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I cinque anni di vita di Michelino incredibili per la scienza

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Silvia Lucchetti - Aleteia Italia - pubblicato il 14/09/17
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Una mamma racconta la preziosa e fragile esistenza di suo figlio, nato al cielo pochi mesi faOggi vi racconto la storia di una famiglia. Di Agnese, Antonio e Michelino, il loro bambino.
Quando ho ricevuto il messaggio di questa mamma di Catania desiderosa di farmi conoscere la vita fragile e preziosa di suo figlio mi sono sentita tanto grata. Abbiamo così bisogno di testimoni, è anche grazie a loro che riusciamo a non scoraggiarci, a procedere nei momenti di tentennamento, a scorgere nella nostra storia la mano potente di Dio.

Quindi ringrazio subito questa famiglia e soprattutto questa mamma per l’umiltà e la generosità.

Agnese è una mamma addolorata per la perdita di suo figlio, morto a febbraio scorso, ma non è una mamma disperata. Sa che il suo bambino è in cielo e crede che la sua vita santa, il suo dolore innocente, gli permettano di essere un potente intercessore dal paradiso.

Spesso quando le dicono che Michelino ora è un angelo lei prova un piccolo moto di fastidio, perché Michelino prima di tutto è stato un bambino, ha sofferto, ha provato dolore nella carne, ha dovuto rinunciare a tante cose a causa della sua malformazione. Idealizzarlo come fosse un’immaginetta è un errore, perché è attraverso la croce che c’è resurrezione e lui la croce l’ha vissuta e proprio lì ha potuto manifestarsi l’amore di Dio.



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Al telefono Agnese ha una voce squillante e vivace, piena di vita, che si accende quando racconta di suo figlio. La immagino una donna ardente e piena di coraggio anche se lei mi confessa che questa forza non l’ha sempre contraddistinta, è una caratteristica che le ha regalato il Signore attraverso il sacramento del matrimonio e il dono della maternità:

“Prima del matrimonio sono sempre stata ingenua, a tratti debole. Il Signore mi ha cambiata, mi ha trasformata in una donna coraggiosa, forte! Io non ero così!”.

Raccontami allora di Michelino…

Michele, noi lo chiamiamo tutti Michelino, è salito da Gesù il 2 febbraio scorso, all’età di cinque anni. Io e mio marito Antonio siamo una coppia credente, attaccata ai sacramenti e alla preghiera, ma nonostante questo proviamo una profonda tristezza. Abbiamo la certezza del paradiso e della vita eterna, ma comunque il nostro dolore è grande: sentiamo tanto la mancanza di nostro figlio perché lo abbiamo amato fin dal primo momento.

Quando avete scoperto che Michelino soffriva di una grave malformazione?

Eravamo sposini quando sono rimasta incinta, e poco tempo dopo nel corso di un’ecografia il mio ginecologo ha subito notato che c’erano dei problemi: il bambino soffriva di una rara patologia cerebrale, l’oloprosencefalia, che nelle forme più gravi determina l’incompatibilità con la vita. Quello fu un giorno tremendo, ero insieme a mio marito e mia sorella. Dopo la notizia, con Antonio ci siamo subito rivolti al Signore per avere da Lui l’aiuto necessario ad affrontare questa situazione. L’idea dell’aborto terapeutico non ci passò nemmeno per la testa, e non ci siamo mai pentiti di questa decisione. I medici ci informarono che per la gravità della malformazione nostro figlio sarebbe potuto morire nella mia pancia, alla nascita o entro i primi sei mesi di vita. È stata una grazia che Michelino invece abbia vissuto così a lungo: davvero il Signore ha ascoltato tutte le nostre preghiere!

Nel vostro caso com’e stato il rapporto con i medici che vi hanno assistito?

Non ho mai ricevuto pressioni a interrompere la gravidanza da parte dei dottori dopo la scoperta della patologia. Il mio ginecologo è obiettore di coscienza, e anche gli altri medici incontrati durante e dopo la gravidanza sono stati tutti disponibili e rispettosi nei nostri riguardi. Volevamo dare al nostro bambino la dignità di essere figlio di Dio, pensavamo sempre che anche se fosse nato morto avremmo almeno potuto seppellirlo.

Dove avete trovato la forza per affrontare una gravidanza così difficile e rischiosa?

Il sostegno ci è venuto da Dio, cercavo di partecipare alla messa ogni giorno, di ricevere la comunione, di farmi benedire la pancia, di pregare il rosario con mio marito il più possibile proprio per essere pronti, saldi. Sapevo che Michelino poteva morire da un momento all’altro nella mia pancia, eppure questo non è accaduto, anzi, lui era vivacissimo, aveva una vitalità incredibile, lo sentivo muoversi e questo mi dava tanta fiducia, tanta speranza. Ho apprezzato enormemente l’impegno dei medici anche quando si è avvicinata la data del parto: hanno fatto tutto il possibile per accogliere Michele nella maniera più adeguata alle difficoltà della sua nascita.



