’ordine intervengano? E l’ordine da ripristinare sarebbe quindi assenza di fastidio?  E perché una mamma che allatta il proprio neonato (non un bambino di quattro anni che corre e schiamazza) dovrebbe dare fastidio? Forse alcuni sono sconvolti dai richiami selvatici e naturali alla vita nei suoi aspetti veramente “bio”?

Il caso è balzato agli onori delle cronache perché i genitori del bimbo non hanno taciuto, il papà, Simon Younes soprattutto. Che si inalbera ancora al pensiero, riferiva il Corriere il 29 aprile. Non hanno incassato e basta. Hanno scritto la loro bella missiva alla Gazzetta di Parma e da qualche giorno se ne sta parlando, sui media nazionali e sui social.


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La risposta dell’Ateneo per quanto premurosa e decisa (o piuttosto preoccupata) mostra lo stesso limite del divieto ad allattare. Dichiara consapevolezza e competenza (l’allattamento fa bene, incide sulla salute più di ogni altro fattore) e cala l’asso del progetto di uno spazio dedicato all’allattamento per studentesse, dipendenti, insegnanti, passanti, tutte. Ma se da un lato sono cose che sembrano pareggiare i conti con l’ingiustizia inflitta a mamma e bambino dall’altra appaiono fuori fuoco. Che bisogno c’è di appellarsi alla quasi divinità de “i diritti umani e sociali”? (che  a forza di nominarli tutti insieme, al plurale, nessuno ha più la ben che minima idea di quali possano essere, questi diritti. E viene il sospetto che sia una classifica sempre aperta, in continuo capriccioso, imponderabile, aggiornamento). Non è (solo) un diritto.

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Altri, sui social, rispondono alla repressione con il pride. Certo, se occorre colpire e scioccare per riportare attenzione sul tema, si può anche comprendere. Ma non convince. Qualcuno ricorda, e a ragione, il via libera di Papa Francesco a sfamare i bimbi in chiesa durante funzioni che si protraggono oltre la loro resistenza.

Invece allattare non è un diritto. E nemmeno un aspetto identitario da impugnare o imporre a colpi di flash mob e rivendicazioni (poveri bimbi, povere mamme. Non è questione di privacy, ma di intimità sì). Non va nemmeno ostentato: la giovane infatti si era seduta e coperta. Né rivendicato o urlato. Non c’è tempo, in effetti, per tutte queste operazioni.



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Quando siamo mamme da poco, quando la simbiosi nascosta esce all’aperto e continua a ripetersi nel rimbalzo di sguardi, carezze e odori tra madre e neonato; quando la fame domina quasi del tutto il vostro piccolo e il seno reclama di essere svuotato, allattare è una cosa urgente. Un obbligo, un dovere. Non se ne può stare tanto a discutere. E’ un gesto importante e normale e va fatto, di corsa e di frequente; va fatto assecondando le richieste del neonato e non quelle di una tabella di marcia stampata da internet; va fatto di notte e pure alla luce del sole perché è femminile e non erotico, sicuramente non pornografico.



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Anzi permettere che la società possa assistere più spesso e senza darci troppo peso a scene del genere, potrebbe contribuire a disintossicare l’immaginario comune contaminato dal porno ad età sempre più precoci. E a ricordarci che non tutto intorno a noi è senza limiti, come i giga in omaggio; che se abbiamo vent’anni non li avremo per sempre; e che non ogni cosa è possibile, basta volerla. A ricordarci che non è vero che non ci sono confini e che siamo uguali e infiniti, non nel senso degli spot che ci perseguitano, almeno. Siano benedetti i confini che si fanno abbracci; gli amplessi che generano figli; i seni che si riempiono di latte alla richiesta del bambino; le bocche innocenti che li succhiano e si ripetono con calma una promessa: sono nato, sono amato, cresco, ci sono.

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