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Cosa ha a che fare Dio col vino e la birra? E col brindare?

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Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 26/01/17
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Il brindisi è un gesto antico adottato dai cristiani e trasformato in quello che conosciamo oggi ma non è solo questo…Si brinda quando si è felici, si brinda per celebrare un evento, si brinda per ricordare un amico o un parente che non c’è più. I passaggi più essenziali della vita si fanno con un bicchiere in mano, vino o birra che sia. E non è un caso che i processi di fermentazione e di vinificazione siano così antichi e che siano stati molto spesso i monaci a perfezionarli nelle varie parti d’Europa.

Rino Cammilleri nel suo blog riporta questa breve citazione:

«Il rituale del brindisi, un gesto antico quasi quanto il bere e dalle profonde radici religiose. In origine, la “libazione” consisteva, oltre al pronunciare invocazioni alla divinità, nell’offrire agli dei il primo sorso della propria bevanda. Secondo alcune fonti, l’abitudine di avvicinare i bicchieri è un’invenzione cristiana, poiché il loro tintinnio evoca il suono capace di allontanare i demoni delle campane della chiesa». (Michael P. Foley, Drinking with the Saints, 2015)

Subito vengono in mente i versi della Bibbia al libro dei Numeri (capitolo 2), dove abbondanti libagioni sono prescritte agli ebrei nei rituali che onorano Dio, ma oltre a questo, sinceramente, non fanno che venirci in mente citazioni di Chesterton:

“Il grande problema [parla del proibizionismo] è che mescoliamo insieme causa ed effetto. Ci sono due modi di bere. Se uno è felice, beve per esprimere la sua gioia. Questo è un buon bere. Ma c’è anche il caso di chi è talmente infelice da bere per cercare la felicità. E non arrivi alla radice del suo problema facendolo smettere di bere. Per arrivare alla radice, devi cambiare il sistema industriale che lo rende infelice. Non è solo questione di distribuire meglio la ricchezza, benché questo aiuterebbe. In aggiunta, dobbiamo riportare in auge le vecchie usanze, le danze, le canzoni, le credenze: le cose che mantenevano l’uomo felice prima che nascesse l’industria moderna”.

Chesterton ricapitola succintamente la questione anche nel suo libro Eretici, pubblicato nel 1905:

Una nuova morale si è rovesciata su di noi con qualche violenza in relazione al problema dell’alcolismo; e gli entusiasti nel campo vanno dall’uomo che viene buttato fuori con violenza alle 12.30 alla signora che fracassa gli American bar con un’ascia. In queste discussioni, quasi sempre appare una posizione molto saggia e moderata, quella secondo cui si dovrebbe bere il vino o roba consimile solo come medicina. Su questo punto, io mi spingerei a dissentire con particolare ferocia. L’unico modo veramente pericoloso e immorale di bere il vino è quello di berlo come medicina. […]
La regola sensata nella questione sembrerebbe presentarsi come molte altre regole sensate, ovvero, come un paradosso. Bevete perché siete felici, ma mai perché siete infelici. Non bevete mai quando, senza l’alcool, vi sentite derelitti, o sarete come il bevitore di gin dalla faccia grigiastra nel suo tugurio; ma bevete quando, anche senza alcol, sareste felici, e sarete come il ridente contadino italiano.

Bere in se non è un male, anche quel po’ di ebbrezza che talvolta si prova non è altro che un eccesso momentaneo se non si scambia la bottiglia con la fonte della felicità. Chi è felice senza bottiglia lo sarà anche con un paio di pinte di birra o due bicchieri di buon rosso in corpo. Oggi vorrebbero farci smettere di bere invece di insegnare a bere, la moderazione è il contrario tanto dell’eccesso quanto della privazione a tutti i costi. Qui non si parla di un fioretto momentaneo, utile e anche edificante, ma dell’idea che bere faccia male in sé per qualche malsana forma di salutismo. Gesù del resto ha iniziato il suo ministero pubblico ad un matrimonio quando il vino era finito. Vorrà pur dire qualcosa, no? Dio di fronte alla tristezza interviene sempre, e un matrimonio (atto gioioso) non può funzionare senza allentare un po’ la tensione…

Cosa ci spaventa oggi se non gli eccessi a cui i ragazzi – 13-14enni ubriachi il sabato sera – vanno incontro, i super alcolici bevuti come acqua fresca cioè senza criterio, senza gusto e in realtà senza vera gioia? Ma allora insegnategli la gioia a questi benedetti figli! E spiegate loro che c’è un tempo per ogni cosa come dice l’Ecclesiaste

Sant’Arnolfo di Metz, diceva: “La birra è arrivata nel mondo dal sudore dell’uomo e dall’amore di Dio”. E sempre G. K. Chesterton in Ortodossia: “dovremmo ringraziare Dio per la birra e il bordeaux non bevendone troppi”. In altre parole, mostriamo la nostra gratitudine a Dio per il vino e la birra godendo di queste cose, in allegria e in buona compagnia, ma senza eccedere. Ogni persona deve giudicare quello che per sé è un eccesso. Insomma anche per bere c’è un modo “cattolico” (gioire) e uno “del mondo” (consumo)…