Come un “bambino misterioso” il futuro papa insegue per tutta la vita il pensiero del teologo
Joseph Ratzinger e Sant’Agostino. Un dialogo che è iniziato sin da quando il futuro papa Benedetto XVI era uno studente di teologia.
A raccontarlo sono Maria Giuseppina Buonanno e Luca Caruso in “Benedetto XVI – Immagini di una vita” (edizioni San Polo).
Il racconto di questo feeling si ritrova perfettamente nell’intervento di monsignor Georg Gänswein durante la presentazione, a Monaco di Baviera, il 12 settembre 2016, dell’edizione tedesca del libro di Benedetto XVI, “Ultime conversazioni“, a cura di Peter Seewald.
UN BAMBINO INNOCENTE
«Lo stesso uomo di Chiesa così erudito – spiega monsignor Ganswein – che a lungo è stato seduto sul trono di Pietro, più di una volta, con le sue risposte, pare un bambino innocente, misterioso e insondabile; un bambino dello Spirito Santo che, in mezzo a brillanti analisi, racconta del tutto naturalmente quanto si divertisse a giocare a “Non t’arrabbiare” e cose simili…».
«Un grande bambino di Dio – prosegue il segretario di Ratzinger – con una mitezza disarmata, che, come sant’Agostino, appassionatamente anela di giungere finalmente a quel “sempre” di cui si dice nel Salmo 105: “Cercate sempre il suo volto”. Un bambino che vuole ancora ritornare a casa, “lì dove sarà di nuovo così bello come lo era da noi a casa quando eravamo bambini”».
Leggi anche:
Quando Ratzinger predisse il futuro della Chiesa
“BUON COMPAGNO DI VIAGGIO”
Alla Scuola superiore di filosofia e teologia di Frisinga, tra il 1946 e il 1947, Ratzinger ha il suo “incontro” con il personalismo. Un evento che incide profondamente nel cammino spirituale del futuro papa, legandosi subito con il pensiero di Agostino, «che segnerà più di ogni altro autore il suo approccio al fatto cristiano», come scrive Gianni Valente in “Ratzinger professore” (Edizioni San Paolo).
Agostino è un modello per Ratzinger, quasi un paradigma della sua esperienza umana. Da Papa lo indicherà come «un buon “compagno di viaggio” nella mia vita e nel mio ministero». È conquistato dalla sua «teologia molto personale», mentre pensa che «tutte le resistenze della nostra natura debbano essere prese sul serio e poi debbano anche essere canalizzate per arrivare al grande sì al Signore».
UN TEOLOGO TRA LA GENTE
Inizialmente Agostino desiderava vivere una vita puramente contemplativa, dedicata alla Scrittura. «Ma il Signore – osserva Ratzigner – non l’ha voluto, l’ha fatto sacerdote e vescovo e così tutto il resto della sua vita, della sua opera, si è sviluppato sostanzialmente nel dialogo con un popolo molto semplice. Egli dovette sempre, da una parte, trovare personalmente il significato della Scrittura e, dall’altra, tenere conto della capacità di questa gente, del loro contesto vitale, e arrivare a un cristianesimo realistico e nello stesso tempo molto profondo».
PREMIATO “GRAZIE” A SANT’AGOSTINO
Presso la facoltà di teologia dell’Università di Monaco, dove poi Ratzinger prosegue gli studi, v’era la prassi di premiare ogni anno una ricerca su un tema assegnato, da elaborare nell’arco di nove mesi e da consegnare anonima. Se un lavoro otteneva il premio, oltre a una modesta somma di denaro, veniva anche accettato come dissertazione, con la valutazione di summa cum laude, aprendo le porte per il dottorato.
Leggi anche:
Decalogo della preghiera in Sant’Agostino
Nell’estate del 1950, dopo l’esame conclusivo degli studi teologici, il professor Söhngen fa sapere a Ratzinger che quell’anno sarebbe toccato a lui decidere l’argomento della ricerca da premiare. Il tema scelto è: “Popolo e casa di Dio nell’insegnamento di sant’Agostino sulla Chiesa”. Söhngen si aspetta la partecipazione di Ratzinger e il giovane teologo se ne sente obbligato. Il suo lavoro sarà brillante.
“SARO’ UN BRAVO SACERDOTE?”
Prima di essere ordinato sacerdote, il 29 giugno 1951, Ratzinger affronta le domande sul futuro della sua vita: s’interroga sul sacerdozio, sulla scelta che sta per compiere, sul cammino da seguire. Studia Agostino, e i suoi pensieri sul conflitto interiore lo scuotono. «Mi chiedevo: devo diventare sacerdote o no? Sarò adatto o no? E in generale: perché sono qui. Che cosa mi sta succedendo. Chi sono io?».
Domande necessarie a chi cerca la propria essenza e la propria identità, a chi cammina sulla strada della vocazione, a chi sa che, per trovarla, bisogna passare per la via della consapevolezza.
UN INSEGNANTE “AL PRESENTE”
Quando poi inizia la carriera accademica, dal 1957, il dialogo con il suo “teologo” ritorna centrale. Ratzinger è un professore brillante, tiene lezioni avvincenti e affollatissime. Si interessa inoltre degli aspetti pratici della vita dei suoi studenti, dall’alloggio al vitto, alle spese.
«Per parte mia, non mi sono limitato a mettere insieme qualcosa dai manuali, ma, al modo di sant’Agostino, ho cercato, per quanto possibile, di porre chiaramente in relazione quel che insegnavo con il presente e con la nostra fatica personale», illustra al giornalista Seewald in “Joseph Ratzinger, Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa cattolica nella svolta del Millennio” (Edizioni San Paolo).
Leggi anche:
Quel passo indietro di Benedetto XVI che ci fa andare avanti
LA LEGGENDA DELLA CONCHIGLIA
Quando il 24 marzo 1977 venne nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga da papa Paolo VI, come motto episcopale sceglie due parole dalla terza Lettera di san Giovanni, “Cooperatores veritatis“, “Collaboratori della verità”.
Nello stemma, accanto al moro incoronato, che da un millennio campeggia nell’emblema dei vescovi di Frisinga e per Ratzinger «è l’espressione dell’universalità della Chiesa, che non conosce nessuna distinzione di razza e di classe», figurano altri due simboli.
Il primo è la conchiglia, segno dell’essere pellegrini, ma anche richiamo a una leggenda su sant’Agostino, il quale aveva incontrato un bambino che con una conchiglia cercava di mettere
tutta l’acqua del mare in una buca di sabbia. Ciò indica il vano sforzo di far entrare l’infinità di Dio nella limitatezza della mente umana.
UNITI IN CRISTO
Quel dialogo continuo e ininterrotto con Sant’Agostino è confermato anche da un altro sacerdote che conosce bene il papa emerito.
Secondo padre Stephan Horn, che di Ratzinger fu assistente universitario, «alcuni grandi pensieri li aveva tratti da sant’Agostino, sviluppando anche una teologia eucaristica: centro della Chiesa è l’eucarestia – questa è una sua convinzione fondamentale – è Cristo che ci trae a sé quando si dona a noi, noi siamo tutti attratti da Lui e siamo uniti in Lui. E dunque la Chiesa non è solamente popolo di Dio, ma è popolo di Dio come corpo di Cristo, perché siamo uniti in Cristo. Cristo è il centro della Chiesa e ci trasforma in se stesso e così la Chiesa cresce nell’eucarestia».
Leggi anche:
10 frasi di Benedetto XVI che ti avvicineranno a Dio