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Quando non capisci l’utilità della sofferenza, questo ti sosterrà

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Carlos Padilla - pubblicato il 31/01/17
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A volte non vedrò l’utilità del mio donarmi, ma so che neanche allora smetterò di lottare per dare il mio apportoLa sofferenza mi dà da pensare. Non credo che evitare il dolore sia meno santo che cercarlo. Non credo in un Dio che mi manda delle prove per mettere alla prova il mio amore. Non ci credo.

Come non capirei un padre che mandasse delle prove al figlio piccolo perché gli dimostri quanto lo ama. O un uomo che facesse lo stesso alla donna che ama. Non credo in quel Dio che mi fa soffrire per vedere come reagisco. Bene o male. Essendo all’altezza della situazione o lamentandomi. Integro o spezzato.

Credo piuttosto in un Dio misericordioso e buono che vuole il mio bene. Che vuole la mia pace. E che non soffra. Che vuole che sia libero e pieno. Che desidera che impari ad amare meglio, con più maturità.

E so che ogni amore comporta sempre sofferenza. E in quella sofferenza che affronto Egli mi ama. So che chi ama soffre donando la vita. Perché donare fa male. Ma non do più valore all’eroismo nella sofferenza che all’offerta di sé in tempi di pace.


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Anche se riconosco di ammirare tanto quelli che portano la propria croce con un sorriso inciso nell’anima e sono capaci di sostenere gli altri con la loro allegria dalla croce dolorosa che vivono. Guardare gli occhi di qualcuno che la sofferenza non separa da Dio fa effetto [1]. Non si lamentano, non incolpano Dio per il suo silenzio.

Li ammiro nella loro dedizione generosa e pura. Ammiro la loro generosità. Io sono spaventato dal dolore. Temo la croce. Mi commuovono le lacrime di chi soffre. Dentro di me si risveglia la compassione. Soffro con chi soffre.

E ovviamente non voglio che nessuno soffra a causa mia. A volte non ci riesco e causo dolore con le mie azioni, con le mie omissioni, con le mie parole. Faccio soffrire altri. E non posso nemmeno evitare il dolore di tanti uomini che soffrono al mio fianco. Vedo tanto dolore e mi sento incapace di alleviarlo. A cosa serve la mia vita donata per amore nei confronti degli uomini?

Il sacerdote del film Silence, in un momento in cui poteva portare consolazione ai cristiani clandestini di un’isola, diceva con gioia: “Sentivo che mi invadeva il petto un’emozione repentina”; “era l’emozione gioiosa di sentirmi utile. Sì, sono utile agli uomini in questo angolo del mondo, in questo Paese che non hai mai visto” [2].

È vero che a volte posso vedere l’utilità della mia offerta. La fecondità della mia vita che guarisce le ferite. Sono momenti sacri in cui Dio mi lascia vedere attraverso una piccola fessura che la mia vita ha tanto senso. Sono momenti di gioia che custodisco nell’anima per sempre. Perché mi sono sentito utile dando la vita.

Ma so che altre volte non lo vedrò. Mi sentirò sterile. Continuerà ad esserci molto dolore intorno a me, e il mio servizio e il mio amore non riusciranno a placarlo. E non vedrò l’utilità della mia offerta. Ma so che neanche allora smetterò di lottare per offrire il mio apporto. Per donare la vita. Soffrendo con chi soffre.

E continuerò a stare ai piedi della croce degli uomini senza poterli far scendere da lì. Cercherò di fare quello che fa Dio, che non si allontana dal mio dolore né dalla mia croce, che non mi fa scendere dalla mia sofferenza.

Forse un giorno in cielo comprenderò i suoi silenzi. Comprenderò il senso di tante croci. Forse imparerò ad ascoltare meglio i suoi silenzi. E comprenderò che il suo amore è sempre stato al mio fianco, camminando con me, caricandosi la mia croce e quella di tanti altri. Anche se io non l’ho visto.

Non capisco molte cose nel mio cammino. Non capisco le ingiustizie né la sofferenza. Ma credo nell’amore infinito di un Dio che mi ama come sono, nella mia vita. E mi salva.


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Voglio quella fiducia nel suo amore in silenzio che sostiene la mia vita quando soffro. Quando mi dono per chi soffre. Quando vedo soffrire altri.

Mi piace guardare così la mia vita. Il mio dolore. Il dolore di tanti. Non temo quando confido nel suo amore crocifisso per me. In un amore che non mi lascia solo quando gemo pieno di angoscia.

Non so se la mia sofferenza salva qualcuno. Non lo so. Non credo che Dio lo voglia.

Ma io soffro. E qualche senso avrà quando riuscirò a vedere la mia vita con più luce in cielo. Quando tutto sarà più chiaro. E capirò.

[1] Simone Troisi e Cristiana Paccini, Siamo nati e non moriremo mai più, 65
[2] Shusaku Endo, Jaime Fernández, José Fernández, Silencio (Narrativas Históricas)

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]