Che cos’è l’ottimismo? Non è un’irresponsabile euforia né consiste nel minimizzare i pericoli. Ma permette, per esempio, di salvare tre uomini in volo nello spazio dopo che i serbatoi di ossigeno della loro navicella sono esplosi Un film che ci dà un’idea della potenza dell’ottimismo, è Apollo 13.
Apollo 13 è un film del 1995, diretto da Ron Howard, ispirato dal libro Lost Moon, scritto da Jim Lovell e Jeffrey Kluger
Stati Uniti, 11 aprile 1970, dalla base di Cape Canaveral decolla la missione “Apollo 13” diretta verso la Luna; a bordo del modulo si trovano tre astronauti: James Lovell, John Swigert e Fred Haise. Tre giorni dopo il lancio avviene un incidente: l’esplosione dei serbatoi d’ossigeno durante la procedura di rimescolamento danneggia gravemente la navicella, oltre ad impedire il rientro sulla Terra, con la possibilità che i tre uomini non sopravvivano. Superati i primi momenti di sconcerto, l’intera Nasa si attiva ed il direttore di volo Gene Kranz mobilita tutte le forze possibili per porre rimedio alla difficile situazione, compreso il richiamo di un componente dell’equipaggio originale Ken Mattingly, che era stato trattenuto a prosecuzione della missione per un sospetto morbillo, per comporre una procedura straordinaria finalizzata a riportare sulla Terra la navicella, nonostante il malfunzionamento o l’indisponibilità di molti sistemi di bordo. (fonte Wikipedia)
Anche nel film Apollo 13 ci stanno narrando una storia assolutamente vera.
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Mentre era in viaggio verso la luna, l’astronave Apollo 13 perde un pezzo della paratia esterna; il realismo ci dice che, quando un’astronave ha perso un pezzo della paratia esterna mentre è in volo verso la luna, moriranno tutti. I tre uomini vengono portati giù vivi. Il film è appassionante, benché noi già dall’inizio conosciamo la storia, sappiamo tutti che i tre uomini torneranno giù vivi, il film è di una suspense che inchioda e in continuazione arriva una nuova catastrofe. I tre riusciranno a tornare usando la navicella spaziale come astronave, ma la navicella spaziale è fatta per due, loro sono tre, non c’è abbastanza ossigeno, c’è troppa anidrite carbonica, non hanno più la corrente elettrica per il computer, devono spegnere il riscaldamento, sono nello spazio, in un freddo gelido.
Ce la fanno perché riescono a trovare l’unica possibilità su dieci, cento, diecimila – chiediamolo ai realisti, loro sanno sempre tutto -, di realizzare il miracolo. L’ottimismo ci permette di vedere porte dove tutti gli altri vedono muri. In una situazione estrema, se l’astronave fosse esplosa, essere ottimisti o pessimisti sarebbe stato irrilevante. Ci sono situazioni in cui le possibilità di giostrare sono zero, ma – in tutte le altre – una qualche possibilità c’è.
L’astronave scende, perché i due uomini, Tom Hanks che è il capo della squadriglia nello spazio, e Ed Harris, il capo della Nasa, non spostano un secondo gli occhi da quello che è lo scopo, tre uomini che devono tornare giù vivi. Se si distraessero un secondo, finirebbero nella disperazione e – dalla disperazione – si passa alla paralisi.
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E’ geniale – oltretutto – ed autentica, ripeto, la scena in cui alla Nasa si rendono conto che, nella navicella, c’è troppa anidrite carbonica, che è fatta per due uomini e invece ne contiene tre. Il capo della Nasa non chiede ai suoi tecnici: “è possibile fabbricare un filtro per l’anidride carbonica?” – perché loro guarderebbero nella loro memoria e direbbero “no, non è mai stato fatto, non si può fare”; lui li chiama, prende la copia di ogni oggetto che in quel momento è presente nella navicella, la consegna a questi uomini con l’ordine: “fabbricatemi un filtro entro questo tempo, gli altri ce la fanno”.
Il fatto che arrivi un ordine di fare le cose, mi dice che è possibile fare quelle cose, spinge il mio cervello a credere che sia possibile fare quelle cose. Se un mio capo mi dà un ordine, io do per scontato che è possibile fare quelle cose, da un punto di vista emotivo, questo scatta immediatamente, d’impulso. Se io leggo di un problema sulla settimana enigmistica, do per scontato che questo problema abbia una soluzione, altrimenti non lo avrebbero messo sulla settimana enigmistica, se nello stesso problema m’imbatto nella mia vita, non sapendo se la soluzione ci sia o no, la cerco un po’, poi lascio perdere, ma no non si può fare; è tutto qui. Quindi noi dobbiamo cercare le soluzioni, dando per scontato che esse esistano.
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Nel novanta per cento dei casi, riusciremo a trovarla, perché nel novanta per cento dei casi, per quanto bizzarra, una soluzione c’è; onestamente c’è un dieci per cento dei casi in cui la soluzione proprio non c’è, oppure la soluzione c’è nel novantanove dei casi e non c’è nell’uno, oppure non c’è nel novantotto dei casi e c’è nel due, non è mai il cento per cento, quasi mai. Loro capiscono come fabbricare il filtro e gli astronauti tornano giù vivi. Punto.