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Gabriele: 9 mesi di vita e d’amore nel grembo di sua mamma, ma poi non ce la fa

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Silvia Lucchetti - Aleteia Italia - pubblicato il 10/07/17

Francesca e Salvatore rifiutano l'aborto e custodiscono la vita di loro figlio, affetto da una grave patologia, che muore pochi giorni prima del parto

Oggi vi raccontiamo la storia di Francesca e Salvatore, una coppia di sposi che dopo due anni e mezzo dalla nascita del loro primogenito Alessandro, hanno accolto con gioia l’arrivo del secondo figlio Gabriele che, a causa di una grave patologia, muore al nono mese di gestazione nel grembo della mamma.

Durante lo screening della dodicesima settimana infatti, viene diagnosticata al bambino una sospetta trisomia 18, una malattia genetica molto grave che comporta malformazioni cardiache, renali, polmonari, gastrointestinali e del sistema nervoso. I medici consigliano a Francesca di abortire, ma lei e il marito sanno bene che accogliere un figlio significa amarlo fin da subito, senza sapere come, dove e per quanto tempo. Ma non voglio svelarvi troppo, preferisco che a parlare siano le parole di Francesca, così forti, piene di fede e coraggio!

La giovane mamma, seguita e accompagnata durante la gravidanza dalla dottoressa D’Anna e dal suo staff dell’ospedale Buccheri la Ferla di Palermo, scrive la sua storia sotto suggerimento della ginecologa, che desidera sensibilizzare il personale medico e attivare un progetto di Comfort Care nella struttura ospedaliera, unica valida e preziosa alternativa all’aborto terapeutico.

Francesca apre la sua testimonianza con una domanda, come se ci fosse di fronte a lei un interlocutore in carne ed ossa che le chiede: “Cosa ha significato Gabriele per te?”.




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Cosa ha significato Gabriele per me? Partirei da questa domanda per spiegare un po’ il percorso che abbiamo affrontato io e mio marito durante la gravidanza che ha dato alla luce il nostro secondogenito, nato già morto. Gabriele ha significato vincere tante paure: la paura di convivere giorno e notte con l’idea della morte, la paura di andare controcorrente, la paura di far soffrire il nostro primogenito scegliendo di dare un’opportunità di vita al secondo… ma soprattutto Gabriele ha significato capire il vero significato dell’amore. Lui non mi ha mai chiesto altro, non mi ha mai neanche dato troppi dei tipici disturbi di gravidanza, mi ha sempre solo chiesto di essere amato ed accettato così per quello che era, con le sue manine imperfette, con i suoi polmoni non sviluppati, con il suo cuoricino spostato a destra… E noi… Non abbiamo potuto fare altro che accogliere questa richiesta di amore, in un modo così spontaneo e naturale che tutt’oggi ci meravigliamo di come non ci sia mai sfiorato un dubbio sulla scelta di portare a termine la gravidanza.


Quando parlo con Francesca al telefono, mentre il figlio la reclama per giocare, mi confida che lei e il marito sono sempre stati d’accordo e in armonia sulle decisioni da prendere rispetto alla loro famiglia e alla vita del piccolo Gabriele. Che grazia! La fede, le preghiere dei familiari, dei fratelli di comunità (lei e suo marito fanno parte del Cammino Neocatecumenale) non li hanno mai abbandonati, non li hanno mai fatti sentire soli e disperati. Anche se la decisione di non abortire è stata immediata ed istintiva, il percorso non è stato facile e senza il Signore la croce sarebbe stata impossibile da portare.  Francesca e Salvatore non hanno mai avuto alcun dubbio sul valore della vita di Gabriele.

Mai. Abbiamo avuto tanti dubbi in quei mesi: come accogliere Gabriele, se provare ad intubarlo alla nascita oppure no, se parlarne a nostro figlio Alessandro dicendogli tutta la verità o lasciare che il tempo ci consigliasse via via cosa dire… ma MAI abbiamo pensato che lottare con tutte le nostre possibilità nel difendere una VITA, frutto del nostro amore, del nostro desiderio di FAMIGLIA, potesse essere la scelta sbagliata o insensata, come invece qualcun altro si è permesso di giudicarla. Ritengo che questa sia stata la nostra fortuna principale, il fatto di non avere mai avuto dubbi riguardo l’istinto di protezione che abbiamo provato da subito verso la nostra creatura, riguardo la voglia di non negargli l’opportunità di venire alla luce, se possibile di essere curato, se possibile di vivere dignitosamente per un tempo più o meno lungo. Non mi permetto di giudicare chi anche solo viene sfiorato dal DUBBIO, perché so di che peso si tratta, di quale scombussolamento comporti nella vita quotidiana e borghese alla quale siamo abituati, nella quale pensiamo che le cose brutte capitino sempre agli altri e mai possano capitare a noi. Non mi permetto neanche di giudicare chi, sfiorata da questo dubbio su cosa sia giusto fare, decida di non sentirsi in grado di crescere in grembo un figlio a cui dovrà dire addio troppo presto. Difendo però la mia, la nostra scelta! Quella di non volersi arrendere, non perchè illusi od ignoranti (conosco anche troppo bene la realtà dei bimbi disabili e delle loro famiglie, essendo insegnate di sostegno), ma solo perché se mi viene chiesto di scegliere, se mi viene dato il potere di vita o di morte su una PERSONA, io scelgo di lottare per la vita, con qualunque problema essa si presenti, pretendo RISPETTO!

Francesca racconta di come purtroppo i medici dell’ospedale della sua città non siano stati professionali ed umani nei suoi confronti, ma abbiamo spesso espresso giudizi offensivi, fuori luogo e privi di quella delicatezza che una gravidanza, a maggior ragione complicata come la sua, richiede. Ma grazie a Dio le mamme sanno tirare fuori le unghie! Il Signore la ricolma di forza e poi a Palermo incontra la dottoressa D’anna. Tutt’altra musica!

Ecco che allora mi ritengo doppiamente fortunata per avere scelto ancor prima di conoscere tutte le problematiche di Gabriele, di farmi seguire dalla dott.ssa D’Anna e dal suo staff del Buccheri la Ferla di Palermo. Da tutti i medici che ho incontrato presso questa struttura, inclusi i neonatologi con i quali ho provato a programmare degli interventi salvavita per il mio Gabriele, da tutti gli infermieri ed ostetrici che ci hanno assistito, io e mio marito ci siamo sentiti RISPETTATI. Magari capivamo che la nostra scelta non era condivisa da tutti, ma mai nessuno si è permesso di discuterla. Tutti hanno semplicemente lavorato nell’intento di far stare bene me e di provare ad accogliere nel miglior modo possibile mio figlio. Purtroppo non posso dire di aver ricevuto lo stesso trattamento da altri medici presso la struttura ospedaliera della mia città, che sono stata costretta a frequentare spesso in quei mesi per monitorare il battito cardiaco di Gabriele, oltre che per allertarli circa la possibilità che se la gravidanza fosse andata avanti, se non avessi avuto il tempo di recarmi a Palermo, avrei potuto anche partorire lì. Bene… Sentirsi guardare con gli occhi sgranati e rispondere letteralmente “ci dispiace, hai fatto una pazzia, ti auguriamo che nel momento del parto tu possa trovarti lontana da qui, perché non sapremmo come aiutarti”. Oppure “se fossi venuta a parlarmi di questa gravidanza in tempi in cui la legge consentiva ancora l’aborto terapeutico, ti avrei convinta (o costretta… non ricordo bene il termine esatto… ) a farlo”… ecco questo è quello che intendo per mancanza di rispetto! Si parla tanto di libertà di scelta delle donne, di rispetto del corpo femminile… non credo che questi medici possano dire di avermi rispettato pronunciando quelle frasi, io non mi sono sicuramente sentita rispettata, neanche un po’. Noi abbiamo scelto di non fare nessuna indagine invasiva, per non rischiare neanche quello 0,003 percento di possibilità di provocare in qualche modo l’aborto. Abbiamo vissuto una gravidanza serena, ho fatto il possibile per far conoscere il mondo al mio Gabriele attraverso di me: abbiamo viaggiato, fatto sport e trascorso serate estive con amici come se tutto andasse normalmente; quando Gabriele scalciava, facevamo a gara per accarezzarlo, quando qualcuno che non conosceva la situazione incalzava con le domande, affrontavamo la verità con serenità e tranquillità. Noi non avevamo nulla per cui nasconderci, di cui vergognarci, nessuna paura di giudizi da affrontare. Avevamo fatto una scelta, libera e consapevole. Dovevamo incanalare tutte le nostre energie nel dare amore e serenità ai nostri figli. Tutto il resto non ci interessava. La gente parla, ha sempre parlato, sempre sputato sentenze, e purtroppo sempre continuerà a farlo.



