Fra Valenti Serra ci conduce in un’epoca in cui la clausura delle Clarisse era così forte che le suore, per permettere al medico di controllarne il polso, dovevano sporgere la propria mano da una finestraUn po’ ovunque sta tornando l’uso di erbe medicinali, perché in fin dei conti le sostanze chimiche adoperate per curare le malattie più comuni si trovano proprio nelle piante.
Sono i casi – ad esempio – di tisane quali la camomilla, la calendula e l’artemisia, usate fin dall’antichità come antispastici e per regolare il ciclo mestruale (come suggeriscono i nomi). La calendula fiorisce “regolarmente” ogni mese, e il suo nome deriva dal greco “kalenda” (calendario).
Il frate cappuccino Valentí Serra de Manresa è un esperto dell’uso medicinale delle piante. È particolarmente competente riguardo alle medicine che i Padri Cappuccini e le suore clarisse hanno fatto nei secoli e che producono ancora oggi. Ha pubblicato diversi libri sull’argomento. Si tratta di rimedi che hanno sempre funzionato e che, per di più, sono naturali.
Fra Valentí – che non abbandona mai il suo abito da cappuccino – è uno storico e pretanto conosce bene i segreti culinari e medicinali delle piante e delle erbe utilizzate storicamente da frati e suore dell’ordine dei cappuccini.
Racconta, in esclusiva per Aleteia, che anticamente vi erano riserve molto rigide per accedere nei monasteri femminili, soprattutto in quelli delle Clarisse, prima del Concilio di Trento (nella metà del XVI secolo), quando vivevano la cosiddetta Clausura papale, molto rigorosa. A quel tempo, praticamente nessun medico poteva entrare all’interno del convento per visitare una suora malata, se non in casi particolarmente gravi.
“Il medico doveva controllare il polso delle monache da una piccola finestra. La suora sporgeva la mano e il medico poteva procedere, ma solo in presenza della madre badessa!”, dice Fra Valentí. “Il problema era quando il medico chiedeva di fare un controllo più ampio del corpo della suora. In vi erano persino più difficoltà”.
Grazie a Dio, continua il frate, dopo il Concilio di Trento e dell’attuazione dei suoi decreti, in caso di necessità veniva mitigata la cosiddetta Clausura papale. Ad ogni modo, tra le monache c’erano esperte di medicina e in particolare di erbe medicinali, che coltivavano in un giardino situato nel centro del monastero, chiamato “Giardino di Gerico“, dove andavano anche per pregare.
“Credo”, sostiene Fra Valentí, “che Santa Ildegarda di Bingen, una badessa tedesca vissuta nel XI secolo, dovrebbe essere proclamata patrona degli erboristi insieme al famoso San Ponce. Papa Benedetto XVI l’ha già dichiarata Dottore della Chiesa nel 2012. Questa santa conosceva i rimedi delle erbe non a causa dei suoi studi o di una tradizione di famiglia, ma attraverso rivelazioni soprannaturali”. Dava queste erbe ai poveri, perché non avevano alcun mezzo per curarsi e non potevano permettersi medici e medicine, a differenza della nobiltà e dell’aristocrazia. Successivamente, anche i Padri Cappuccini fecero lo stesso.
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Anche la madre di Santa Chiara – seguace di San Francesco d’Assisi, di nome Ortolana- aveva una vasta conoscenza delle erbe medicinali, che le Clarisse appresero.
Era ben conosciuto, allora come oggi, l’iperico, una pianta medicinale utilizzata contro gli stati depressivi, perché tonifica l’organismo. “Quando una suora sembrava essere un po’ giù, più del normale, le veniva somministrato un infuso di iperico. Questi rimedi erano utilizzati anche dai frati”, dice.
Fra Valentí Serra critica il modo in cui oggi le persone trattano la natura, motivo per cui le autorità sono costrette a recintare montagne e foreste che un tempo venivano visitate da città vicine. Ecco perché loda tanto l’enciclica di Papa Francesco “Laudato sì” sulla necessità di rispettare la creazione e ciò che è sulla Terra.
“Prima”, afferma, “si poteva andare nei boschi dove molte persone trovavano cibo ed erbe medicinali per poter guarire. Si andava nel bosco in cerca di funghi, castagne, lumache, ghiande, pinoli (che hanno un’alta concentrazione di vitamine), more, erbe per fare tisane, ecc”.
Nella conversazione con Fra Valentí emerge sempre il carisma francescano dei Cappuccini: aiutare i poveri, incoraggiare le persone che ne hanno più bisogno, vivendo al tempo stesso una vita di unione con Dio.
Poi racconta delle “guerre” che i cappuccini hanno dovuto affrontare con farmacisti e medici di ogni epoca. Si lamentavano che le persone non andavano in farmacia, ma nei convento dei Cappuccini; lì potevano ricorrere a rimedi naturali e quasi sempre gratuiti. La competizione era molto forte. “Ma i poveri non avevano i soldi per andare dal medico, farsi prescrivere qualcosa e poi acquistarla in farmacia. Ecco perché andavano dai Cappuccini”, dice Fra Valentí.
Una volta ci fu anche un tentativo di “comprare” l’attività benefattrice dei Cappuccini. Dei farmacisti si riunirono e proposero al Padre Provinciale che, se avessero smesso di dare erbe medicinali alla gente, loro avrebbero dato medicine gratuite a tutti i cappuccini. Vera e propria corruzione! “Ma non potevamo smettere di fare ciò che facevamo e abbandonare i poveri…”, continua il frate. “È il nostro carisma, è nel DNA della nostra vocazione”. E dunque, non vi fu alcun accordo.
Nel 1770 farmacisti e medici si rivolsero al vescovo di Barcellona, Josep Climent, per convincerlo a chiedere ai Cappuccini di smettere di fornire rimedi ai poveri. Il vescovo chiese ai Cappuccini di moderare la loro attività medica e farmaceutica, “ma i frati non ci fecero caso e continuarono a offrire erbe medicinali e unguenti per aiutare i poveri”. E il vescovo lasciò perdere…
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista]