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Quali sono le domande da porsi prima di impegnarsi nel volontariato?

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Edifa - pubblicato il 06/12/22

Se volete aiutare i più bisognosi, riflettete bene, e soprattutto ponetevi le domande adeguate

di Bénédicte de Saint-Germain

Volete essere utili all’interno della vostra parrocchia, nella scuola dei vostri figli o in un’associazione ma non siete sicuri di voi stessi e delle vostre possibilità?

Spesso ci vediamo sollecitati da tutte le parti: la parrocchia cerca volontari per la liturgia, i fiori o l’assistenza ai bambini, la scuola privata cattolica recluta catechisti, il club sportivo o l’associazione umanitaria cerca un tesoriere… Spesso la chiamata viene buttata lì ed è facile schivarla.

A volte, la domanda ci viene posta in modo molto diretto: “Accetteresti di assumere questa responsabilità?” E poi c’è quella vocina interiore che ci ricorda che qualche mese fa volevamo iscriversi a un’associazione per aiutare le persone meno fortunate.

Ma attenzione, qualunque sia la forma di impegno che ci si presenta, si impone un periodo di riflessione, da soli, in coppia o in famiglia, prima di lanciarsi nell’avventura.

In occasione della Giornata Mondiale del Volontariato, il 5 dicembre, padre Xavier Lefebvre ha offerto dei criteri concreti per alimentare riflessione.

Perché coinvolgersi?

Non posso essere cristiano senza coinvolgermi. Questo sviluppa in me la virtù della carità, l’amore per la Chiesa e per i fratelli.

Ascoltiamo San Giacomo:

“Con le mie opere ti mostrerò la mia fede” .

(Gc 2, 18)

Non ci si può chiudere egoisticamente in se stessi credendo che la parrocchia o la scuola sia una questione che riguarda altri.

Il cristiano è un attore a tutto tondo. Realizzando una missione o l’altra, comprendiamo meglio la realtà specifica, mente spesso è facile criticare tutto rimanendo al livello dei “consumatori”. L’impegno cristiano ci fa dare frutti autentici nelle comunità che elaborano il tessuto sociale della nostra vita (famiglia, parrocchia, scuola, quartiere…).

Siamo convinti di far parte di una comunità e del fatto che dipende anche da noi? Una parrocchia non si sviluppa solo con i sacerdoti, né una scuola solo con i suoi professori e i dirigenti.

Come sapere se siamo in grado di compiere la missione che ci vogliono affidare?

Bisogna porsi domande molto concrete. “Ho le competenze per fare quello che mi viene chiesto o mi manca una conoscenza o un’esperienza che dovrei acquisire?” Dire che non siamo capaci può nascondere una falsa modestia e perfino un vero e proprio orgoglio. La Vergine Maria non ha mai detto “Non sono capace!” L’impegno è il segno autentico dell’autorealizzazione attraverso il servizio agli altri.

Di quanto tempo dispongo a livello oggettivo? Bisogna essere molto chiari su quello che vogliamo o possiamo fare. Il volontariato dev’essere chiaramente definito nei compiti e nel tempo.

Nella mia vecchia parrocchia, ci sono schede di iscrizione al volontariato che sembrano piccoli contratti e stipulano, ad esempio, “Sei inserito nel servizio di accoglienza, ti impegni per tot ore a settimana per il periodo x con l’obiettivo y da realizzare”. Ovviamente, essere volontari non significa essere sfruttati.

Qual è, per me, il senso di questo impegno? Ad esempio, se all’inizio non ho molte competenze, il fatto che l’attività possa formarmi può essere un’argomentazione.

Non c’è migliore scuola di catechesi che catechizzare: catechizzando gli altri, ci interessiamo alla nostra fede. Spesso è trasmettendo la fede che aumentiamo la nostra.

Le parrocchie non si aspettano grandi teologi o specialisti, ma persone che desiderano realizzarsi attraverso il proprio impegno e vogliono offrire una testimonianza della loro vita di fede.

“Se non vado io, non ci andrà nessuno”, si sente a volte…

È il modo peggiore per discernere, e tuttavia non bisogna rimanere insensibili a una chiamata.

Per non sbagliare, ricordiamo questo principio che guida tutto: la vita cristiana non è una vita agitata, è una vita feconda.

Cos’è una vita cristiana agitata? È fare molte cose per il Buon Dio, ma non dove Egli mi aspetta. Ci sono persone che si agitano molto, che si danno troppo e in ogni modo, poi si stancano e non le si vede più…

E che pensare di questa reazione: “Se mi fermo, non ci sarà nessuno per assumere questa funzione”?

Questo può far prendere coscienza alla comunità del fatto che se noi non fossimo lì bisognerebbe trovare un’altra persona. A volte può rappresentare una difficoltà, ma nessuno è indispensabile. Per gli altri è facile appoggiarsi sempre alle stesse persone, che fanno tutto.

In parrocchia, la questione in genere si pone in questi termini: i fedeli si conoscono abbastanza per “reclutarsi” a vicenda? Non sarà mai una trappola se ciascuno sa quello che può dare. Spetta poi al responsabile e al parroco validare le proposte.

Quali sono i criteri per un buon discernimento?

A mio avviso sono tre:

Primo, l’impegno dev’essere una risposta a una chiamata di Dio. Una cosa è fare le cose per il Buon Dio, e un’altra è fare quello che Dio si aspetta da me. Non mi impegno in primo luogo per far fronte a una mancanza di riconoscimento sociale o per avere potere.

L’impegno deve poi essere compatibile con il mio stato. Se mi fa fuggire dai momenti di intimità che devo avere con mio marito o mia moglie, o dai compiti familiari, non è appropriato.

Questo investimento di tempo, forze e capacità non dev’essere infine fonte di agitazione, ma deve permettere un progresso nella vita spirituale. La vita spirituale passa per la carità.

Quest’ultima è poi un ottimo criterio per capire la “temperatura” della nostra vita spirituale!

Come sapere dove ci chiama Dio?

Seguendo il consiglio della moglie, del marito, di persone che già prestano servizio. E del sacerdote. All’inizio, i nostri cari potranno aiutarci a guardarci in prospettiva, per quanto riguarda sia le nostre capacità che i nostri limiti. Anche attraverso di loro Dio potrà far giungere la Sua chiamata.

Dopo la consultazione necessaria dei propri cari, bisogna solo mettersi totalmente nelle mani di Dio. Con una certezza: se la scelta che sto effettuando mi offre pace e gioia è un buon segno. Possiamo chiedere a Dio che ci doni la grazia di impegnarci senza paura, senza dubbi e senza falsa umiltà, e di dare un frutto di carità per la Chiesa e la comunità.

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