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Al telefono Francesca mi confida che la sua esperienza le ha mostrato con forza che non siamo padroni della vita, mentre spesso crediamo sia così. Ci progettiamo il nostro perfetto quadro familiare, pensiamo di avere potere su tutto, di decidere una gravidanza, di programmarla! E invece la vita ci supera ed è un bene! Questo ci fa riscoprire creature umili, bisognose di tutto. Ci mette tutti in condizione di chiedere a Dio il dono della fede, di supplicarlo! L’idea di una nuova maternità fino a poco tempo fa spaventava Francesca, ma quando scopre di essere incinta la gioia supera ogni timore!

Gabriele è VISSUTO nove mesi nel mio utero e credo che abbia ricevuto tutto l’amore che potevamo dargli, e l’unico rimpianto che ho è solo quello di non avere ammesso subito di non sentire più i suoi movimenti in grembo. Ho aspettato due giorni prima di confessarlo; non volevo crederci; ormai mancava poco al parto, pensavo che lo avremmo almeno potuto fare nascere. Ciò ha significato che non l’ho potuto abbracciare e baciare alla nascita per come avrei voluto, in quanto la sua pelle era macerata… Ma posso garantire, che era un bambino bellissimo… ho una foto che lo testimonia! … E pensare che mi avevano avvisato che potevo aspettarmi anche un mostro con un solo occhio!!! Purtroppo non abbiamo potuto dare un nome alla sua malattia, per problemi tecnici durante il prelievo delle sue cellule, probabilmente una trisomia 18. Mi ha molto ferito il non sapere che nome dare alla diversità del mio Gabriele… ma con il tempo ho superato anche questo. Una malattia o l’altra, non cambia ciò che è stato: Gabriele è stato il figlio che mi ha fatto scoprire tutta la forza che una donna può tirare fuori per amore, mi ha fatto scoprire che rinunciare al profumo ed ai sorrisi di un neonato non significa rinunciare ad essere madre, mi ha fatto capire che… rifarei tutto quello che ho fatto! Spesso in questi due anni dalla morte di Gabriele mi sono chiesta come avrei affrontato un’ulteriore ipotetica gravidanza, come avrei potuto convivere con le ansie e le paure di un passato che potrebbe ritornare… Bene, proprio in questa settimana ho scoperto di essere incinta. Non escludo l’ipotesi che qualcosa possa di nuovo sfuggire ai miei sogni di famiglia del “Mulino Bianco”, metto in conto tutto, ma anche questa volta mi stupisco di come la gioia sia più forte della paura e l’amore più forte dell’ansia. Rifarò tutto, tutti i controlli che ci sarà bisogno di fare, tutto quello che mi può aiutare a conoscere bene mio figlio, a preparare il mondo alla sua nascita. So di potere contare sulla professionalità di tanti di quei medici che ho incontrato nel corso della mia vita due anni fa. E sono contenta. Contenta perché ho capito che Gabriele è servito. È servito a dare la giusta spinta ad agire, a fare qualcosa per supportare le famiglie che scelgono di provare in tutti i modi ad accogliere un figlio. Gabriele è stato anche questo: un aiuto per gli altri. Ed io non posso che essere enormemente fiera di essere sua madre.

