Eppure tutto quel dolore rappresentato ed evocato era dolce. Dolcissimo seguire interiormente, mentre ci si spostava da una stazione all’altra, i passi di Cristo e immaginarsi di incontrare Quello sguardoA frotte anche noi, quel Venerdì, per le vie del paese, la sera, la cena leggera che lasciava la fame. Gli abiti rimediati, i foulard sui capelli, le scarpe sportive nascoste sotto lunghe vesti. E gli ulivi, già alleggeriti dalla potatura per la domenica delle Palme, nei giardini dei condomini che fremevano al vento tiepido, in caso quell’anno la Pasqua fosse capitata “alta”.
I gruppetti di ragazzini che sfuggivano correndo da una stazione all’altra. Il rumore gracchiante del megafono che rimandava intorno, ridotti a suoni sgraziati, canti e letture. I ricordi che ho del triduo pasquale, del Cristo sofferente e crocefisso e in particolare della Via Crucis sono più belli e dolci di quelli del Natale. Da piccola mi pareva strano, mi sembrava ingiusto. Mi sarei aspettata da me stessa, come bambina, di preferire la gioia cristallina e trepida del Natale. Invece no.
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I bambini lo sanno di non essere puri e innocenti come quell’Uomo. Non appena si inizia a ragionare, e si comincia presto, quando però il torrente delle cose dello spirito scorre ancora veloce dal cuore alla mente fino alle mani, quando la memoria sa che non si inganna e più facilmente riconosce Dio nelle cose, l’attrazione per Cristo, proprio quando soffre, si fa perentoria.
Erano goffe rappresentazioni, quelle della Via Crucis fatta tra la chiesa, la scuola materna, la piazzetta del mercato. Il Cristo lo faceva sempre Vittorio, il figlio del geometra. Anche con la croce sulla spalla, la corona di spine e la tunica bianca (era troppo bianca!), non sembrava Cristo. Pure se si era lasciato crescere barba e capelli e faceva la faccia mesta e camminava piano ostentando fatica e patimenti, no, non sembrava mai Gesù. Lo ricordava pochissimo eppure era tanto bello e dolce lasciarsi trascinare da quelle scene indietro nella storia. Avvicinarsi senza paura al fuoco di quel mistero, compiuto ma presente. Non ero la sola; non eravamo solo l’amica del cuore ed io a sentirci attirate. Non era questione di dover sembrare pie e contrite come le Pie Donne (ci toccava sempre quello in sorte. Mai una Veronica, mai una Madonna Addolorata o una Maddalena. Sempre le altre donne); anche i più scalmanati tra i ragazzini che fino al giorno stesso a scuola avevano lanciato palline di carta nei capelli della maestra, seguivano, meditavano. Magari al dhe voi fate qualche risata scappava, di quelle sciocche per le parole insolite. Eppure non era tanto l’occhiata severa di Don Pietro a zittirci e nemmeno l’attesa delle uova di Pasqua promesse in dono ma vincolate alla prestazione scenica.
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Era Lui, era il sapere che un Uomo che si diceva Dio non si sa bene come e perché avesse deciso di soffrire dolori di ogni tipo per noi. Non avevo nessuna voglia di sentirmi senza colpa; avevo un desiderio bruciante di essere perdonata. Sì, anche per le cose piccole che si possono compiere ed omettere da bambini. Volevo che Cristo caricasse in croce le mie parole sgarbate, i modi ruvidi usati con mamma, i piccoli tormenti inflitti al fratello di due anni più grande. Che inchiodasse al legno il desiderio capriccioso di quel gioco così caro che l’amica figlia unica aveva e io non potevo ricevere. Sentivo il desiderio di stare vicina a Quell’uomo e lasciarmi salvare.
Capivo che gli adulti non avevano motivo, anzi no, non avevano il diritto di distogliere i nostri sguardi dai chiodi, dai colpi di flagello. Dai racconti sugli sputi buttati in faccia al Figlio di Dio. Non c’era, non c’è motivo di censurare nulla dell’uomo dei dolori.
Avete tutta la vita davanti, ci dicevano sempre. Ma perché mentire o censurare? Ogni giorno di ogni vita non ha solo una distesa di giorni davanti a sé ma la certezza della morte. Ecco perché bisogna insegnare presto ai bambini che sì, nella vita di sicuro si soffrirà e senza dubbio ognuno di noi dovrà morire. Ma c’è Cristo e questo cambia radicalmente tutto. Ciò che fa più paura e continuerà a farlo, la malattia, la sofferenza, la morte, il castigo del peccato, può diventare una scorciatoia per tornare a casa ora che il valico è stato riaperto.
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Ecco il Cristo, il grande Artificiere, che maneggia bombe e granate senza timore e le fa brillare senza che seminino più distruzione e pianto. La malattia, anche la nostra, diventa offerta, la morte trampolino per la gioia senza fine. La croce è la vittoria e la identità profonda di Cristo.
“Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io” (Lc 24, 39)