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In che modo avete ricevuto il dono della fede?

Mia madre mi ha trasmesso la fede fin da bambina, sono stata a Medjugorje per la prima volta all’età di sette anni, e anche mio marito l’ho conosciuto lì, durante un pellegrinaggio. Prima di incontrare Antonio avevo frequentato per diverso tempo il Cammino Neocatecumenale che poi avevo interrotto; invece dopo la nascita di Michelino come coppia abbiamo ripreso questo percorso di fede insieme.

Chi vi è stato particolarmente vicino?

I nostri familiari ci hanno sempre sostenuto e condiviso la nostra scelta. Quando abbiamo saputo della malattia di Michelino ho chiesto subito preghiere alle monache di clausura che sono vicino a noi, qui a Catania. Loro hanno sempre pregato per le nostre intenzioni, conservano la foto di Michelino sotto la statua della Madonna del Carmelo: davvero le loro preghiere ci hanno sostenuto. Dopo la sua nascita andavamo tutti e tre spesso a trovarle, ormai era diventato di casa. Sono stati tanti i sacerdoti che ci sono stati vicino e che hanno pregato per noi. Ti confesso che spesso mi chiedo ancora oggi perché sia successo tutto questo, ma la risposta me l’ha data un sacerdote cinque anni fa: “Non chiederti più niente, è un mistero di Dio che magari un giorno il Signore ti rivelerà”.

Com’è stato l’inizio della vita di Michelino?

Ho fatto un cesareo, ed è stato un bellissimo parto perché l’equipe era fantastica. Il mio ginecologo aveva radunato un gruppo di medici bravissimi, e anche se avevo paura che Michelino potesse morire, al tempo stesso ero serena perché si respirava un’aria di “sacralità” in quella stanza. Pregavamo l’Ave Maria.
Dopo la sua nascita è stato subito portato in terapia intensiva neonatale. Il nostro primo desiderio era quello di farlo battezzare, perché non sapevamo quanto sarebbe vissuto. Per questo motivo è stato battezzato senza di me; mio marito e al sacerdote che ci ha sposato sono saliti su in terapia intensiva e hanno battezzato Michelino.

Ci racconti come è stata la vita di Michelino?

Michelino è stato un campione, un lottatore, ha avuto sempre un cuore forte, ha superato momenti duri, prove difficili che i medici non credevano che avrebbe potuto sostenere. È stato cinque mesi in terapia intensiva neonatale, noi potevamo stare con lui mezz’ora la mattina e mezz’ora la sera. È stata dura in quei lunghi mesi, però eravamo tranquilli perché era seguito in tutto. Spesso la sera presa dalla tristezza telefonavo per sapere come stava e chi lo assisteva mi rincuorava; Michelino lì dentro ha avuto tutti come mamme e papà. Medici, chirurghi, pediatri eccezionali, la cosa bella è che non li cercavamo noi ma la Provvidenza ce li faceva incontrare sulla nostra strada. A novembre prima che mio figlio morisse ho incontrato un medico che non lo vedeva da tempo che ha affermato: “Michelino è un miracolo!”.
Infatti accadevano cose inspiegabili che per la sua malformazione non avrebbero potuto verificarsi: per esempio quando non voleva stare nel passeggino, si muoveva, piangeva e si ribellava, ma appena lo prendevamo in braccio si calmava, smetteva di piangere, si godeva le coccole e si addormentava. Voleva dormire sempre in mezzo a noi e non nella culla, mentre per la scienza non avrebbe dovuto sentire e percepire niente.



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Come avete affrontato il momento della sua morte?

Il giorno che Michelino si è aggravato non mi davo pace, sentivo che erano gli ultimi suoi momenti. Lo abbiamo portato in ospedale, ma poi siamo rientrati e così ha avuto la grazia di morire in casa. È stato nel nostro letto per due notti in attesa del funerale, e questo è stato meraviglioso. È paradossale dirlo ma è così. Io avevo un santo in casa, diventava sempre più bello. Insieme a mio marito lo abbiamo vestito con gli abitini che aveva indossato per il suo ultimo compleanno. Sono venuti a casa i sacerdoti, i nostri catechisti, i fratelli di comunità, abbiamo pregato le lodi e i vespri insieme. Abbiamo organizzato il suo funerale e con mia sorella abbiamo scelto i canti della messa.
L’unica cosa che da sempre desideravo è che Michele morisse in una data liturgicamente importante, e infatti quel giorno ricorreva la presentazione di Gesù al tempio.

Qual è il ricordo che ti emoziona di più della vostra vita insieme?

Quando un giorno mio marito rientrò dal lavoro, e io avevo il bambino in braccio: Michelino sentì la voce di suo padre, si girò e sorrise, a dispetto di quello che dice la scienza. Noi quel giorno non lo dimenticheremo mai.