Un esempio in più sotto i riflettori di come un handicap possa essere una risorsa, perché la vita è un’avventura imprevedibile e non un copione per automi perfetti
A soli 13 anni è una star in crescita esponenziale, 15 milioni di followers su Instagram e guadagnerà 250mila dollari ad episodio per la terza serie di Stranger Things. Per tutti Millie Bobby Brown è Undici, uno dei personaggi più interessanti del piccolo schermo degli ultimi anni, un’interpretazione fondata principalmente sullo sguardo.
Ho amato tantissimo Stranger Things, perché finalmente si ritorna a parlare di amicizia tra ragazzi nella forma più avventurosa, quella che si confronta con il mistero, il male e la morte, quella in cui non c’è dubbio tra la categoria del bene e del male. Tutti i personaggi che ne fanno parte sono gente imperfetta e ferita, perciò con un senso di solidarietà autentico. Appartengo alla generazione cresciuta coi Goonies e Stand by me, amo l’umanità debordante e imperfetta di Dickens e adoro aprire ogni singolo libro di Agatha Christie.
In Stranger Things ho ritrovato una creatività d’altri tempi, senza ammiccamenti a morbosità estreme. Il personaggio di Undici è senz’altro quello che cattura maggiormente l’attenzione: il suo vero nome è Jane, ma lei lo scoprirà molto più tardi e si tiene addosso un numero come identità, quello che le è stato tatuato sul braccio nel laboratorio dove l’hanno usata come cavia umana. La sua memoria è monca, la parola incerta; Undici è una giovanissima ragazza che si apre al mondo con innocenza totale eppure con poteri soprannaturali in grado di mettere sottosopra la vita di una tranquilla cittadina americana.
Sente fortissimo il bisogno di legami, avendo trascorso l’infanzia tra scienziati che la trattavano come esperimento. Bellissimo il rapporto padre-figlia che nasce tra lei – in cerca della madre perduta – e lo sceriffo Hopper – caduto nell’alcolismo in seguito alla perdita della figlia. Sono due nostalgie di bene che s’incontrano. Per quanto ripetitivo possa essere, la mancanza e la perdita sono i reagenti che ci permettono di guardare con nuda onestà il bisogno di essere amati.
Non c’è da stupirsi che il pubblico si sia affezionato a Unidici e all’attrice che la interpreta, guarda caso molti aspetti di Jane ricordano i tratti più generosi della figura cristologica: dare la vita per gli amici, essere una presenza di salvezza più che umana tra gli uomini. È un buon segno che gli spettatori si aggrappino ancora a storie che parlano del valore del sacrificio senza se e senza ma. La fama di Millie Bobby Brown è interamente legata a ciò che il pubblico ama in Undici-Jane, dobbiamo leggere così i numeri da record dei followers e dei guadagni.
Così giovane, così seguita, tante grandi speranze. Eppure anche la storia di Millie Bobby Brown non è solo rose. È di una bellezza rara, delicata eppure disarmante. Non è perfetta, come il mondo patinato vorrebbe sempre suggerire dietro le foto stratosferiche delle dive che calcano i red carpet. In una recente intervista a Variety, Millie ha raccontato di essere nata con un difetto uditivo che nel tempo l’ha portata alla completa sordità da un orecchio. È senz’altro un handicap invalidante per un’attrice e cantante; l’interazione sul set si basa sull’ascolto e l’interpretazione dipende anche dalla capacità di ascoltarsi. Eppure la Brown ce l’ha fatta, con caparbietà e passione, segno che è una bugia facilmente screditabile l’idea che solo chi è senza difetti e ferite sia degno di grandi traguardi.
L’handicap è una risorsa, perché può essere quel trampolino di umiltà che mette a fuoco meglio il tuffo grande che è la presenza di ciascuno di noi. Il mondo sta in piedi perché è pieno di gente che, chi più chi meno chi tantissimo, sa tirar fuori magie ancora più stupefacenti quando il limite la mette alla prova. Il limite è un’occasione, ancor più che una contraddizione; perché proprio dalla contraddizione di sentirsi manchevoli, inadeguati sboccia più nitida la forza di non cedere alla logica del felice-e-perfetto.
È facendo i conti con le nostre tante forme di zoppicamenti, fisici e psicologici, che la vista sui nostri desideri e sul nostro destino si snebbia. La tristezza insita nell’ideologia dell’eugenetica è che una razza migliore e senza difetti sarebbe anche indolente e annoiata, tutt’altro che coraggiosa e intraprendente.
All’ultima cerimonia degli Emmys i protagonisti di Strangers Things hanno fatto una performance di successo, cantando e ballando. Tra loro Millie Bobby Brown spiccava per intonazione e allegria, pur col suo orecchio sordo; in quel balletto ci vedo il riflesso – forse in versione deluxe – delle nostre giornate segnate da handicap, inciampi, ostacoli (più o meno gravi, visibili e invisibili, eppure fecondi) per fare della realtà un’avventura imprevedibile e non un copione per automi tutti uguali e ammaestrati.
https://youtu.be/1zji3gf7u44