Questa è una parte che mi colpisce tantissimo della testimonianza di Francesca. Viviamo in un mondo che crede che anestetizzare il dolore o eliminarlo dalla vita sia la soluzione migliore.Ma il dolore fa parte dell’esistenza, è un mistero che ci salva! Che ci fa alzare gli occhi al cielo, come scrive Francesca, per ringraziare Dio ed andare avanti!

Piccola postilla: il nostro primogenito ha sicuramente sofferto e soffre ancora la mancanza di un fratello, e non riesce a capire come mai l’unico che abbia avuto non sia riuscito neanche a vederlo, ma ha affrontato con il nostro aiuto tutto questo tempo in modo sereno, e a chi gli chiede se è figlio unico lui risponde che ha un fratello in cielo, e se non ci credono mostra loro la foto di un’ecografia di Gabriele che abbiamo incorniciato accanto ad una delle sue foto da neonato. Tante volte crediamo di dover difendere i nostri figli dal dolore, evitandogli ogni tipo di sofferenza, ma quello significherebbe NON VIVERE. La vita è fatta anche di sofferenze, e noi siamo fatti per superarle, per non vivere schiacciati dal dolore, per alzare gli occhi al cielo e ringraziare! Sempre!



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In chiusura Francesca lancia un appello,  ci incoraggia tutti! Afferma a gran voce che nulla è impossibile da superare… basta chiedere l’aiuto giusto! “Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra”. (Salmo 120)

Ultimissima postilla, la più importante: leggere questa testimonianza pensando che io e mio marito siamo stati bravi e coraggiosi nell’affrontare questa esperienza è un punto di vista sbagliato. Noi non siamo né bravi, né tanto meno coraggiosi, né speciali, né eroici! Siamo comuni mortali! Noi siamo solo stati testimoni di un atto di amore e misericordia infinito nelle nostre vite: non siamo stati abbandonati! Non siamo rimasti soli a piangerci addosso nel lutto della nostra sofferenza! Noi abbiamo toccato con mano la potenza della preghiera e la concretezza con la quale lo Spirito di Dio agisce nelle nostre vite! Se da un lato mi sento di dire che la scelta di portare avanti la gravidanza di Gabriele l’ho sempre considerata una scelta istintiva e naturale, data dall’innaturalezza di scegliere di far morire il proprio figlio, posso dire che tutta la forza che abbiamo ricevuto nei mesi successivi, non è frutto della nostra indole, è stato un dono di Dio! Questo dono a noi è arrivato gratuitamente, semplicemente chiedendolo nella preghiera e chiedendo ad altri di pregare per noi. A chiunque si senta impotente e o scoraggiato dai fatti della vita e creda di non potercela fare, di non essere abbastanza forte, mi sento di dire che BASTA CHIEDERE L’AIUTO GIUSTO! …ed eccolo… Arriverà… In un modo dolce e leggero ogni cosa acquisterà piano piano un senso, e nel nostro caso il senso è stato quello di comprendere come tutti dobbiamo morire; 100 anni di vita su questa terra o 9 mesi di vita nel grembo materno non fanno la differenza. Abbiamo tutti un Fine che si compirà solo alla nostra Fine. Questo è stato Gabriele: la Fine della sua vita terrena ha dato senso e fine alle nostre vite; abbiamo un figlio che prega per noi dal cielo, che ci aspetta! C’è un pezzo della nostra carne in cielo che ci dice che non è stata tutta un’illusione, lui è esistito davvero e davvero ha regalato alle nostre vite una gioia piena!

Francesca e Salvatore

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