Storia del piano eugenetico varato nel 1948 (e abrogato solo nel 1996): il dramma delle vittime e il paradosso di un paese in grave crisi demografica
«Vogliamo lottare per costruire una società dove anche le persone disabili possano vivere felici» (Reuters), non è una citazione tratta dai libri di storia, ma un grido che compare sui quotidiani mondiali degli ultimi mesi che, con tempi di reazione diversi, hanno informato su una drammatica situazione di cui è protagonista il Giappone: per la prima volta nella storia una donna ha denunciato lo Stato di averla sterilizzata senza chiederle il consenso.
Non si conosce il suo nome, si sa che ha circa sessant’anni e che fu sottoposta all’intervento di chiusura delle tube quando ne aveva 15, per una supposta deficienza mentale.
«Mi fu dato un anestetico e non ricordo altro. Quando mi svegliai ero a letto e vidi un lavandino; volevo bere ma mi dissero che non mi era permesso» racconta la donna al Guardian. Solo molto tempo più tardi scoprì la tragica verità sull’intervento subito: la sterilizzazione fu motivata da un sospetto di ritardo mentale che la famiglia della vittima – peraltro – contesta e attribuisce a un eccesso di uso di anestetico durante un’altra operazione nell’infanzia.
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Un’altra donna è uscita allo scoperto con un simile trauma imparato solo da adulta. Rimane anonima ma urla «mi hanno rubato la vita», perché il suo desiderio di sposarsi non ha potuto realizzarsi; a fronte della sua sterilità, di cui ignorava l’origine violenta, ogni ipotesi di matrimonio è naufragata. Erano gli anni ’70 e «il pensiero comune era di sposarsi per fare figli» (da The Guardian).
Non sono le uniche due, si stima che siano circa 16.000 le donne a cui è toccata la stessa tragica sorte; ma il numero di vittime di tutti i sessi e le età è più vasto: dal 1948 al 1996 sono state sterilizzate circa 25000 persone, i più piccoli avevano appena 9 anni.
Perché queste due date? Partiamo dalla più recente e poi facciamo un po’ di storia per attutire il colpo di una realtà così sconcertante.
Il piano eugenetico giapponese, dal dopoguerra al 1996
Solo nel 1996 il governo giapponese ha definitivamente abolito la legge di protezione eugenetica in vigore dal 1948.
All’indomani del secondo conflitto mondiale ci fu una levata di scudi da parte di certe voci politiche circa l’urgenza di «migliorare la qualità della nazione». Venne varato un decreto il cui esordio recita: «Lo scopo di questa legge è di impedire la nascita di discendenti imperfetti dal punto di vista della protezione eugenetica e allo stesso tempo di proteggere la vita e la salute della madre».
La logica grammaticale della frase fa a pugni con il contenuto umano che racconta; impedire la nascita e proteggere la madre. Procediamo.
Tale direttiva governativa doveva essere applicata, con o senza il consenso degli interessati, su persone mentalmente ritardate o malate, e su chi era portatore di malattie ereditarie.
Nel 1972 si sollevarono molte proteste nei confronti del governo che propose un emendamento alla legge eugenetica per permettere l’aborto dei feti con diagnosi di malattia. Gli avvocati che difendevano i diritti dei disabili chiamarono in causa in quella circostanza il paragone con il piano di sterilizzazione Nazista. E questo servì per infangare agli occhi dell’immagine pubblica il termine «eugenetica». Eppure si calcola che gli aborti forzati siano stati circa 60.000.
Nel 1984 uno scandalo legato alla morte di due pazienti nell’ospedale psichiatrico di Tochigi fece sì che gli occhi delle altre nazioni cominciassero a interrogarsi su certe pratiche di cura dello stato nipponico. È dal penultimo decennio del XX secolo che i casi di sterilizzazione, così come i casi di morte di disabili, cominciano a diminuire.
Nel 1996 la legge sul piano eugenetico fu soppressa e al suo posto ne venne varata una riguardante la salute materna in cui si legge: «Le decisioni in merito alla riproduzione devono essere prese basandosi sulle libere intenzioni di coloro che sono coinvolti». Come dire, si arriva all’ovvio passando da un abisso di disumanità.
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L’intervento dell’ONU e il paradosso attuale
Più volte le Nazioni Unite sono intervenute per chiedere conto al Giappone del progetto eugenetico e per far chiudere un capitolo così buio della storia del paese. Un decreto ufficiale dell’ONU del 2016 raccomanda al governo nipponico di «produrre misure specifiche per provvedere alle cure e all’assistenza legale delle vittime di sterilizzazione forzata e di offrire loro un indennizzo e servizi riabilitativi».
Il governo ha risposto che il piano eugenetico era «un provvedimento legittimo» e che «la compensazione sarebbe difficile».
Dal 2017 ad oggi le voci delle vittime hanno cominciato a farsi sentire in sede legale, prima attraverso le associazioni per la tutela dei diritti e poi in prima persona; arriviamo così al punto da cui siamo partiti: lo scorso gennaio, per la prima volta, una donna sterilizzata a sua insaputa ha fatto causa al governo chiedendo un indennizzo di 11 milione di yen (circa 84 mila euro).
Come fa notare il sito Asianews questo percorso storico si scontra in modo paradossale con l’attuale crisi demografica del Giappone:
«L’invecchiamento della popolazione, insieme al basso tasso di natalità, tra i peggiori al mondo, è al momento il problema più urgente per il Paese, che rischia un collasso del sistema pensionistico e del welfare.
Il governo cerca di correre ai ripari attuando politiche per l’incremento delle nascite ma è difficile prevedere che nel breve termine questi sforzi portino a risultati sostanziali. Si moltiplicano, da parte delle autorità, gli appelli alla procreazione. Il Giappone, un tempo terra di eugenetica, aborti e sterilizzazioni forzate, vede oggi il suo destino legarsi alla tutela e alla promozione della vita».