Una donna adottata risponde a chi le ha detto: “Capisco di cosa parli, io ho adottato un cane!”Al lavoro, qualche tempo fa, rispondendo alle solite domande di rito che mi pongono i pazienti quando mi vedono per la prima volta (e mi sentono parlare in dialetto bergamasco), rimasi impietrita e senza parole da una risposta che mi fu data da una signora. Stavo raccontando di essere stata adottata da piccola, e oltre a corredare il mio racconto con le solite frasi, domande del tipo: “Poverina! Ma i tuoi genitori veri? Ti trovi bene qui da noi?”, la suddetta signora, al termine della mia spiegazione, mi disse: “Capisco di cosa parli, io ho adottato un cane!”. Ho sudato freddo per un istante interminabile, e poi ho salutato e me ne sono uscita dalla stanza, con lo stomaco sottosopra. Sì, perchè questa signora mi aveva appena paragonata ad un cane. E la rabbia che mi è salita non si può descrivere. Ancora mi tremano le mani. Per quanto mi piacciano gli animali e casa mia è stata abitata da: pappagallini, criceti, conigli nani, anatroccoli, pesci e gatti, mai ero stata paragonata ad un cane. Ed una mia carissima amica, sa che amo i cani, quando sono ben educati e socievoli, come la sua Lamù.
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Il fatto è che questa signora ha ben pensato di accostare il termine adozione a me, perchè lei aveva “adottato” un cane. Ma non sapeva di che cosa stava parlando. No, perchè tra cani e bambini adottati c’è una bella differenza. I primi sono animali ed i secondi sono esseri umani. I primi si affezionano a chi li tratta bene e dà loro da mangiare e si farebbero in quattro per proteggere i padroni. Ai secondi non basta essere trattati bene, dar loro un tetto, e del cibo. Ai bimbi adottati non basta un padrone. Servono un padre ed una madre, cioè due persone che possano amare questo figlio come se venisse dalla loro carne. Due genitori che lo abbiano concepito nel cuore e che siano disposti a scegliere e riscegliere e riscegliere mille e mille volte ancora e per tutta la vita questo figlio come figlio. Nonostante le sue ferite e la sua storia precedente, anzi proprio per le sue ferite e la sua storia precedente.
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A questo punto mi chiedo: come mai “l’adozione” del cane non fallisce, mentre quella dei figli può fallire? Semplicemente perchè il cane non ha quella cosa che si chiama libertà ed il suo rapporto con l’umano è un rapporto di dipendenza/sopravvivenza. Mentre nell’adozione, che è un incontro tra essere umani, c’è di mezzo la libertà. Il figlio non sceglie i suoi genitori per sopravvivenza, ma solo per amore, che è reciproco. Se l’amore tra figlio e genitori e tra padre e madre, non cresce di pari passo, e se le persone coinvolte non si mettono in gioco (cioè lavorano, faticano, si sacrificano per curare questo amore), il nucleo famigliare si sfalda. Ed allora si parlerà di fallimento adottivo.
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Il cane non se ne va, quando trova un padrone che si prenda cura di lui. Al figlio non basta la cura. Al figlio serve la certezza di essere amato, voluto, accolto, come figlio, sempre e per sempre. E siccome è libero come ogni essere umano che esista sulla faccia della terra, ad un certo punto sarà lui a dover scegliere se adottare o meno i propri genitori, se lasciarsi amare oppure no. Se sentirsi figlio di quei genitori oppure no. E questa dinamica non si verifica solo nell’adozione, ma in tutti i rapporti tra genitori e figli. Solo che nell’adozione non è affatto scontata. Allora c’è da chiedersi come genitore: quanto amo mio figlio? Quanto sono disposto a perderlo? Perché l’amore, quello vero, non è possesso, ma è lasciare che quel figlio decida se sentirsi figlio o meno, accettare che egli potrebbe anche andarsene per la sua strada. Fa malissimo, è difficile, è dolore e fatica. Per questo è molto più semplice prendere un cane. Ma non è la stessa cosa. Io non sono un cane. Ed il paragone non regge.